The Dark Pictures: Little Hope - recensione
Tremate, tremate, le streghe son tornate!
"Dove eravamo rimasti? Non mi sembra di averti già visto ma forse mi sbaglio, d'altronde esistono infiniti universi ed infiniti sviluppi delle storie di ognuno di noi. Tutto dipende dalle scelte che ognuno di noi compie. Alcune hanno risvolti minimi, altre invece possono cambiare tutto in meglio o in peggio".
A rivolgervi queste inquietanti parole sarà il Narratore, colui che Supermassive Games ha scelto come anfitrione per la sua Antologia dell'Orrore. Se avete giocato Man of Medan già lo conoscete: si rivolge a voi sempre in prima persona, congratulandosi per le vostre scelte e dolendosi per quelle finite male. La prima storia che vi ha raccontato... pardon, che voi avete deciso di raccontare, narrava di una gita in barca finita male. Molto male.
The Dark Pictures: Little Hope narra una vicenda completamente diversa, che come la precedente però ha radici molto profonde che scavano nel passato. Un passato oscuro fatto di malvagità e ingiustizie che hanno spesso come vittime degli innocenti. Come filo conduttore di tutta la storia troviamo una bambina, che appare sempre e ovunque tra passato e presente.
La sua presenza è inquietante ma capire se sia vittima o carnefice non è cosa facile. Darvi un'infarinatura di questa nuova vicenda senza scivolare nello spoiler è dannatamente difficile quindi ci limiteremo a minimi dettagli, anche perché come da tradizione il suo svolgimento e soprattutto epilogo dipenderanno dall'organo che userete di più per andare avanti. Cervello o cuore?
Dopo un prologo che per ovvi motivi non possiamo raccontarvi, The Dark Pictures: Little Hope ci porterà a bordo di un pullman affittato da un gruppo di studenti per una gita fuori porta. Purtroppo per loro il viaggio si interromperà presto e in modo piuttosto brusco: l'autobus sbanda, si ribalta e tutti vengono sballottati a destra e a manca riportando traumi più o meno gravi.
Inizialmente quello che sembra aver avuto la peggio è Andrew, interpretato dall'attore britannico William Poulter (Maze Runner, Midsommar, Black Mirror), ma dopo qualche minuto di smarrimento l'intero gruppetto si accorge che l'autista è scomparso. Convinti che sia andato a cercare aiuto, decidono di seguirlo inoltrandosi nella fitta ed inquietante nebbia che li avvolge, accorgendosi quasi subito che proprio in quella foschia densa e lattiginosa si nasconde qualcosa di dannatamente inquietante.
È impossibile tornare indietro: ogni volta che ci si prova si torna inspiegabilmente al punto di partenza. Come se non bastasse, strane visioni iniziano a perseguitare Andrew e gli altri. Rimandano al passato di Little Hope, cittadina un tempo florida ma successivamente divenuta ghost town in seguito una crisi economica, ma il risvolto più spaventoso è che i protagonisti di tali flashback hanno le loro stesse, identiche fattezze fisiche.
Come nel precedente capitolo di The Dark Pictures, ogni personaggio ha un diverso profilo caratteriale, che andrà a delinearsi ancora più chiaramente in base alle scelte fatte da voi. Anche i suoi rapporti con gli altri cambieranno in base ad esse, andando in certi casi addirittura a modificare il percorso narrativo. Rispetto a Man of Medan il gameplay è rimasto pressoché identico. Più che di videogioco qui è più opportuno parlare di film interattivo in quanto non esistono vere e proprie fasi d'azione.
A seconda del momento si controlla un diverso personaggio seguendo percorsi piuttosto lineari. A cambiare parzialmente è lo svolgimento degli eventi che ancora una volta vengono in parte anticipati da "visioni" legate al ritrovamento di particolari oggetti. Se e quando tali premonizioni si avvereranno non è possibile saperlo. Potreste imbattervi in una scena "vista" pochi minuti dopo o non vederla affatto perché al momento opportuno avete preso un'altra decisione o mancato un QTE importante.
A tal proposito, il sistema di Quick Time Event è stato modificato in seguito alle lamentele piovute addosso a Man of Medan. Molti giocatori all'epoca si lamentarono dell'eccessiva rapidità di alcuni QTE o dell'imprevedibilità del posizionamento del tasto da premere. In Little Hope tutto è stato (purtroppo) semplificato allungando i tempi di reazione ma, soprattutto, indicando chiaramente prima dove apparirà l'indicatore successivo. Tale scelta purtroppo ha l'unico effetto di allentare non poco la tensione di queste fasi di gioco, facendo calare il pathos sotto i livelli di guardia.
Un vero peccato perché la storia è intrigante e raccontata con il giusto ritmo, anche se ancora una volta i Supermassive Games hanno ceduto alla tentazione di farcire il gioco dei più comuni cliché del genere teen-horror. C'è una finestra da rompere: perché cercare in giro un sasso quando stringete fra le mani una torcia di puro acciaio? Inquadrature che si abbassano e allungano per "annunciare" un'apparizione improvvisa alle spalle dei protagonisti... e via dicendo.
Volendo è possibile godere di qualche serata da brivido anche in multiplayer. Little Hope infatti supporta le stesse opzioni multigiocatore del gioco precedente. Fin dall'inizio vi verrà data la possibilità di non giocare da soli, condividendo questa esperienza online con un vostro amico nella modalità Storia Condivisa, od offline nella Serata al Cinema che prevede la condivisione del controller con altre quattro persone sedute accanto a voi.
Dal punto di vista tecnico Supermassive Games è sempre stata maestra nella creazione di atmosfere horror di altissimo livello e nella capacità di far recitare in maniera estremamente convincente i suoi attori virtuali. Little Hope è un passo avanti rispetto al già ottimo livello grafico raggiunto da Man of Medan.
Le ambientazioni ridotte in termini di estensione e limitate nella profondità di campo, in quanto buona parte del gioco si svolge di notte o in mezzo alla nebbia, hanno permesso al team di sviluppo di spingere forte sulla modellazione dei personaggi. Sono i volti in particolare a fare davvero impressione e a ridurre ancora di più l'ormai sottilissimo confine con il fotorealismo.
Ottimo come in passato il doppiaggio in Italiano, anche se stavolta abbiamo dovuto purtroppo testimoniare alcuni problemi comunque facilmente correggibili con un aggiornamento: in una scena alcune frasi pronunciate da un personaggio erano ancora in lingua inglese, mentre in almeno tre occasioni i dialoghi tra due protagonisti sono stati mozzati, rendendone di difficile comprensione il significato.
Due piccoli difetti che alla fine non hanno minato più di tanto un'esperienza cinematografica ancora una volta interessante ma non capace di raggiungere l'ottimo livello della primissima produzione di Supermassive Games, Until Dawn. All'orizzonte comunque inizia ad intravedersi il disegno completo della Dark Pictures Anthology, che a questo punto dovrà necessariamente spalmarsi sull'imminente nuova generazione di console Sony e Microsoft.
Ci auguriamo che per il futuro gli sviluppatori prendano ancora più coraggio, allontanandosi un po' dai temi horror classici per proporre storie più originali e capaci di coinvolgere non solo l'occhio del giocatore ma anche tutti (o quasi) gli altri suoi sensi.