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The Diofield Chronicle, la recensione

Una banda di mercenari in cerca d’autore.

Il panorama del genere RTS ha prodotto negli ultimi 30 anni una quantità di titoli di alta qualità. Ma la saga di Warcraft e la serie di Starcraft, numerosi Age of Empires e il prolifico franchise di Command and Conquer, tanto per citare alcuni capisaldi, ci hanno sempre messo di fronte ad un gameplay analogo.

Nei panni del leader di una fazione fantasy o futuristica, abbiamo comandato un esercito o un gruppo di unità altamente specializzate in missioni che spesso hanno avuto come unico scopo l’annientamento di un nemico. Risorse venivano raccolte dalle nostre unità “civili”, che poi venivano successivamente raffinate e impiegate per potenziare le nostre truppe in maniera diretta, o tramite la costruzione di edifici.

Questo cliché collaudato ci ha incollati ai nostri schermi per ore, giorni o settimane, creando quasi una dipendenza da “un’altra missione e poi giuro che smetto”. Una sindrome questa che ha fatto la fortuna del genere.

The DioField Chronicle vuole cambiare un po’ le carte in tavola offrendoci un ibrido tra uno strategico a turni e un tipico RTS, strizzando l’occhio (o forse entrambi) alla serie di Fire Emblem di Nintendo, alla quale TDFC si ispira in più di un’occasione.

Grazie all’utilizzo della barra spaziatrice, possiamo mettere il gioco in uno stato di semi pausa, permettendoci di selezionare un’abilita speciale di uno dei nostri eroi.

Nei panni di una banda di mercenari veniamo spediti di missione in missione nella regione di DioField, per imporre il volere del Duca (il tipico nobile con velleità da governatore, responsabile del nostro arruolamento) imponendo con la forza giustizia e “democrazia”. Un concetto questo che in più di un’occasione ci fa pensare: “ma siamo noi i cattivi della storia?”.

Altri titoli ci hanno messo nei panni del villain di turno ma di solito tramite un processo che dura l’intero gioco. Qui, in TDFC, ci sembra davvero di essere la mano armata di un regime sin dal principio e, purtroppo, la scarsa caratterizzazione dei nostri eroi non aiuta di certo.

Dopo qualche missione introduttiva, che ci spiega le varie meccaniche di gioco, i nemici che andiamo ad affrontare non sono più i soldati di una fazione nemica o le guardie di un palazzo, ma un’armata di non-morti e giganti, riportandoci sulla strada dell’high fantasy che Square Enix ama tanto. Anche in questo caso, però, le spiegazioni sul come e perché’ tardano ad arrivare, lasciandoci spaesati.

Il sistema di combattimento, che prevede una visuale isometrica (che può anche essere ruotata) simile a quella della serie XCOM, è intuitivo e nel complesso piacevole. Possiamo selezionare le nostre unita (un gruppo di 4 mercenari) sia individualmente, per impartire ordini specifici e usare abilità uniche, sia in un gruppo, per concentrare gli attacchi su un solo bersaglio o semplicemente per muovere la squadra di locazione in locazione.

L’albero delle abilita viene sbloccato durante il primo capitolo e ci permette di aggiungere skill globali a tutti i personaggi di una stessa classe.

Come abbiamo già accennato, TDFC è un RTS ibrido. Per impartire i nostri ordini infatti possiamo premere la barra spaziatrice, che funziona da rallentatore (ma non da pausa) e selezionare quale abilità speciale far usare al nostro personaggio, al posto di un attacco regolare. Ognuna di queste skill ha un costo in punti azione, che via via diminuiscono nel corso dell’intera missione ma che spesso vengono recuperati tramite pozioni e globi di energia viola, raccolti da terra come bottino per aver sconfitto dei nemici, e talvolta in locazioni fuori dal percorso principale. Il che ci porta a esplorare l’intera mappa, spesso scoprendo anche bauli di tesori che possiamo analizzare con calma alla fine della missione.

Posizionare inoltre le nostre unità in maniera strategica ci permette di sfruttare appieno i punti di forza di ciascuno dei nostri eroi. Fredret per esempio, un potente cavaliere armato di lancia e in sella a un poderoso destriero da battaglia, è utilissimo per caricare a testa bassa i nostri nemici, portando l’attenzione su se stesso, fungendo da tipico Tank e permettendo quindi ad Andrias, il leader della banda delle Blue Foxes, di colpire alle spalle i nemici con attacchi letali potenziati.

Iscarion, un potente arciere, può tenere sotto scacco un grosso numero di truppe grazie ad un fuoco costante e di copertura che non lascia scampo mentre la nostra maga Waltaquin, con una risata sadica che non si addice al suo look quasi angelico, bombarda il campo di battaglia con uno sciame di meteore che mette a ferro e fuoco l’area interessata, riducendo in cenere i poveri malcapitati.

Le armi non solo incrementano progressivamente le nostre statistiche base, ma aggiungono talenti passivi o addirittura nuove skill, come in questo caso “Enchanted Beast Killer” aumenta il danno contro Bestie.

In aggiunta al costo specifico in punti di ogni abilita speciale, i nostri eroi entrano in uno stato di cooldown ogni volta che una di esse viene usata, impedendo quindi un uso consecutivo di due skill, rallentando l’azione e di fatto creando una situazione a turni un po’ artificiale.

Il numero di poteri aumenta nel corso della storia, di missione in missione, grazie a dei punti talento che possono essere spesi in uno dei 4 alberi di abilità, che caratterizzano le 4 tipologie di eroe a nostra disposizione, ossia Soldato, Cavaliere, Sharpshooter e Magicker.

Tali skill sono condivise da ciascun personaggio di una classe specifica, lasciando quindi ben poco spazio alla diversificazione del nostro team, e portandoci a usare sempre gli stessi personaggi valorizzando solo le skill uniche in loro possesso, nonostante ne siano presenti molti di più da sbloccare.

Se da un lato un albero delle abilita cosi strutturato risulta di immediata comprensione, dall’altro lato appiattisce notevolmente lo spessore di ogni personaggio, che già non brillano di luce propria.

La mappa globale ci permette di selezionare la missione successive. Ognuna di esse inoltre ha degli obiettivi bonus, per ricompense extra.

Oltre a tutti questi poteri speciali non potevano mancare le consuete summon di Square Enix. Grazie ad un dispositivo sperimentale che viene caricato di energia ogni volta che sconfiggiamo un nemico, siamo in grado di evocare creature leggendarie (l’immancabile Bahamut è il primo a fare capolino) che, con attacchi devastanti, ci permettono di finire in tempo record alcuni scontri o di accorciare una boss fight pericolosa in maniera sostanziale.

Sebbene questo sistema di combattimento ibrido sia piacevole da gestire, presenta purtroppo carenze che altri titoli simili non hanno, vantando un’esperienza molto più tattica. Parliamo della mancanza di terreni ad elevazione diversa o di un sistema di coperture efficiente; queste assenze rendono gli scontri molto frontali e, dopo aver perfezionato nella prima ora di gioco posizionamento e tempistiche di combattimento, ogni scontro risulta purtroppo essere assai ripetitivo, con solo le boss battle a fornire una variante sul tema.

Il che è davvero un grosso peccato perché il sistema di skill è davvero divertente e permette combinazioni di poteri davvero accattivanti e devastanti. Le missioni non hanno una lunghezza paragonabile, per esempio, a quelle di XCOM, e la presenza di un timer e di obiettivi bonus da raggiungere ha come effetto quello di dover per forza di cosa fare tutto alla svelta, rimuovendo quindi la (poca) percentuale tattica di ogni missione, costringendoci pertanto ad un uso massiccio di attacchi ad area, risolvendo quasi sempre ogni scontro alla distanza, con pochissima interazione in corpo a corpo.

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L’IA semplicemente agisce come da codice, avanzando verso i nostri eroi e attaccando alla distanza quando possibile. I boss hanno un po’ più di varietà, con diverse barre di energia da azzerare, ma anche qui nulla di eclatante e innovativo, e si tende comunque sempre ad usare la stessa strategia, ossia stordire, colpire e correre via, fino alla morte del nemico.

TDFC è graficamente davvero piacevole e lo stile Square Enix si fa sentire: le varie arene per ogni missione sono curate nei dettagli e l’aspetto dei vari personaggi è davvero piacevole. L’audio purtroppo merita un giudizio disgiunto: le musiche sono all’altezza, incalzanti quando serve e d’ambiente in fasi meno concitate; i dialoghi d’altro canto, sebbene siano curati e doppiati davvero bene e ci permettano di apprezzare la storia principale, sono inevitabilmente sostituiti da grugniti e versi vari per tutte le altre quest secondarie, diventando puramente testuali.

La mancanza di una scelta per le risposte, inoltre, fa sì che la storia sia davvero lineare, condizionando quindi la rigiocabilità che poteva dare più linfa a questo titolo, con diverse ramificazioni della storia e magari conseguenze nel caso di fallimento di una missione.

The DioField Chronicle sembra un’occasione mancata per osare di più con il genere degli RTS e sebbene il sistema di combattimento sia spesso avvincente, non può essere l’unica caratteristica a reggere sulle proprie spalle l’intero titolo. TDFC garantisce dalle 25 alle 30 ore di gioco, offrendo una discreta longevità. Purtroppo, dopo la prima ora ci si trova a saltare ogni dialogo, semplicemente balzando di missione in missione, ripetendole in caso di sconfitta. In un panorama così vasto per il genere sarebbe stato opportuno offrire qualcosa di più. Qualcosa che un titolo come questo poteva dare, ma che purtroppo non dà.

6 / 10