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The Eternal Castle [REMASTERED] - recensione

Memorie rimasterizzate made in Italy.

"Questa è una storia personalissima che ci piacerebbe condividere con tutti voi. È una storia di un ragazzino che una volta ha trovato un floppy azzurrognolo in un cassetto polveroso della sua vecchia casa. Dato che non c'erano molti videogiochi e soprattutto nessuna connessione internet nella zona di campagna dove viveva a inizio anni 90, questo ragazzino si ritrovava spesso a sperare che un giorno uno dei noiosi floppy MS Dos dell'ufficio di suo padre si tramutasse in un incredibile gioco che non aveva ancora mai provato. Quel floppy azzurro sembrava uguale a tutti gli altri ma il suo aspetto malconcio forse avrebbe potuto nascondere un'odissea nell'ignoto".

Che The Eternal Castle sia davvero un titolo perso nei meandri della storia videoludica o meno, quello tratteggiato dal trio formato da Leonard Menchiari (già autore del peculiare Riot Civil Unrest), Giulio Perrone e Daniele Vicinanzo non è solamente il remaster di un singolo gioco ma più che altro quello di un intero concept, il ritorno di un archetipo di videogioco che gli stessi sviluppatori avrebbero amato da bambini. I crediti finali sono in questo senso chiarissimi perché tra i ringraziamenti speciali trovano un posto d'onore nomi come Jordan Mechner ed Eric Chahi, papà rispettivamente di due classici di culto: Prince of Persia e Another World.

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The Eternal Castle [REMASTERED] è un evidentissimo omaggio a quell'idea di platform cinematografico del passato e su questo non ci sono dubbi. Basta un'occhiata fugace per capire che l'effetto nostalgia scorre potente in questo progetto disponibile da inizio gennaio nel catalogo di Steam e atteso da un manipolo di appassionati che nelle sfumature ciano e magenta che sembrano essere prese di peso da una CGA degli anni 80 (prima scheda video a colori targata IBM) rivedono meccaniche, tecniche e peculiarità di tempi lontani e spesso associati a ricordi meravigliosi. La domanda è quindi inevitabile: ci troviamo di fronte a quella che è "solo" un'operazione nostalgia che segue un trend estremamente forte e diffuso di questi anni?

Un mondo post-apocalittico, una Terra ormai inospitale, una IA fuori controllo e l'umanità che si spinge sempre più lontano, verso l'esplorazione dello spazio alla ricerca di pianeti da colonizzare. Quello tratteggiato da Leonard Menchiari e dal fidato Manfredi Montemaggi (amico molto stretto di Menchiari), non è un mondo che parte dalle premesse più originali mai viste nei vari media ma sa convincere sotto diversi aspetti. Più che la narrazione vera e propria sono il lore e l'immaginario di The Eternal Castle a lasciare piacevolmente affascinati.

Questi cabinati sono una vera diavoleria!

Le 5 aree suddivise in livelli che possiamo attraversare nelle circa 3 ore di gioco necessarie a completare una singola run sono ricche di personaggi strani e misteriosi, di messaggi criptici semplicemente tracciati sulle mura degli edifici in rovina o di segreti nascosti nei meandri di tunnel sotterranei avvolti nell'oscurità. Le scelte a livello di design convincono e, nonostante l'evidente arretratezza del comparto tecnico scelto per il progetto la cura per i dettagli non manca di certo, soprattutto per chi abbraccia in toto un'enfasi sull'esplorazione che spinge alla ricerca di collezionabili e potenziamenti spesso nascosti nei luoghi più impensabili. Fortunatamente la voglia di esplorazione è anche accompagnata da una varietà di situazioni tutt'altro che disprezzabile.

Anche dedicandosi a più di una run ci si potrebbe imbattere in più di una sorpresa dato che gli sviluppatori hanno deciso di adottare delle componenti semirandomiche che propongono alcune situazioni di gioco e alcuni eventi differenti. Al di là di queste caratteristiche molto interessanti e a conti fatti riuscite, ogni pregio e ogni difetto di questo titolo sono intrinsecamente legati all'essenza stessa della produzione. La voglia di passato dà, la voglia di passato toglie e l'effetto nostalgia è in certi casi una evidente arma a doppio taglio e una limitazione soprattutto nelle meccaniche più basilari ed essenziali.

C'è una marea di lore in quasi ogni schermata dell'universo di The Eternal Castle.

Se la componente artistica caratterizzata dall'uso di una palette cromatica volutamente limitata e di una colonna sonora che affonda le proprie radici in una rielaborazione dello stile proposto nel Prince of Persia originale, in Karateka, in Zelda, Mario, Intifada e Castlevania, sono delle scelte stilistiche difficili da giudicare senza sfociare nell'assoluto gusto personale, a livello di gameplay le stonature sono forse più visibili. Proprio controller o tastiera alla mano il peso degli anni si fa sentire come un macigno ed è impossibile ignorare elementi che, per quanto fedeli al passato, rendono l'esperienza di gioco meno godibile.

Quello che abbiamo provato con mano è un action platform volutamente vecchio e in alcuni aspetti sarebbe stato interessante lavorare maggiormente sull'aspetto "remaster" dell'opera, limando elementi come il tempismo dei salti e il combattimento. La scelta di puntare sia su armi melee che su armi da fuoco è interessante e permette anche di dare vita ad approcci personali negli scontri, scegliendo le due armi da trasportare e cercando di equipaggiarsi al meglio per ogni situazione e per ogni sfida. Il mix è sicuramente interessante e con la presenza di coperture le fasi shooting si trasformano in una guerra di riparo in riparo piuttosto riuscita e capace di divertire. Purtroppo le cose iniziano a sgretolarsi almeno in parte con le armi da mischia, che mostrano il fianco mostrando un gameplay a tratti scricchiolante.

La possibilità di esplorare le diverse macro-aree in qualsiasi ordine è una feature da non sottovalutare.

Molti scontri all'arma bianca, infatti, si risolvono spesso in un forsennato button smashing e certi attacchi specifici come il lancio dell'arma, gli assalti dall'alto e gli attacchi bassi, per quanto capaci di variare le nostre possibilità, diventano quasi completamente inutili anche per tempi di risposta dei controlli non di certo immediati. Quest'ultimo aspetto non passa inosservato anche in una esplorazione che nonostante un level design di buona fattura sufficientemente intricato e vario ci propone fasi al limite del frustrante dove giostrarsi tra le trappole e il tempismo dei salti rischia di rivelarsi fin troppo tedioso. Il discorso si espande poi anche alle boss fight, con concept e design che si rivelano più convincenti degli scontri veri e propri.

Un gioco nato da un ricordo del passato. Vero? Falso? In fondo non importa. Ciò che importa sono le emozioni e le sensazioni che quel ricordo magari fasullo e fallace sa suscitare. Dei ricordi accesi di ciano e magenta, dei ricordi intrisi di genitori che imponevano un limite di una sola ora di fronte ai nostri amati videogiochi e più semplicemente dei ricordi in cui i videogiochi erano solo pura meraviglia. Un tuffo nel passato imperfetto, che forse segue un trend che sta iniziando ad appesantirsi ma che in questo caso sa essere genuinamente bello da vivere in prima persona, soprattutto per chi riuscirà a chiudere un occhio di fronte agli evidenti segni del tempo. I giocatori che ci riusciranno in tutto e per tutto si troveranno tra le mani un gioco che sa valere più del numero in fondo all'articolo.

7 / 10
Avatar di Alessandro Baravalle
Alessandro Baravalle: Si avvicina al mondo dei videogiochi grazie ad un porcospino blu incredibilmente veloce e a un certo "Signor Bison". Crede che il Sega Saturn sia la miglior console mai creata e che un giorno il mondo gli darà ragione.

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