The Inner Friend - recensione
Nella rete del sogno a matrioska.
La paura è un fardello da cui probabilmente non ci libereremo mai, non importa quanto forti crediamo di essere, prima o poi tutti la proviamo. Alcuni approfittano dell'adrenalina pompata nel corpo per reagire, altri non hanno questa prontezza di spirito e ne restano attanagliati, immobili mentre la mente ricerca la concentrazione necessaria ad esaminare la situazione. Crescendo le fobie cambiano, si fanno più complesse dietro le sovrastrutture della nostra psiche, ma alla fine creiamo solo edulcoranti alla nostra fifa. Oltre le nostre vite, carriere ed impegni quotidiani, abbiamo ancora quella strizza infantile che ci accompagna da sempre. Ma adesso è giunto il momento di affrontare il mostro sotto il letto, il buio nella stanza, l'essenza stessa della paura.
The Inner Friend, titolo sviluppato dai ragazzi franco-canadesi di Playmind, punta tutto sull'affrontare le proprie fobie dell'infanzia, nella disperata missione di salvare il nostro bambino interiore. E che sia chiaro fin dalle prime battute di questa recensione: non siamo di fronte ad un progetto da inquadrare facilmente. In questo specifico caso ci ritroviamo ad un'esperienza simile a giochi come Journey, se non fosse per la presenza di creature informi, tenebre fitte ed un senso di smarrimento totale.
Difficile in tal senso descrivere il solo incipit di The Inner Friend, in cui osserviamo dall'alto un uomo completamente nudo disteso su un materasso sudicio, in preda ai movimenti incontrollati che solo un incubo può causare. Tra uno spasmo ed un lamento ci avviciniamo al suo volto, per scoprire esterrefatti che l'individuo in questione ne è totalmente sprovvisto. Dove normalmente troveremmo occhi, naso e bocca in realtà c'è un'enorme voragine da cui esce una luce accecante, in cui entriamo (letteralmente).
Intuiamo ben presto di ritrovarci in una dimensione onirica, in cui affrontare tutte le nostre paure dell'infanzia, attraverso livelli che richiamano la vita del corpo che ci ospita. Sin dalle prime battute The Inner Friend non guida attraverso gli stage, lasciando intatto il piacere della scoperta, che avviene in maniera molto naturale. Attraversare i lerci corridoi di una scuola abbandonata, o le fredde camere di un ospedale infetto, riesce a coinvolgerci in un cammino che ci attrae e respinge contemporaneamente. Tutto ciò che vedremo e affronteremo non ha una spiegazione logica e razionale. Siamo nel senso più assoluto avventurieri di sogni ed incubi, ed è risaputo che in questi frangenti è impossibile stabilire una lettura univoca e chiara.
Ecco quindi il motivo per cui abbiamo scelto di utilizzare un confronto scomodo con l'acclamato Journey, che seppur qualitativamente superiore, ci ha già dimostrato come titoli così complessi siano di difficile interpretazione. Ed i temi toccati dall'opera di Playmind sono vari: la malattia, l'abbandono e la solitudine. Difficile anche inquadrare il nostro alter ego, dato che si presenta a noi come una marionetta dalle fattezze fanciullesche e la pelle bianca come il gesso, e nei suoi panni affronteremo incubi e paure.
Fobie che si presentano a noi nei modi più disparati, e se è vero che ogni tanto avremo a che fare con delle mostruosità, quasi sempre il senso di timore sarà molto più delicato e pungente. Ad esempio un museo vuoto potrebbe trasformarsi in una trappola mortale, oppure dei tralicci possono inscenare un oscuro labirinto, senza dimenticare che siamo chiamati a proseguire e portare in salvo la nostra innocenza (rappresentata da un bambino simile a noi, ma decisamente meno spavaldo). Attenzione però ad inquadrare The Inner Friend come un horror canonico, perché più che di spavento parliamo di un timore più infido, meno potente forse, ma sicuramente interessante.
Il nostro personaggio di simil porcellana può compiere infatti poche semplice azioni: correre, saltare ed interagire con l'ambiente. Dimenticate quindi meccaniche per nascondersi o difendersi, tutta la progressione è basata per lo più su semplici enigmi, l'esplorazione e la fuga da possibili inseguitori. Quest'ultimo caso è forse il meno riuscito, dato che gli sviluppatori hanno reso volutamente il nostro fantoccio leggermente più lento delle creature, ed in certi casi siamo chiamati a slalom tra mobili ed altri oggetti per rallentare il possibile assalitore. Non la più brillante delle meccaniche, ma fortunatamente è limitata ad un paio di livelli nella decina disponibile.
Un'esperienza all'atto pratico del gameplay forse un po' troppo semplice, eppure permeata da un fascino senz'altro particolare, arricchito anche da citazioni gustose da film come 2001: Odissea nello spazio. Peccato che tutto si consumi piuttosto velocemente, richiedendo appena un paio d'ore per arrivare ai titoli di coda, ma è risaputo che i sogni preannunciano la veglia. Nonostante la sua rapida fine The Inner Friend ci attira nuovamente con dei collezionabili sparsi per i livelli, che riescono effettivamente nell'opera di stimolare la curiosità del giocatore sul loro significato.
L'intero pacchetto poi è calato in uno stile semplice e pulito, talvolta con piacevoli effetti particellari, peccato che ogni tanto l'ottimizzazione mostri il fianco a qualche sporadico calo del frame rate. Ad inquietare i nostri animi infine un comparto sonoro fatto di suoni oscuri, rotti dai versi lancinanti di certe creature che potrebbero vivere solo nella fervida immaginazione di un infante.
The Inner Friend è in definitiva un'esperienza decisamente particolare, di difficile lettura, ma non per questo scadente. Seppur non innovativa sul fronte del gameplay nudo e crudo, Playmind ci mette effettivamente di fronte alle innocenti paure di un bambino, ma senza scadere mai nell'horror puro. Quello inscenato è un timore minuto, che delicatamente si insinua nella nostra mente e ci attrae nelle tenebre. Peccato che, dopo la notte, la rasserenante e sanzionatoria alba giunga un po' troppo velocemente.