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The Inpatient - prova

Faccia a faccia, per davvero, con il male.

Ormai una cosa è chiara: Sony crede fermamente nella realtà virtuale. Oltre al recente annuncio di una seconda versione dell'headset PlayStation VR e dei controller Move, anche il parco titoli per la realtà virtuale di PlayStation 4 non sembra destinato ad assottigliarsi in fretta, tra produzioni di terze parti (affidate principalmente a piccoli studi) e opere prodotte internamente, come Gran Turismo Sport, Bravo Team e The Inpatient.

Sia Bravo Team che The Inpatient sono sviluppati dal team esterno di Supermassive Games, già autore per PlayStation 4 dell'avventura horror interattiva Until Dawn e dello spin-off Rush of Blood per VR. The Inpatient ci farà ripiombare nel malato universo di Until Dawn, ma questa volta ci ritroveremo catapultati negli anni '50 all'interno del manicomio di Blackwood Pines, che sicuramente si ricorderà chi ha già vissuto le esperienze dei giovani ragazzi nel capitolo originale.

A differenza di Rush of Blood, in The Inpatient le similitudini con il titolo principale sono evidenti fin da subito, a partire dalla costante presenza di un personaggio ambiguo che indaga la nostra psiche. Il protagonista (o la protagonista in base alle scelte che compiremo nelle fasi iniziali), come nei migliori videogiochi, si risveglia infatti privo di memoria come paziente del manicomio di Blackwood Pines, diretto dal misterioso Jefferson Bragg, nome già noto per chi si fosse soffermato a leggere i documenti sparsi per il manicomio abbandonato in Until Dawn. Anche in questo caso, dai dialoghi con il dottore è difficile comprendere se si tratti di un nostro alleato o piuttosto di una persona priva di scrupoli morali, in qualche modo implicata con la follia che ci attanaglia la mente.

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La seconda forte similitudine è rappresentata dai bivi narrativi disseminati per il gioco, durante i quali ci verrà chiesto di scegliere tra due possibili strade da percorrere. Le scelte importanti ai fini della trama sono, anche in questo caso, sottolineate dall'apparizione di uno sciame di farfalle blu. Questa volta però, sembra che gli sviluppatori abbiano affinato l'idea, rendendo le scelte del giocatore essenziali anche per la determinazione di uno dei finali multipli, mentre in Until Dawn le nostre scelte non influivano in alcun modo sul risultato conclusivo.

L'ultimo punto d'incontro tra le due opere è l'interattività ridotta all'osso del giocatore con l'ambiente circostante, che però nel caso di The Inpatient ricorda molto di più il gameplay tipico di un cosiddetto "walking simulator", piuttosto che di un film interattivo à la Quantic Dream. Una scelta che si sposa perfettamente con quello che ci si aspetta da un'esperienza per la realtà virtuale.

L'enorme spartiacque che differenzia però l'opera originale di Supermassive Games da The Inpatient è proprio, neanche a dirlo, la realtà virtuale. Il senso d'immersione garantito da un visore per la VR è davvero incredibile, anche se confrontato con un'esperienza in prima persona tradizionale. Quando si passa però da un'avventura fondamentalmente in terza persona, come Until Dawn, ad una in cui sei davvero tu il protagonista, il salto è ancora più evidente.

Anche altri personaggi ci accompagneranno nel nostro viaggio alla ricerca dei nostri tormentati ricordi.

L'immedesimazione è inoltre accentuata dall'ottimo lavoro tecnico svolto dallo studio, che già aveva dimostrato di sapere il fatto proprio. Da questo punto di vista hanno senz'altro aiutato gli ambienti chiusi, piccoli e bui, che consentono di produrre modelli e texture di alto livello usando a proprio favore anche i giochi di luce. Il momento più alto toccato nella demo da noi provata è stato senz'altro quello della "seduta" con il direttore Jefferson Bragg, i cui tratti sono stati realizzati con la stessa eccellente tecnica di motion capture del capitolo principale.

Nel buio del laboratorio si riesce a malapena a scorgere la figura di due uomini che lavorano davanti ad un macchinario. Ad un certo punto uno dei due, che si scopre essere Bragg, si avvicina a noi arrivando con il suo volto vecchio e calmo a pochi centimetri dal nostro. In quell'istante noi non siamo seduti sul divano con il controller in mano, ma ci troviamo letteralmente lì, in quella stanza buia e legati alla nostra sedia a rotelle, faccia a faccia con Bragg che ci pone alcune domande per valutare lo stato della nostra memoria, mentre alcuni ricordi riaffiorano vagamente come flash annebbiati.

In questa brevissima sessione si assaporano già tutte le enormi potenzialità di un'avventura in realtà virtuale che dovrà essere in grado di mescolare sapientemente horror psicologico a dinamiche più classiche, come il tipico jump scare presente verso la fine della demo. Il punto di forza del titolo potrebbe rivelarsi proprio l'universo preesistente di Until Dawn che porterebbe, chi ha giocato l'opera originale, ad immedesimarsi ulteriormente nelle tragiche vicende che hanno portato alla chiusura del manicomio di Blackwood Pines.

Spazi chiusi e bui sono in connubio perfetto per realizzare un'ottima esperienza in realtà virtuale.

Per scoprire se la nuova opera di Supermassive Games sarà in grado di soddisfare la nostra sete di esperienza davvero immersive per la realtà virtuale, non ci resta che aspettare il 22 novembre, data di uscita europea del titolo in esclusiva per PlayStation VR.

Avatar di Pier Giorgio Liprino
Pier Giorgio Liprino: Per far felice Pier Giorgio basta parlargli di politica, scienza e videogiochi. A questi ultimi s'è avvicinato da bambino giocando ad Age of Empires 2 e da allora è rimasto un appassionato PC gamer, con uno sguardo attento alle console.
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