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The Inpatient - recensione

Un orrore che dura da troppo... o troppo poco.

Esistono vari tipi di orrore. C'è quello esplicito e fragoroso, tipico degli slasher movie anni '80 come Nightmare, Halloween e Venerdì 13, ma anche quello dei torture-horror tanto di moda negli ultimi dieci anni, da Saw L'Enigmista a Hostel. Ne esiste una versione più subdola, che si fa sentire meno ma che colpisce all'improvviso con insana ferocia. Di questa categoria fanno parte giochi come Resident Evil e Outlast, ma anche film quali Le Colline hanno gli Occhi.

C'è poi una terza categoria, ancora più silenziosa ma per questo forse più terrificante, quella degli horror psicologici. Al cinema se ne sono visti tanti, ambientati più che altro in tetre e isolate magioni o in lugubri e inquietanti ospedali. Se avete visto film come Session 9, Shutter Island e The Ward del maestro Carpenter sapete di cosa state parlando.

The Inpatient è una bestia appartenente a questa terza specie. Fin dall'inizio in molti lo hanno accostato a Resident Evil 7, forse per il periodo di uscita (quasi un anno esatto dall'ultima fatica di Capcom) o forse per via di quelle due lettere che campeggiano su entrambe le confezioni dei giochi: VR. Sono invece due titoli profondamente diversi. Tutti e due si svolgono principalmente in ambienti chiusi ed opprimenti, ma dove RE7 imprime nel giocatore un senso d'ansia e paura dovuto più che altro a minacce fisiche, The Inpatient lo precipita in uno stato di incoscienza quasi totale e in un orrore che cresce in maniera diversa.

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Il protagonista di The Inpatient non sa perché si trovi nel sanatorio di Blackwood, non conosce neanche il suo nome e non ha la minima idea di cosa significhino i sogni e le visioni che lo perseguitano di notte e (soprattutto) di giorno. Tutti, dai dottori agli infermieri, si rivolgono a lui con tono amichevole, dicendogli che se la sta cavando bene, che presto sarà guarito e potrà tornare a casa. Ma guarito da cosa? Quale casa?

Starà a voi scoprire la sua storia, che è legata da un sottile filo a quella raccontata in Until Dawn e che verrà svelata attraverso finali multipli. Tranquilli, non è necessario aver giocato il precedente lavoro di Supermassive Games per poter godere al meglio della storia, ma chi lo ha fatto non potrà non ricordare la storia di "certi minatori" e di quello che accadde proprio a Blackwood all'incirca 60 anni dopo.

Rispetto ad altri titoli horror del recente passato, VR e non, The Inpatient è caratterizzato da un ritmo molto più lento. Non mancano occasionali spaventi improvvisi (uno in particolare ha rischiato di far passare a miglior vita il cane di chi vi scrive) ma in generale il ritmo è piuttosto basso e anche l'esplorazione è tutt'altro che frenetica. Ciò sicuramente aiuta chi soffre di problemi fisici dovuti all'utilizzo del PlayStation VR, la famigerata 'chinetosi', che in questo titolo sono ridotti davvero al minimo.

L'utilizzo dei PlayStation Move rende ogni azione molto più semplice, specialmente quando bisogna manipolare gli oggetti.

È possibile scegliere tra diverse opzioni di movimento ma come sempre il consiglio è di partire con il movimento laterale "a scatti" per poi eventualmente passare a quello completamente libero. In ogni caso chi vi scrive non ha avuto grandi problemi. Anche dopo sessioni di gioco vicine alle due ore, l'unico fastidio percepibile è stato quello dovuto al peso del dispositivo.

Stra-consigliato l'utilizzo di due PlayStation Move, che gestiscono autonomamente le braccia del protagonista e rendono i movimenti molto più naturali e fluidi. La fruizione tramite DualShock 4 è possibile ma DECISAMENTE più scomoda, soprattutto nella gestione della torcia, degli oggetti o nell'apertura delle porte. In questi casi è necessario utilizzare il controller con una sola mano per poter sfruttare il sensore di movimento e manipolare quello che si prende con il tasto R2.

Tornando al gioco, molti degli espedienti classici dell'horror sono stati usanti dagli sviluppatori per far correre lungo la schiena dei giocatori dei brividi freddi. Si va dagli infissi che sbattono ai latrati dei cani dietro le porta che (ovviamente) dobbiamo aprire, passando per le classiche luci che smettono di funzionare al nostro passaggio e alle ombre che appaiono all'improvviso davanti e dietro di noi. A questi però si aggiungono elementi più originali, quali la presenza di NPC di cui non sapete nulla e che nel corso del gioco metteranno a dura prova la vostra diffidenza.

Inizialmente sarete perseguitati da allucinazioni e il gioco cercherà di mettervi fuori strada con un gioco di scatole cinesi.

Solo interagendo con loro potrete scoprire la loro natura e tale interazione avviene soprattutto grazie ad intriganti dialoghi che possono essere portati avanti anche vocalmente. The Inpatient infatti implementa un sistema di riconoscimento vocale che contribuisce non poco a far sentire il giocatore dentro la storia. Potrete anche selezionare le risposte manualmente, ma farlo intonando la voce come se foste dentro un vero film horror è tutt'altra cosa.

Proprio come in Until Dawn, ciò che farete e direte influenzerà direttamente lo svolgimento degli eventi grazie all'ormai famoso "effetto farfalla". Quando una decisione fondamentale verrà presa, un effetto su schermo simile ad uno sciame di farfalle vi avvertirà che avete intrapreso uno dei tanti bivi della trama. Ovviamente solo alla fine saprete dove questo condurrà, il che significa che per conoscere tutti i dettagli di The Inpatient dovrete giocarlo più volte... a tutto vantaggio della longevità.

Per portare a termine una "run" sono necessarie poco meno di 3 ore, ma se avete intenzione di trovare tutti i ricordi sparsi in giro, questo numero può anche salire. È possibile assistere ad un paio di finali diversi semplicemente rispondendo in maniera diversa durante l'epilogo post-credits, mentre per vedere gli altri dovrete necessariamente rigiocare per intero l'avventura.

Incontrerete questo personaggio proprio all'inizio del gioco e verso la fine. Le due situazioni saranno MOLTO diverse.

Graficamente siamo di fronte ad uno dei migliori titoli per PlayStation VR, secondo solo a titoli come il già citato BioHazard 7 o Robinson: The Journey. Avendo un'ambientazione molto scura si nota spesso la retinatura del visore di Sony, ma in generale la resa è di ottimo livello. Eccellente il sonoro, sotto tutti i punti di vista. Abbastanza convincente il doppiaggio in Italiano, mentre l'audio 3D contribuisce ad aumentare la percentuale di pelle d'oca grazie alla resa cristallina resa di rumori, urla e scricchiolii vari.

The Inpatient dimostra ancora una volta che l'orrore funziona alla grande sul VR. Gli amanti del genere più navigati potrebbero trovarlo un po' troppo semplice e scontato rispetto a prodotti più sofisticati come Paranormal Activity: The Lost Soul o Here They Lie, ma gli "horrorofili" dal palato meno schizzinoso lo apprezzeranno sicuramente. Rispetto ad una produzione come Resident Evil 7, il gioco dei Supermassive Games ha pretese più modeste e una resa meno d'impatto, motivo per cui il prezzo di lancio di 39.90 euro risulta un po' troppo alto per un'esperienza sì sfaccettata, ma già ripetitiva se fruita più di un paio di volte.

7 / 10