Skip to main content

The Last Campfire - recensione

Un'avventura in un mondo magico e misterioso.

The Last Campfire è il perfetto esempio di una storia narrata con semplicità. Un'opera d'arte con un messaggio che va dritto al cuore.

The Last Campfire arriva sui nostri schermi senza grandi fanfare, quasi chiedendo il permesso di entrare nelle nostre vite videoludiche. Non ha trailer alla Micheal Bay, nessun ray-tracing da urlo, nessun attore famoso a prestare il volto per il personaggio principale.

Realizzato da un team interno di Hello Games composto da sole tre persone, The Last Campfire rappresenta un netto stacco rispetto all'unico titolo prodotto dalla compagnia, quel No Man's Sky che ha vissuto una gestazione complicata salvo poi rinascere come una fenice, diventando un titolo complesso e completo.

The Last Campfire è una favola, un viaggio di esplorazione interiore, un puzzle game con un messaggio personale. Nei panni di Ember, una creatura fiabesca e priva di fattezze umane, esploriamo un mondo che sembra quasi dipinto ad acquerelli. Scopriamo boschi, paludi e caverne che sembrano usciti direttamente da un libro illustrato con tratti di colore mai violenti.

La nostra missione, il nostro scopo, all'inizio non è molto chiaro: il video introduttivo mostra un pellegrinaggio, una processione di canoe che lentamente navigano un fiume in un bosco. Rimasti indietro perché distratti da un uccello posatosi sulla barca, perdiamo la nostra pagaia, portata via dalla corrente del fiume; senza possibilità di raggiungere gli altri, la canoa procede alla deriva e le nostre speranze sembrano perdersi nell'oscurità delle fronde che si chiudono attorno a noi.

Guarda su YouTube

Ci svegliamo in una caverna, in un altro ambiente cupo e misterioso. L'interfaccia è praticamente inesistente, ma non è un problema: la nostra interazione con il mondo avviene tramite mouse, come in un punta a clicca, e non c'è nulla di più semplice. Una voce narrante dolce, quasi musicale, ci accompagna nel corso del viaggio, descrivendo le nostre azioni e tratteggiando dettagli sullo stato d'animo del personaggio, come se queste fossero già scritte e parte di un libro, narrato come storia della buonanotte.

Dopo i primi passi, capiamo subito che questo non sarà un gioco normale. Ember si imbatte in uno scheletro; la prima reazione è paura, forse non ne ha mai visto uno prima d'ora; attorno al collo porta una borsa contenente una statuetta, che prontamente viene minserita nel nostro inventario. Lo scheletro si affloscia sul freddo pavimento della grotta, e la reazione di Ember, a questo punto, non è più il frutto della paura ma dell'empatia e della compassione, mentre con una mano dà un ultimo, estremo saluto.

Usciti da questa caverna siamo all'aperto: delle volpi corrono di fronte a noi mentre, un click dopo l'altro, arriviamo in una radura. Una fiamma tenue fluttua all'interno di una gabbia, imprigionata; un click sulla gabbia e veniamo trasportati in una caverna. Risolto l'enigma, la fiamma ritorna libera, e ci invita a seguirla attraverso il bosco.

Raggiunto quello che sembra essere un falò in mezzo alla foresta, la fiamma sembra sparire dentro una statua che ricorda molto le nostre fattezze. Questa lentamente si colora, ritornando alla vita. Si tratta di un "Forlorn", come lo spirito del falò ci spiega, "uno di noi" perso nella foresta, così disperato, così afflitto dalle proprie paure e incertezze da tramutarsi in pietra, a simboleggiare l'inabilità e la rassegnazione di chi è oppresso dai dubbi e dal peso della solitudine.

I messaggi che riceviamo dagli ember risvegliati sono profondi e fanno riflettere.

Qui finalmente comprendiamo il nostro scopo, ossia salvare più Forlorn che possiamo, aiutare chi si è perso non solo fisicamente ma anche mentalmente, offrendo una mano amica, una voce rassicurante pronta a sussurrare che tutto andrà bene, che nessuno è veramente da solo. Un messaggio forte, questo: chi soffre non dovrebbe essere mai lasciato solo.

Ogni Forlorn con cui interagiamo ci trasporta in una stanza con puzzle da risolvere che non sono mai complicati seppur sempre diversi, con variazioni sul tema che ricordano molto l'esperienza di Breath of The Wild, con blocchi e piattaforme da muovere grazie a un corno speciale. Ogni zona nasconde aree segrete che contengono i frammenti di un diario, anche questi interpretati dalla splendida voce narrante. A volte sono filastrocche, a volte pensieri e riflessioni, e aggiungono un ulteriore livello di comprensione e immersione.

La musica che ci accompagna per l'intera durata del gioco è rilassante, perfetta per un titolo che vuole essere un'esperienza da vivere tutta d'un fiato. Le similitudini con Journey sono evidenti: The Last Campfire è un progetto minimalista con un messaggio e una colonna sonora che ci prendono per mano per guidarci e accompagnarci nell'esplorazione.

The Last Campfire è un gioco che vuole essere giocato; ci cattura con il suo mondo splendidamente dipinto, con la sua storia splendidamente narrata, con i suoi puzzle ingegnosi e mai noiosi. Temi come la salute mentale, la solitudine e l'abbandono sono molto attuali, specialmente in un mondo così profondamente stravolto come il nostro.

Uno dei tanti puzzle da risolvere. Sempre diversi e accattivanti, ma mai impossibili da risolvere.

Periodicamente l'industria videoludica produce qualcosa di magico, che si discosta ampiamente dai roboanti titoli AAA. Giochi come The Last Campfire sono l'esempio lampante di come il nostro medium debba essere considerato una forma d'arte.

Non servono grafiche ultra realistiche e budget milionari. A volte bastano semplicemente un paio di pennellate di colore e una storia degna di essere narrata.

8 / 10