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The Last Days of American Crime - recensione

Ci fanno diventare buoni con l'onda!

Avevamo conosciuto Olivier Megaton (pseudonimo di Oliver Fontana) con l'enfatico melò/thriller Red Siren, seguito dal secondo e il terzo Taken, Transporter 3 e Colombiana.

Il regista in alcune occasioni era sembrato pura estensione di Luc Besson e della sua Europa Corp, in una serie di film sempre derivativi, assemblati con indubbio senso estetico ma scarso interesse alle psicologie dei personaggi, senza voler mai rileggere in una chiave un po' originale un genere tipicamente americano come l'action thriller.

Quindi leggendo la sinossi di The Last Days of American Crime e vedendo che era diretto da lui, sapevano più o meno cosa aspettarci. Purtroppo le aspettative, pur basse, sono andate ugualmente deluse.

Si parte bene, con un'idea che sarebbe piaciuta alla fantascienza pessimista/complottista degli anni '70. Siamo in una città al confine con il Canada, in cui folle di americani stanno cercando di espatriare, con conseguenti tensioni e incidenti. Come mai tanto nervosismo?

Fra pochi giorni diventerà operativo un sistema infallibile per sconfiggere la delinquenza che sta devastando il paese: un segnale emesso da una gigantesca torre-radio emetterà un impulso che, agendo sui cervelli della popolazione, la renderà incapaci di compiere azioni criminali, inducendo anche a liberarsi dei soldi illegalmente guadagnati.

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Bella invenzione, si sarebbe portati a dire, se non che un domani quali altri segnali si potrebbe inventare il Potere? Naturalmente, poliziotti e politici si potranno impiantare un chip che eviti di essere "influenzati".

C'è solo da interrogarsi come mai il segnale non passi il confine, investendo anche il Canada, ma queste sono sottigliezze o ci siamo persi qualcosa. Quindi ci sarebbe spazio per uno sviluppo interessante.

Ma la storia si focalizza su Bricke (Édgar Ramirez), un rapinatore senza scrupoli, braccato pure dalla banda egemone in città, gente ferocissima ovviamente, che sta cercando di salvarsi la pelle e assicurarsi un futuro.

Mentre è alle prese con i suoi problemi, si lascia sedurre da una femme fatale (che entra nel bar sulle note di Glory Box dei Portishead), che lo trascina in un bagno per un fugace amplesso, per rivelarsi poi 'fidanzata' di un inquietante tizio (il redivivo Michael Pitt, ancora in forma però).

Édgar Ramirez, l'eroe disilluso.

L'uomo convince Bricke a unirsi a loro per portare a termine l'ultimo colpo possibile prima del 'lockdown', agganciandolo grazie a storie sul suo amato fratello, defunto in carcere con modalità sospette.

La mega rapina, un miliardo di dollari, avverrà a cavallo dell'emissione del segnale grazie a un hackeraggio effettuato dalla ragazza, che inopinatamente ha altre doti oltre l'avvenenza. Molte altre cose succederanno, perché il film è pure lunghissimo (due ore e mezza) e Megaton si compiace nel costruire ambienti pittoreschi, da illuminare con colorazioni arty, inondandoli di hit famose.

Non mancano sparatorie, pestaggi sanguinosi, ammazzamenti pittoreschi. C'è anche l'FBI, nelle vesti di due agenti criminali, che creano non pochi problemi. E qua e là compare un agente di Polizia, la cui ragion d'essere tutt'ora ci sfugge, che è Sharlto Copley e non si capisce come sia finito lì e perché.

Tutto questo prologo dura quanto un film normale e solo dopo più di un'ora e mezza si arriva all'esecuzione del colpo e almeno un po' di interesse si risolleva. Pur richiedendo una sospensione dell'incredulità davvero elevata, la storia si avvia verso un finale più movimentato e drammatico, dove Bricke capirà finalmente quali giochi nascondevano alcuni personaggi.

Michael Pitt fa il cattivo sopra le righe.

The Last Days avrebbe potuto essere un onesto film di genere, un b-movie vecchio stile, che pure nel finale cercava di scostarsi un po' dal prevedibile. Avrebbe potuto, se appena Megaton non avesse ecceduto nel tono, perché anche i personaggi più stereotipati vanno rifiniti, e avesse compattato la storia, che oltretutto, pur nella sua prolissità, lascia spazio a qualche perplessità. Il film non è Sin City insomma e Megaton non è Rodriguez o Tarantino. La sceneggiatura, scritta da Karl Gajdusek (Oblivion, November Man), è tratta da un fumetto del 2009 di Rick Remender, uno con un pedigree corposo, e Greg Tocchini e questo forse spiega la schematicità dei personaggi.

Quanto al cast, Ramirez è un attore che abbiamo apprezzato in diversi film (Domino, Che -L'argentino, Zero Dark Thirty, il remake di Point Break, le serie Carlos e American Crime Story in cui era un credibile Versace). Qui è quello che si impegna di più e, senza mai raggiungere vette di espressività, riesce a sembrare il personaggio più credibile, pur nel suo cliché di disperato eroe negativo.

Pitt deborda facendo l'infido plateale, che non si capisce come un gangster professionale come Bricke gli possa dare credito, un maniaco omicida cocainomane, con gravi problemi edipici. Ci piace ricordarlo in un film anomalo nella sua cinematografia, Il condominio dei cuori infranti, surreale e poetico, più che in Dreamers o Funny Games.

E lei fra di loro...

Anna Brewster mostra una sospetta somiglianza con Asia Argento ai tempi di Red Siren, si vede che a Megaton piace quel tipo. In effetti somiglia molto all'originale del fumetto, sarà stata scelta per quello, ma sorvoliamo sulla prestazione.

Nel complesso si tratta di un'occasione sprecata, con una storia e dei personaggi potenzialmente interessanti, che avrebbero meritato una regia di maggiore sostanza. Il film sarà disponibile su Netflix dal 5 giugno.