The Last Guardian - recensione
Un viaggio alla scoperta dell'amicizia più pura.
Per gli amanti dei videogiochi le ultime settimane sono state un sogno a occhi aperti. A distanza di una manciata di giorni sono arrivati due titoli rimasti in sviluppo per oltre dieci anni. Promesse di mondi fantastici e di avventure appassionanti, su cui ognuno di noi non vedeva l'ora di mettere le mani.
Dopo aver archiviato l'ottima esperienza vissuta con Final Fantasy XV, ci siamo immersi con timore nel sognante The Last Guardian, sperando di ricevere ancora una volta sensazioni positive che dessero un senso alla pazienza con cui abbiamo aspettato il completamento del progetto. Appena inserito il disco, le prime vibrazioni sono state calde e positive. L'atmosfera era quella di sempre. La delicata sensibilità di Fumito Ueda, il suo approccio narrativo e la sua capacità di creare mondi ciclopici, alieni e malinconici traspare appena si avvia il gioco.
Nei panni di un bambino di cui non conoscevamo nemmeno il nome, ci siamo trovati bloccati fra alcune antiche rovine in compagnia di Trico, una bestia mangia uomini ferita e visibilmente spaventata. Come da tradizione, Ueda ci lancia subito nel cuore dell'azione, lasciando a dei poco eleganti pop-up il compito di spiegare parte delle meccaniche di gioco.
L'approccio minimalista è evidente, ma bastano pochi istanti per creare un legame con il gioco e la sua filosofia. Dopo qualche tentativo, Trico e il bambino sono finalmente liberi di esplorare il mondo, forti di un neonato rapporto destinato a cementarsi nel corso delle ore.
Togliamoci subito il dente e parliamo dell'aspetto tecnico. Sotto questo punto di vista, il titolo Sony mostra tutte le difficoltà del suo sviluppo. La telecamera tende a creare più di un problema quando, cavalcando Trico, si entra all'interno di stanze piccole o si passa attraverso aperture di dimensioni ridotte.
In questi casi controllare il bambino è davvero difficile, anche a causa di una gestione non impeccabile dei controlli in arrampicata. A volte non si riesce a capire verso dove muovere la levetta del DuakShock 4, per andare nella direzione desiderata. La qualità delle texture non impressiona, mentre il motore grafico soffre di qualche rallentamento di troppo, soprattutto nelle zone più complesse e quando Trico effettua i lunghi balzi da una piattaforma all'altra.
A questo si aggiunge un'Intelligenza Artificiale non sempre reattiva come avremmo sperato. I comportamenti e le reazioni di Trico sono convincenti, ma in diverse occasioni (soprattutto nella prima metà del gioco) la creatura fatica a interpretare i comandi impartiti, costringendo a darli più e più volte.
Il problema è che in alcune circostanze la risoluzione degli enigmi dipende dalle azioni della bestia. In più di un'occasione ci è capitato di entrare in una stanza, capire subito come risolvere il puzzle ambientale, riuscendo però a farlo solo dopo diversi minuti e un gran numero di tentativi.
Sotto questo punto di vista, The Last Guardian ci ha riportato alla mente alcune vecchie avventure punta e clicca, in cui per andare avanti era necessario trovare il pixel esatto con cui interagire. Magari la soluzione dell'enigma si intuiva subito, ma si perdeva tempo cliccando ovunque alla ricerca del feedback tanto atteso.
E no, non si tratta di una cosa voluta dagli sviluppatori per simulare meglio il rapporto con un animale selvatico. Quella potrà essere la giustificazione ufficiale, ma il fatto che in alcune situazioni, anche all'inizio, i comandi vengano eseguiti all'istante, mette in luce tutti i problemi dell'Intelligenza Artificiale.
Dopo una simile introduzione potreste aspettarvi la completa demolizione del gioco, ma la realtà è molto diversa. Quello che The Last Guardian perde sul fronte tecnico, infatti, lo recupera abbondantemente su quello emotivo, offrendo al giocatore un'esperienza che, nella sua arretratezza, fa il giro e diventa innovativa.
Nel mercato attuale è praticamente impossibile trovare giochi come The Last Guardian. La narrazione delicata, le ambientazioni affascinanti e il gameplay così squisitamente ricercato sono un'eredità di altri tempi. È come se in questi anni, per Fumito Ueda, il mercato dei videogiochi si fosse congelato.
Il viaggio di Trico e del suo piccolo amico procede seguendo ritmi perfetti, ben bilanciati e offrendo sempre la giusta dose di emozioni. Le meccaniche che regolano il rapporto tra il bambino e il suo cucciolone fuori scala nascono dall'unione di quanto abbiamo visto in Ico e in Shadow of the Colossus.
Le arrampicate sul dorso di Trico sono l'eredità lasciataci dai Colossi, mentre le lotte con i golem desiderosi di rapire il bambino e di trascinarlo dietro le porte luminose sparse per le ambientazioni, replicano quanto vissuto con l'esile Yorda e le ombre di Ico. Solo che questa volta siamo noi a dover scappare e Trico a doverci difendere. Se è vero che le reazioni dell'I.A. non cambiano nel corso del gioco (salvo aggiungere animazioni sempre più espansive e affettuose), il giocatore impara a riconoscere alcuni segnali e comportamenti di Trico, per reagire di conseguenza.
Ora dopo ora si impara a capire quando l'animale vuole dirci qualcosa. Vuole che gli montiamo in groppa? Ha fame? È in cerca di coccole? Vuole farci scendere perché dobbiamo esplorare una parte del livello a piedi? Andando avanti con il gioco, dai comportamenti di Trico si possono recuperare informazioni importanti ai fini dell'esplorazione.
Il lavoro svolto dal team di sviluppo in tal senso è impressionante e si incastra perfettamente in un gameplay ben studiato, dove spesso è possibile raggiungere il medesimo risultato in più di un modo. Diverse volte ci è capitato di faticare per arrampicarci fino a una piattaforma, per poi scoprire che Trico ci sarebbe potuto arrivare con un solo balzo.
In altre occasioni, invece, ci siamo concentrati troppo sulle opzioni a disposizione dell'animale per cercare di uscire da una situazione difficile, salvo poi scoprire di potercela cavare da soli. In più di un'occasione Trico si dimostra un alleato prezioso, anche se non sempre incline a soddisfare le nostre richieste. The Last Guardian ha anche il merito di non appiattire mai l'esperienza. Tra uno scorcio meraviglioso e l'altro, tra un'arrampicata da cardiopalma e una passeggiata su funi sospese nel vuoto, il gioco trova sempre nuovi modi per movimentare le cose.
Ora può essere un enigma basato sul comportamento dei fluidi, ora uno che sfrutta il principio della catapulta. Per procedere con l'avventura è sempre necessario aprire la mente e valutare ogni possibile situazione, soprattutto se si vogliono trovare i preziosi barili con cui nutrire Trico. Alcune meccaniche, poi, vengono presentate all'inizio del gioco per sparire per gran parte dell'avventura, salvo poi ripresentarsi nelle fasi finali, garantendo grande soddisfazione.
Vista la sua struttura, è strano che il gioco non spieghi alcune delle sue meccaniche. The Last Guardian è parco d'informazioni. Non viene spiegato, per esempio, che cliccando una delle levette si può meditare per ottenere consigli utili per risolvere gli enigmi, attraverso una provvidenziale voce narrante. O meglio, il pulsante viene segnalato nelle opzioni, ma non se ne parla mai durante il gioco.
Si tratta di un'informazione importante per procedere nell'avventura, oltre a non essere l'unica omissione. Considerata la presenza costante dei suggerimenti su schermo, anche dopo diverse ore di gioco, avrebbe avuto più senso illustrare anche le meccaniche inspiegabilmente taciute.
Per ovvi motivi non vi racconteremo nulla della trama. Abbiamo completato il gioco in poco più di dieci ore, rimanendo affascinati dalla storia, dal modo in cui viene narrata e da alcune soluzioni scelte per i combattimenti e altre scene del gioco. Come risultato di tutto questo possiamo dire di aver salvato una quantità impressionante di foto sulla nostra console.
La qualità artistica di The Last Guardian è eccezionale e vi capiterà più volte di abusare del tasto Share per immortalare un paesaggio, una situazione o un'interazione fra Trico e il bambino. Quando un gioco è in grado di offrire queste sensazioni, il comparto tecnico passa del tutto in secondo piano.
Una volta superato il primo impatto con i problemi citati all'inizio dell'articolo, il mondo di The Last Guardian coinvolge come pochi altri, facendo vivere un'esperienza che colpisce dritta al cuore. Se giocando Watch Dogs 2 vi siete fermati ad accarezzare ogni cane che avete incontrato per strada, se ricordate con un sorriso il tasto "hug" di A Boy and his Blob o se in Final Fantasy XV non potevate rifiutare una carezza ai soffici chocobo, poi, passerete ore a coccolare Trico.
Noi ci siamo regolarmente fermati ad accarezzare l'amico piumato, grattandolo sul collo, sprimacciandogli le ali o abbracciandogli il testone. E quando abbiamo finito il gioco, abbiamo spento la console con un unico pensiero in testa: "è stato bello". Se volete vivere una poesia d'altri tempi, un viaggio alla scoperta dell'amicizia più pura, fatevi un favore e giocate The Last Guardian. Mai come in questo caso, non dovreste lasciarvi scoraggiare dagli innegabili difetti tecnici.