The Legend of Zelda Ocarina of Time: Come nasce un capolavoro? - speciale
Innovazioni, meccaniche e sviluppo di una pietra miliare.
Con la straripante crescita conosciuta dal medium del videogioco nel corso del ventennio appena concluso, la sfera della critica ha dovuto confrontarsi con l'inesorabile stratificazione qualitativa che ha accompagnato l'esplosione dell'industry. Al giorno d'oggi, definire cosa faccia un capolavoro è un'operazione estremamente complessa: da un lato ci sono le sfumature tecniche, sempre più spesso incapaci di portare innovazioni trascendentali, dall'altro c'è il peso specifico della dimensione artistica, forte di un'evoluzione che le ha permesso di soppiantare i giganti di Hollywood, infine c'è l'apporto del designer, ruolo che ormai è particolarmente vicino alla figura del grande regista cinematografico.
Un tempo era molto più semplice individuare le pietre miliari, perché semplicemente ridisegnavano i confini del videogioco tradizionale, talvolta spingendo la programmazione oltre il limite dell'epoca o addirittura introducendo meccaniche destinate a diventare standard imprescindibili. The Legend of Zelda per NES, ad esempio, introdusse per primo i sistemi di salvataggio interni alle cartucce, il cosiddetto Battery Back-up Saving, eliminando una volta e per sempre le obsolete password che consentivano di riprendere l'avventura. Duke Nukem 3D, dal canto suo, fu il primo FPS ad introdurre il sistema di mira in "free look" attraverso il mouse, poi perfezionato da Bungie con il suo Marathon fino a eliminare interamente le frecce direzionali.
Di tanto in tanto, tuttavia, uscivano titoli capaci di iniettare una dose di linfa vitale fuori dal comune, penetrando le radici della disciplina al punto tale da cambiare la storia di numerosi decenni a venire. Cavalcare fra le pianure del New Hanover in Red Dead Redemption 2, arrampicarsi con balzi di parkour sulle antiche strutture di Assassin's Creed Odissey o aggirare un non morto nelle iconiche e decadenti ambientazioni di Dark Souls: c'è una sottile linea che lega tutte queste azioni a The Legend of Zelda: Ocarina of Time, uno fra i più grandi capolavori nella storia dell'industry nonché, probabilmente, il titolo più innovativo degli ultimi 21 anni.
Ovviamente non è solo l'incisività dei sistemi proposti a porre un punto fermo nell'evoluzione del game design, ma è evidente che la prima avventura tridimensionale di Link sia stata una vera e propria fucina di novità. La più importante risedeva senza dubbio nei controlli context-sensitive, una meccanica che al giorno d'oggi è presente in qualsiasi videogioco. In Ocarina of Time, per la prima volta, la funzione del pulsante A variava a seconda delle circostanze ambientali: consentiva di scalare un muro, spingere un oggetto, arrampicarsi, rotolare, raccogliere strumenti e dialogare, il tutto semplicemente in ragione del contesto. Per l'epoca era un concetto fantascientifico.
Allo stesso modo, il team di Miyamoto mutò per sempre il genere action attraverso l'introduzione dello Z Targeting, celebre strumento di lock-on che avrebbe ridefinito tutti i sistemi di combattimento tridimensionali. È possibile che gli splendidi incroci di spade di From Software non sarebbero gli stessi senza l'influenza di Link e compagni, capaci di spianare la strada al moderno scontro coreografico e al recente 'freeflow'. Le implicazioni della meccanica aprirono le porte a quella telecamera contestuale che, in netta contrapposizione a Super Mario 64, sottraeva un pizzico di controllo al giocatore per puntare i riflettori sull'universo virtuale.
Un universo che costituiva la scenografia perfetta per mettere in scena la prima ambientazione open-world in 3D nel sottobosco dell'action, preparando il terreno per la straordinaria impennata del genere. Fin dal 1987 Nintendo, e soprattutto Shigeru Miyamoto, erano impegnati a distinguere due grandi filoni creativi: le cosiddette Zelda Ideas e le ben diverse Mario Ideas. Le prime puntavano a calcare la mano sulla libertà d'azione e sul gameplay emergente, mentre le seconde avrebbero dovuto settare gli standard per le esperienze lineari.
A onore del vero, il primo embrione di Ocarina of Time avrebbe dovuto contare su un HUB proprio come lo splendido Castello di Peach che ospitava l'idraulico baffuto, ma il designer era intenzionato a non tradire le origini di Link, mettendo in scena un'ambientazione da scoprire passo dopo passo, proprio come era accaduto a Shigeru durante l'esplorazione delle silenziose campagne attorno alla cittadina di Sonobe.
Beh, è inutile dire che lo scopo fu raggiunto pienamente. Il regno di Hyrule nascondeva fra le texture spigolose una moltitudine di tesori, segreti e panorami accarezzati dal benefico effetto del ciclo giorno-notte e da quella "dimensione parallela" che pescava a piene mani nel tessuto di Chrono Trigger. Certo, prima di Ocarina of Time erano esistite decine di produzioni capaci di creare un mondo vasto e perfettamente caratterizzato, basti pensare alle diverse iterazioni di Ultima o a Daggerfall, ma le cavalcate in groppa a Epona costituivano una prova tangibile della fattibilità di un mondo su vasta scala in 3D.
Ma come nasce un capolavoro come The Legend of Zelda: Ocarina of Time? L'opera fu il primo progetto non solo di Nintendo, ma nell'intero panorama del medium, ad essere gestito da diversi team contemporaneamente, ciascuno dotato di un direttore e tutti quanti supervisionati dal solo Miyamoto. Si trattava di una struttura operativa particolarmente vicina a quella adottata dai Rockstar Studios durante la costruzione delle sue ultime release, in particolare di Red Dead Redemption 2, apparentemente ricalcata da CD Projekt per la creazione di Cyberpunk 2077.
Data questa premessa, il titolo finito avrebbe dovuto essere a dir poco enorme. Effettivamente, il concept originale non prevedeva un'uscita standard su Nintendo 64, bensì l'esordio assieme al sistema di espansione hardware 64DD, una periferica destinata al solo mercato giapponese che avrebbe permesso la gestione di cartucce da 64 mega, il doppio rispetto alla controparte retail. Era una soluzione che sembrava inevitabile per integrare nel prodotto le oltre 500 animazioni motion-captured pensate per dar vita all'innovativo sistema di combattimento.
Alla fine, l'ipotesi fu scartata, e Ocarina of Time divenne la prima opera ad occupare interamente i 32 mega di cartuccia su Nintendo 64. Nintendo EAD mise in piedi una decina di squadre operative: c'era un team dedicato allo scenario, uno alle azioni di Link, uno che si occupava della transizione delle meccaniche in tre dimensioni, un altro impegnato sugli effetti speciali e uno addirittura destinato ad implementare 'lo scorrere del tempo'. Aonuma ha dichiarato che attraverso Zelda è nata dal nulla l'intera tecnologia tridimensionale di Nintendo; non c'erano asset preesistenti o meccaniche consolidate: ciascun elemento del prodotto finito avrebbe dovuto definire le tecniche e la futura filosofia di design della compagnia.
Durante la produzione furono impiegati più di 120 dipendenti, fra i quali comparvero persino stuntman esperti nella tecnica spadaccina Chambara, impiegati in lunghe sessioni di mocap per dare vita ai movimenti del protagonista. Inoltre, la componente narrativa di Osawa e Tanabe dovette costantemente adeguarsi alle sottigliezze del gameplay. Con l'introduzione dello Z Targeting, ad esempio, il cursore inizialmente chiamato "Navigation System" fu presto sostituito da una fatina, e fu proprio da quell'embrione di programmazione che fu estrapolato il nome di Navi, solo in seguito divenuta parte integrante della scrittura.
Prima di allora, infatti, Miyamoto desiderava immergere il giocatore nei suoi ricordi di gioventù per mezzo di una formula in prima persona, e gran parte delle meccaniche rivoluzionarie nacquero solo in seguito al repentino cambio di rotta. La virata nel focus fu talmente immediata da colpire duramente la sceneggiatura e l'intero procedimento di sviluppo. Basti pensare che Kawagoe, persona in carica delle cutscenes di Nintendo, guardava con interesse verso la concorrenza. Erano gli anni delle grandi cinematiche della prima era Playstation, sequenze capaci di settare un nuovo standard estetico, specialmente fra i confini di Final Fantasy.
Dal canto suo, Miyamoto scelse di puntare sul rendering di filmati in tempo reale basati sul motore di gioco, scelta che si rivelò più che mai azzeccata. Anzitutto, sarebbe stato l'unico modo per includere gli oltre 90 minuti di cutscenes nella cartuccia da 32 mega e scoraggiare l'impiego del 64DD. Inoltre, si rivelò una decisione determinante quando, a pochi mesi dalla release, l'avventura di Link fu stravolta quasi del tutto, costringendo i programmatori a rimpiazzare in un brevissimo lasso di tempo numerosi segmenti narrativi, operazione che in altre circostanze non sarebbe stata possibile.
Paradossalmente, fu proprio dal caos scaturito dagli anni di produzione che prese forma l'opera completa. Guardando Ocarina of Time oggi sembra di avere a che fare con un titolo che ha camminato sul velluto durante la fase di sviluppo, quando in realtà le sfide affrontate da Nintendo sono state più ruvide che mai. Erano solo due i reparti capaci di soddisfare appieno le aspettative del supervisore, portando avanti solide idee di design dalla prima stesura fino ai titoli di coda: quello del dungeon design, e quello della musica.
Spesso siamo portati a non tenere conto dell'impatto scaturito dalle numerose istanze indoor. Responsabile dei templi e della ricerca alle tre pietre sacre era nientemeno che Eiji Aonuma, una personalità mitologica per l'universo di Zelda. Ancora oggi, dinanzi al mastodontico Breath of the Wild, alcuni appassionati continuano a sentire la mancanza di quei memorabili livelli, antri caratterizzati da una narrativa unica e da un'architettura che definire all'avanguardia sarebbe un eufemismo, specialmente per quanto riguarda l'esplorazione degli spazi.
Il puzzle design introdotto nell'opera ha gettato le basi per decine, se non centinaia di interpretazioni passate alla storia. Un altro capolavoro come Portal, ad esempio, deve parte delle sue sfide all'abilità di Link di riflettere fasci di luce all'interno dello Spirit Temple, feature che ha fatto capolino persino nella saga di God of War. Più in generale, è a Ocarina of Time che dobbiamo la classica massima del "guardare in alto" per risolvere un enigma: risale ad allora, infatti, la prima implementazione della verticalità nell'universo action Nintendo, elemento che sfuggì per un decennio alle possibilità dei classici.
Per quanto riguarda il comparto sonoro, invece, non si è mai reso il giusto tributo all'incredibile lavoro svolto da Koji Kondo. Anche questo campo è stato un terreno estremamente fertile per innovazioni poi passate alla storia; spicca su tutte quello che fu definito come il 'reverse-leitmotiv' nella composizione videoludica, una tecnica volta ad annunciare l'arrivo in una nuova area attraverso un tema musicale dedicato, secondo una cura che era solitamente riservata all'introduzione dei singoli personaggi, specialmente nelle opere di Richard Wagner.
Senza contare che, fin dai primi documenti di design, la musica rivestiva un ruolo fondamentale all'interno del gameplay, intrecciando meccaniche e narrativa lungo il celebre spartito di cinque note dedicato all'Ocarina del Tempo. Kondo colse la palla al balzo, e non solo scrisse una serie di motivi che ancora oggi fanno parte dell'eredità della cultura di massa, ma li sfruttò fino in fondo per caratterizzare aree di gioco e PNG attraverso varianti più elaborate ed orchestrali.
Se dovessimo scegliere a nostra discrezione il più grande lascito dell'opera, sarebbe senza dubbio il concetto di apertura del mondo di gioco. Dopo le prime ore trascorse negli stretti confini della Kokiri Forest, l'ingresso nelle terre di Hyrule segnava l'inizio di un'avventura senza precedenti, presentata in modo sbalorditivo. Questa filosofia divenne indissolubile, ad esempio, dalle produzioni di Bethesda Game Studios: tutte le istanze di Fallout e The Elder Scrolls, dopo un incipit all'interno di un Vault o di una segreta, alzano il sipario su un panorama mozzafiato, scelto con estrema cura per offrire una profondità di campo che sia la più vasta possibile.
A 21 anni di distanza dalla prima release, The Legend of Zelda: Ocarina of Time siede ad un solo punto di distanza dal Perfect Score secondo l'aggregatore Metacritic, e la versione per Nintendo 3DS ha sfiorato i risultati del lancio originale, dimostrando l'immunità del progetto all'invecchiamento tecnologico. Sono in molti a chiedersi se ci sarà mai un titolo capace di avere un simile impatto sul medium nella sua interezza, magari riuscendo addirittura a soppiantare i risultati raggiunti dal primo Link tridimensionale.
In fin dei conti, la chiave dello straordinario successo dell'opera risedeva proprio nella sua autenticità, una semplicità che nascondeva, nel tessuto tipico della fiaba, tecniche e innovazioni quasi irripetibili. Ed è stato proprio questo genere di interpretazione a dipingere il sottotesto alla base di Beath of the Wild, un progetto che ha preso le distanze dalle recenti stravaganze della saga per abbracciare ancora una volta la sensazione di meraviglia infantile nata dall'incontro con il mondo fantastico. Dal canto nostro, siamo certi che la strada intrapresa da Nintendo sia quella giusta, e non vediamo l'ora di assistere a un nuovo capolavoro.