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The Occupation - recensione

Una immersive sim in miniatura travestita da thriller investigativo.

Sarebbe semplicissimo etichettare The Occupation come la più classica delle occasioni perse ma a conti fatti il team di White Paper Games è riuscito a creare esattamente il gioco che aveva progettato. Più che una storia di occasioni perse l'ultima opera dei creatori del già interessante Ether One sembra più adatta a un altrettanto classico "what if". Cosa sarebbe successo se il concept dietro a questo peculiare progetto fosse stato affidato a un team più corposo e con risorse illimitate? Cosa sarebbe successo se invece di essere un progetto di uno studio di nove persone fosse stato un progetto AAA?

Ma si sa, con i se non si va da nessuna parte e le domande che ci siamo posti sono per molti versi quasi fantascienza. D'altronde quanti tra voi si aspettano un'avventura in prima persona fortemente narrativa, radicalmente stealth e caratterizzata da sezioni a tempo e da un sistema di salvataggio molto rigido da una grande compagnia? Pare quasi una domanda retorica. Questo titolo è quindi un figlio naturale della scena indie ma la sua stessa natura porta con sé delle magagne tecniche che rischiano di oscurare il valore delle idee e l'implementazione di meccaniche sicuramente peculiari.

Dopo diversi rinvii che hanno spinto l'uscita a inizio febbraio e successivamente a inizio marzo, The Occupation arriva su PC, PS4 e Xbox One con il suo carico di tematiche delicate e fortemente politiche e con tanta curiosità per una struttura di gioco che trasforma il tempo in una risorsa e a conti fatti anche in un nemico. Perché non importa ciò che facciamo, ciò che scopriamo e ciò che otteniamo, dopo quattro ore ci rimarrà solo l'epilogo, con il peso delle nostre scelte e dei nostri errori. Ma è davvero così? La risposta più diretta e corretta sarebbe quasi.

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Nella notte del 24 ottobre del 1987 qualcosa cambia per sempre nella vita degli inglesi (di questa realtà fittizia), si innesca un sentimento che rischia di far prendere decisioni avventate, una paura che potrebbe dare vita a un mostro ancora più grande di quello che si cerca di contrastare. Un attentato, apparentemente un'esplosione, causa la morte di 23 persone, individui il cui fato si intreccerà saldamente a quello di un'intera nazione e che alimenterà i venti di un cambiamento che ormai sembra l'unica strada percorribile. L'Union Act è l'unica salvezza, l'unico barlume di sicurezza anche a discapito di parte della libertà. O forse no?

Questo è uno degli interrogativi che The Occupation ci mette di fronte sin dalla prime battute di una narrazione non sempre semplice da decifrare e in certe occasioni leggermente cervellotica e satura di dettagli. Con l'atteggiamento adatto e una buona apertura mentale, il comparto narrativo tratteggiato da White Paper Games riesce però a convincere in più di un'occasione nonostante alcuni stereotipi e un animo complottista che non tutti potrebbero apprezzare. La trama assume così i tratti di un thriller investigativo in cui la verità è una tonalità di grigio la cui sfumatura dipende da noi, o meglio, da Harvey Miller.

Il nostro alter ego principale (ma non l'unico statene certi) non ha una voce ma parlerà attraverso alcune nostre scelte all'interno di delle sorta di colloqui con delle personalità chiave della vicenda e dell'attentato teoricamente terroristico che si è appena consumato. Miller è uno scrittore e un giornalista che non ha paura di rischiare e il cui background, rivelato da piccoli dettagli e alcuni commenti degli NPC, dimostra una personalità forte, incorruttibile e senza peli sulla lingua. Saranno comunque le nostre azioni a decidere quale sarà effettivamente il suo atteggiamento di fronte alle scoperte o alle non scoperte fatte.

Mettere insieme ogni tassello dell'intricata narrazione di The Occupation sarà una sfida anche per i giornalisti investigativi in erba.

Già perché sul buon comparto narrativo si innesta come detto un'avventura dalla struttura a dir poco peculiare. Va comunque detto che il gioco non si sviluppa nel corso di 4 ore, non solo almeno. A conti fatti una singola run dura circa 6 ore, dato che ci sono alcune fasi in cui il tempo non è così tiranno come le altre e non sarà una costante spada di Damocle da gestire. Una singola run è comunque poco per scoprire tutto o quasi quello che gli ambienti di gioco nascondono e quindi almeno una seconda partita è non solo consigliabile ma anche più che sensata.

Un secondo tentativo permette infatti di fare tesoro degli errori commessi e di ottimizzare ancora più efficacemente il tempo, che come detto e ridetto sarà tanto una risorsa da coltivare con cura quanto una condanna. Il grosso dell'avventura è infatti condizionato da una manciata di "appuntamenti" inderogabili che ci metteranno di fronte ad alcuni colloqui/interrogatori in cui le scoperte fatte avranno un peso notevole sulle domande disponibili e sulla capacità di interagire con l'interlocutore.

Poniamo l'esempio che arrivati in un edificio alle 15:00 abbiamo un appuntamento con una responsabile fissato per le 16:00. Questa ora scorrerà esattamente in tempo reale e ci darà la possibilità di investigare, seguire piste, esplorare e ovviamente agire da spie provette più che da semplici giornalisti. Il nostro dossier ci darà una mano anche se inizialmente non sarà così semplice da sfruttare a pieno a causa di una combinazione di controlli non propriamente intuitiva. Questa sorta di "diario" in continua espansione contiene le piste su cui possiamo indagare, informazioni generali sulla struttura e la routine degli NPC ma anche le domande che abbiamo finora sbloccato grazie alle nostre scoperte.

Il dossier è uno degli emblemi delle meccaniche di gioco ideate degli sviluppatori: riuscito ma un po' macchinoso.

L'esplorazione è quindi cruciale dato che spesso è necessario avventurarsi in zone off-limits senza farsi individuare dalle guardie di sicurezza o senza far scattare alcun allarme. Potremmo trovare una carta magnetica necessaria a proseguire, avventurarci sui cornicioni aprendo una finestra del secondo piano o perché no strisciare nelle prese d'areazione. In alternativa dare un'occhiata alle stanze e alla loro posizione potrebbe per esempio farci capire che disattivare il fusibile giusto potrebbe aprirci letteralmente un mondo.

The Occupation è uno di quei giochi che potrebbe essere definito system-driven e che ha regole sotto molti aspetti rigide ma anche una marea di alternative. Ci siamo ritrovati ad interagire con password, terminali, tapparelle da chiudere per proteggerci da occhi indiscreti, floppy contenenti informazioni criptate da stampare e inviare via fax alla nostra redattrice, il tutto trovando le postazioni dedicate a queste mansioni con il costante terrore di essere individuati da una delle due guardie che setacciano le zone di gioco. Ma state tranquilli, il game over non è di casa.

Farsi scoprire in un'area riservata porta a un avvertimento e nel caso succedesse ancora c'è la minaccia di allontanamento dell'edificio. Si tratta di una "pena" sicuramente originale anche se cozza con uno dei problemi più evidenti dell'avventura: il lato tecnico. Nonostante le patch che gli sviluppatori stanno continuando a pubblicare con grande impegno, abbiamo incontrato alcuni bug, di cui uno in particolare che ci ha costretto a uscire dal gioco perché il nostro alter ego era sostanzialmente sprofondato nella mappa.

Risorsa e nemico impietoso. Il tempo è uno degli attori protagonisti di questa avventura.

Al di là dei bug abbiamo anche dovuto fare i conti con una IA non sufficientemente consistente per l'impronta stealth della produzione, con casi in cui le guardie si rivelano estremamente attente arrivando addirittura a scovarci in nascondigli teoricamente perfetti e altri in cui si dimenticano immediatamente di noi dopo una porta sbattuta in faccia. È una mancanza di coerenza su cui è difficile chiudere un occhio anche perché il sistema di salvataggio adottato è comprensibilmente molto rigido perché cerca di dare a decisioni ed errori un peso molto importante.

Il gioco sfrutta infatti un sistema automatico all'inizio di ogni nuovo capitolo con sessioni che in certi casi possono durare anche più di un'ora prima di imbattersi nella schermata che conferma il salvataggio. Dover accettare il peso delle proprie scelte è un conto, dover ricaricare il capitolo da capo per un bug rischiando di perdere un'ora di gioco è ovviamente un altro discorso.

Vale la pena evidenziare anche un sistema di controllo non calibrato al meglio a livello di precisione e leggermente complesso controller alla mano. La voglia di garantire molta interazione ma di renderla allo stesso tempo complessa si dimostra quindi un'arma a doppio taglio. Chiude l'analisi un comparto artistico decisamente più convincente di quello tecnico, delle musiche incalzanti e in grado di trasmettere perfettamente il pathos che viviamo a schermo e dei sottotitoli in italiano purtroppo non sempre privi di sbavature.

Le nostre capacità investigative hanno un peso anche sugli 'interrogatori' con alcuni personaggi chiave.

The Occupation è un'opera dalle idee precise e coraggiose. È un'avventura fortemente narrativa che però sposa fieramente un'interattività complessa (a tratti anche troppo) e che decide di imporre al giocatore un timer imboccando una strada che inevitabilmente farà storcere il naso a molti. Nonostante le imperfezioni soprattutto tecniche siamo felici del fatto che un concept di questo tipo sia arrivato sul mercato e lo abbia fatto proponendo comunque qualità importanti.

Se magari siete tra coloro che apprezzano le avventure alla What Remains of Edith Finch e Virginia ma non perdonate il loro gameplay semplicistico e cercate delle atmosfere da thriller investigativo infarcite di tematiche di peso, siete sicuramente nel posto giusto. The Occupation parla di politica, di paura del diverso, di libertà, di controllo, di privacy, di immigrazione e degli effetti della paura e lo fa sicuramente in maniera intelligente e, ci sentiamo di affermare, originale. Per la perfezione c'è sempre tempo.

7 / 10