The Pathless - recensione
Il clone acquatico di Journey a chi?
Un oceano di dubbi da solcare, calmo ma incapace di tranquillizzarci, limpido ma non privo di insidie che vanno ben al di là della sola forza della natura. Il vento gonfia la vela, la costa è sempre più vicina e siamo solo noi e il nostro compagno silenzioso. Un arco, no una parte di noi quasi come se fosse un prolungamento del nostro braccio, del nostro corpo, della nostra mente. Della nostra volontà. Il vento gonfia la vela e la costa è così vicina che si può quasi toccare. Arriva il momento di allontanare i dubbi e di realizzare il nostro destino, qualsiasi esso sia. Sapremo scacciare l'oscura maledizione che attanaglia questa terra in subbuglio o noi stessi diventeremo oscurità? La Cacciatrice scruta l'orizzonte fiera e coraggiosa. Sa di essere l'ultima ma la paura non la fermerà.
Non sappiamo se le cose siano effettivamente andate così ma se dovessimo azzardare un'ipotesi guardando alla creazione di questo The Pathless, potremmo riassumere molte delle nostre sensazioni semplicemente con il sottotitolo di questa recensione. Per chi non lo sapesse il titolo di cui vi parliamo oggi è sviluppato da Giant Squid e per chi non conoscesse Giant Squid, questo team ha due figure chiave nel creative director Matt Nava e nel compositore Austin Wintory. Due nomi che legano il proprio passato a doppio filo con quella piccola perla acclamata quasi all'unanimità di Journey.
Con un background del genere ecco lo sviluppo quasi scontato: il primo gioco di Giant Squid condivide con Journey parecchio, forse quasi tutto. È così che sia i detrattori che i sostenitori hanno fatto l'ovvio, hanno scelto l'etichetta "perfetta". Abzû diventa per tanti il Journey acquatico e nel bene o nel male è questo ciò che ci si aspetta dal team di Nava, Wintory e soci.
Le prime poche informazioni riguardanti The Pathless non negavano di certo questa teoria ma con il passare dei trailer, delle presentazioni e delle prove ci siamo immaginati gli sviluppatori mossi non solo da una scintilla creativa e artistica ma anche da una frase chiaramente impressa nelle loro menti: "il clone acquatico di Journey a chi?"
L'avventura che abbiamo completato in circa 9 ore dedicandoci anche a una buona dose di collezionabili ed esplorazione (i completisti probabilmente potrebbero toccare le 12 godibilissime ore) non è un cambiamento radicale su tutta la linea ma sotto moltissimi aspetti sembra una sorta di risposta ai detrattori di Journey e simili. Se da una parte chi apprezza questi progetti parla di esperienza interattiva, avventura emozionale e chi più ne ha più ne metta, chi si fa portavoce delle critiche più aspre si affida spesso a una frase sempre più in voga in ambito indie: dov'è il gameplay? In questo senso The Pathless ha molto più "giocato" e non ci chiederà di certo solo di proseguire in binari più o meno prestabiliti con una buona dose di passività.
Il titolo può essere considerato un action-adventure in terza persona all'interno di un open-world di buone dimensioni suddiviso in macro-aree. Nei panni della Cacciatrice abbiamo il compito pressoché impossibile di risanare un mondo dai tratti quasi post-apocalittici in cui mitologia, religione e fanatismo si mescolano convincendo e attenuando la banalità delle premesse con tanto stile ed epicità. Quante volte abbiamo visto una premessa il cui ingrediente centrale è il prescelto di turno alla ricerca di un modo per salvare una landa in balia di una letale forza oscura? Forse è uno dei cliché più abusati di sempre ma anche gli elementi triti e ritriti possono essere piacevoli nelle mani giuste.
Anche grazie alla solita incredibile colonna sonora di Austin Wintory e alle interpretazioni di pezzi da novanta del doppiaggio come Laura Bailey e Troy Baker (che parlano in una lingua, sottotitolata in italiano, che francamente abbiamo faticato a decifrare), l'aspetto narrativo riesce a farsi apprezzare e a tratteggiare un lore oscuro e affascinante arricchito da scritture e ricordi sparsi per il mondo di gioco. Un mondo di gioco che si presenta quasi sempre come una foresta o come una prateria punteggiata da edifici in rovina, torri, anfiteatri, monasteri, santuari e segreti spesso celati al semplice occhio umano.
Fortunatamente ci viene in soccorso una sorta di maschera ottenibile nelle primissime fasi di gioco e capace di svelare muri finti, elementi invisibili e zone di interesse attorniate da una sorta di nube rossastra. Il loop del gameplay è piuttosto standard: arrivati in una macro-area dobbiamo sconfiggere la creatura mostruosa e gigantesca che la occupa, prima rendendola vulnerabile con delle rune da trovare e recuperare e poi affrontandola direttamente in due fasi cruciali: l'inseguimento e il combattimento.
Che si tratti della ricerca delle rune, dell'inseguimento o del combattimento con i boss, tutto ruota intorno al movimento e alla velocità, due parole chiave che a loro volta si intrecciano con l'arco della Cacciatrice e con l'aquila che l'accompagna praticamente sin dai primi minuti. Il mondo di gioco è pieno zeppo di bersagli, talismani, che se colpiti con una freccia con il giusto tempismo ci permettono di acquisire velocità ma anche di raggiungere zone altrimenti inaccessibili.
Non si tratta di mirare dato che tutto si basa su una mira automatica ma nonostante questa limitazione semplicistica, la formula funziona. L'aquila d'altro canto ci garantisce la capacità di planare e, raccogliendo delle piccole gemme dorate legate a puzzle e segreti, di effettuare uno o più battiti d'ali che ci permettono di salire verso l'alto.
Arco e aquila non si dimostrano fondamentali solo per gli spostamenti ma anche per la risoluzione di enigmi che celano le rune fondamentali per indebolire i boss o le gemme per potenziare il battito d'ali del nostro nobile alleato. Sono fasi di gioco che sfruttano interruttori, oggetti nascosti, fiamme, bersagli, leve e altri elementi tutto sommato visti e stravisti nei videogiochi ma che intrecciati ai mezzi della cacciatrice e dell'aquila danno vita a momenti molto piacevoli tra esplorazione, fasi simil-platform e pura e semplice riflessione.
Nulla di eccessivamente complesso o cervellotico anche perché The Pathless può essere definito in tanti modi ma non è di certo un gioco difficile. D'altronde gli unici momenti di vero pericolo si vivono quando esplorando veniamo individuati dalla creatura mostruosa dell'area che spinge alla fuga un'aquila da raggiungere attraverso sezioni in stile stealth o nelle boss fight vere e proprie. Ed è qui che siamo rimasti piacevolmente colpiti da una cura inaspettata che plasma degli scontri davvero riusciti.
Ci si ritrova in delle arene a schivare attacchi diretti, palle di fuoco, artigli, codate e chi più ne ha più ne metta sempre saltando, correndo e ovviamente colpendo talismani e punti deboli con il nostro fidato arco e sfruttando l'aquila per salvare la pellaccia e per attaccare il nemico in alcuni momenti decisivi. C'è bisogno di attenzione e riflessi pronti, pena l'estromissione dall'arena dello scontro e la necessità di ricominciare da zero la fase della battaglia in cui ci trovavamo. Nulla di punitivo ma The Pathless non è di certo un gioco che vuole esserlo.
Non è Journey e non è un action-adventure puro ma allora che cos'è esattamente l'opera seconda di Giant Squid? È una creatura strana che al di là del comparto artistico eccelso, sia visivamente che dal punto di vista sonoro, ha parecchi difetti. Talmente tanti che il voto a fondo pagina potrebbe sembrare un po' troppo generoso anche se in realtà trova facilmente spiegazione.
La premessa narrativa per quanto poi epica è di base banalotta, il loop del gameplay a conti fatti è al limite del troppo ripetitivo, le ambientazioni sono un po' troppo spoglie e simili tra loro anche tra diverse macro-aree (solo verso la fine c'è un vero cambio di registro) però l'insieme di queste imperfezioni crea un'avventura molto godibile, divertente, affascinante e mai noiosa e perfino la caccia ai collezionabili potrebbe spingere al completismo chi solitamente ignora completamente questa pratica.
Giant Squid ha cercato di unire la poesia e la ricercatezza artistica dei "Journey-like" a un gameplay più sfaccettato e corposo, creando un ibrido che dal nostro punto di vista è sicuramente superiore ad Abzû ma allo stesso tempo migliorato e peggiorato dal concept che lega così saldamente arco e movimento. Una gemma con delle imperfezioni che la intaccano, decisamente sì, ma che la rendono anche unica.