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The Persistence - recensione

"Nello spazio nessuno può sentirti urlare"... o forse è troppo banale?

Chi vi scrive è un inguaribile fifone che non riuscirebbe neanche ad accendere un gioco horror da solo, e che soffre leggermente la motion sickness. Insomma, la persona perfetta per recensire The Persistence, un horror in prima persona per la realtà virtuale di PlayStation.

Lo studio che ha dato i natali a questo inquietante viaggio virtuale sulla nave coloniale Persistence si chiama Firesprite ed è stato fondato da sviluppatori con alle spalle una lunga carriera di collaborazione con Sony, iniziata nel lontano 1995 con WipeOut. Li abbiamo incontrati a Liverpool qualche giorno fa e ci hanno raccontato molte cose interessanti sul gioco in questione.

Abbiamo ad esempio approfondito la loro passione per la realtà virtuale, iniziata con lo sviluppo di Playroom VR, probabilmente una delle raccolte per PSVR con i più bei giochi da fare assieme gli amici (e non),oltretutto scaricabile gratuitamente dallo store. Proprio la loro esperienza passata col visore gli ha permesso di comprendere a fondo e di gestire tutte le cause scatenanti la motion sickness, ovvero la nausea da realtà virtuale.

The Persistence offre infatti ben tre modalità per controllare il proprio personaggio, a seconda del proprio grado di sensibilità. Quella più "leggera" vede il personaggio ruotare a scatti, in modo da ridurre al minimo i movimenti che potrebbero ingannare il nostro cervello e portare allo stato di malessere. Di contro, però, questa modalità rischia di far perdere troppo facilmente l'orientamento al giocatore, mentre quella intermedia (con movimenti fluidi) ci ha consentito di portare avanti sessioni di gioco di un'ora e passa senza accusare troppo il colpo.

I deboli di cuore è meglio che stiano alla larga da The Persistence.

Dopo questo breve excursus sull'attenzione rivolta agli sfortunati giocatori che solo con un enorme sacrificio possono godere dell'ebbrezza della realtà virtuale, concentriamoci ora sul gioco in sé. Che cos'è The Persistence? In due parole è un roguelite horror. Ha quindi una campagna narrativa con un finale, i livelli vengono generati proceduralmente e la morte permanente del proprio personaggio porta alla perdita di tutte le armi accumulate, costringendo il giocatore a ricominciare tutto da capo. Ma, come suggerisce il nome, con un sistema di progressione persistente.

Gli sviluppatori sono riusciti ad incastrare tutti questi elementi videoludici all'interno di un'architettura narrativa che riesce nel difficile compito di non sospendere l'incredulità del giocatore. La Persistence è infatti una nave che ha la missione di colonizzare un pianeta lontano anni luce. Sulla nave è presente un equipaggio in carne ed ossa, ma la maggior parte dei coloni ha solo caricato digitalmente la propria coscienza. A viaggio terminato, i ricordi e il carattere di questi coloni verranno inseriti all'interno dei loro corpi, ricreati per l'occasione da delle stampanti biologiche a partire dal loro codice genetico.

Ecco che, con questo "semplice" stratagemma fantascientifico, la morte e il successivo respawn del giocatore entrano a far parte del tessuto narrativo stesso del gioco, assumendo una logicità realistica e comprensibile. Stesso discorso vale per la proceduralità dei livelli. Il viaggio della Persistence, infatti, si è bruscamente interrotto (come in ogni horror spaziale che si rispetti) per via di un buco nero sul cammino, che ha sconvolto totalmente la struttura spaziotempo attorno alla nave.

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Ecco perché ogni volta che si accede ad un livello (anche già esplorato) la realtà che si osserva è sempre differente. La struttura della Persistence è infatti composta da una varietà di moduli che si incastrano in modi differenti, creando ogni volta percorsi nuovi. Dopo qualche sessione di gioco, comunque, le diverse tipologie di modulo s'imparano a riconoscere, visto che non cambiano particolarmente d'aspetto. Diciamo che, in generale, come molti videogiochi ambientati su grosse navi spaziali, anche in questo caso l'originalità non la fa da padrona e tutti gli ambienti tendono vagamente ad assomigliarsi tra loro, anche solo per una questione estetica.

Le anomalie gravitazionali sono anche alla base degli sconvolgimenti genetici che hanno portato alla nascita dei mostri zomboidi che infestano la Persistence. Uno degli scopi principali della campagna sarà proprio quello di impedire alle "stampanti" di produrre altre terrificanti versioni alterate dell'equipaggio della nave. Anche questo, se vogliamo, è un interessante escamotage meta-ludico per giustificare il respawn di nuovi nemici identici tra loro.

Nel gioco sono comunque presenti otto tipologie di nemici, non tutti biologici, con caratteristiche che li definiscono con precisione, andando così a distinguerli nettamente tra loro. Peccato che, anche in questo caso, manchi il guizzo artistico che avrebbe reso i mostri e le macchine memorabili e differenti dai classici topoi del genere horror-fantascientifico.

I nemici, per quanto non molto originali, sono ben caratterizzati, costringendo il giocatore ad approcciarsi in modo diverso.

Fortunatamente, però, i mostri possiedono un'intelligenza artificiale non indifferente e i loro vari sensi sono sviluppati a dovere, così come la loro capacità di dare la caccia al giocatore in modo repentino, senza che il classico ostacolo gli impedisca di sfogare i propri sanguinari istinti. La via più saggia per progredire all'interno della nave Persistence, però, non è quella di lasciare che le creature diano la caccia a voi ma, al contrario, essere voi stessi il cacciatore.

Il gioco, infatti, è nato proprio dall'idea degli sviluppatori che la realtà virtuale fosse il mezzo ludico ideale per vivere i giochi stealth. Non a caso The Persistence, al netto delle fasi obbligatoriamente action, spinge il giocatore ad un approccio silenzioso e dobbiamo ammettere che sì, la realtà virtuale sembra creata apposta per il genere. Vi assicuriamo che poter sbirciare dietro ad un angolo mettendo fisicamente fuori la testa è un'esperienza notevole. Peccato però che poi, in fin dei conti, questa sia l'unica meccanica stealth che viene effettivamente enfatizzata dalla realtà virtuale. Anche se la mappa che appare come un ologramma a terra (quasi come The Division, ma davanti ai nostri occhi) è un tocco di classe da non sottovalutare.

La via dell'azione è comunque sempre praticabile, anche se il gioco riesce ad infondere un grande senso di preziosità alle diciassette armi disponibili. Queste sono infatti molto potenti ma sono dalle munizioni limitatissime e possono essere create grazie alle varie stampanti molecolari sparse nei livelli. Anche le armi, pur non essendo particolarmente originali, offrono comunque una discreta varietà, andando a differenziarsi di parecchio le une dalle altre.

Tecnicamente gli sviluppatori hanno fatto un ottimo lavoro, ma l'originalità artistica non è di certo ai massimi livelli.

Completare la campagna potrebbe portarvi via all'incirca otto ore, anche se il grado di sfida iniziale è abbastanza elevato e potrebbe volerci un po' di tempo per prendere confidenza con le meccaniche, senza contare che sono necessarie alcune sessioni per poter potenziare i propri personaggi permanentemente. Eh sì, personaggi al plurale, perché nel corso delle vostre peregrinazioni per la Persistence potreste imbattervi nei cadaveri di alcuni membri dell'equipaggio. Grazie al loro DNA potrete, una volta morti, immettere la vostra coscienza all'interno di nuovi corpi, dotati di caratteristiche e buff differenti.

Sì, ma alla fine come ha fatto l'eroe che vi scrive ad esplorare la lugubre nave bloccata nel silenzioso spazio profondo, evitando un attacco di cuore? Da una parte è sicuramente stato utile il Supersenso che può essere sfruttato per individuare in anticipo i nemici, anche dietro alle pareti (purtroppo non sempre disponibile nel corso della campagna). Tanto però ha anche fatto l'aver giocato senza le cuffie, perché un aspetto curatissimo di The Persistence è senza dubbio il comparto sonoro. Tra rumori metallici e passi che ci circondano per farci raggelare il sangue, fino alle musiche incalzanti che all'improvviso destano l'attenzione del giocatore fin troppo rilassato, l'audio è un punto forte della produzione, che i più coraggiosi tra voi apprezzeranno sicuramente.

Una piccola ma importantissima nota finale la vogliamo infine dedicare al geniale sistema "multigiocatore" che gli sviluppatori hanno ideato per The Persistence. Mentre un povero fesso si avventurerà all'interno della nave con il visore calato sugli occhi (e le cuffie sulle orecchie, mi raccomando!), gli altri malefici amici potranno accedere al gioco tramite la companion app installata sui loro dispositivi mobile, vedere tutti gli spostamenti del malcapitato e decidere se essere clementi ed aiutarlo, consumando dei punti, o infierire spegnendo le luci nel momento più terrificante o aizzandogli i mostri contro. Il fesso, se ancora vivo (in tutti i sensi,) potrà contrattaccare accedendo ai pannelli sparsi per la nave e bloccando momentaneamente i dispositivi ai cosiddetti amici.

La companion app di The Persistence rovinerà molte amicizie.

Dopo aver passato tutte queste ore sulla Persistence, qual è dunque la nostra opinione sul gioco? Ogni istante in cui giocavamo ci siamo posti una domanda fondamentale: ma se questo titolo non fosse in VR, sarebbe davvero bello? La risposta probabilmente è "non esattamente": The Persistence, estrapolato dal contesto della realtà virtuale, non sarebbe infatti un brutto gioco, ma piuttosto un gioco mediocre. Un tipico titolo semi-stealth, non particolarmente profondo, ambientato in una nave spaziale non particolarmente originale, abitata da mostri già visti. Uno di quei giochi, insomma, che su Steam faticherebbe ad emergere.

Però The Persistence non è questo. The Persistence è un gioco per la realtà virtuale che fa un ottimo uso della tecnologia a disposizione. Un titolo che riesce davvero ad immergere il giocatore all'interno di questa terrificante nave spaziale alla deriva, che fa sentire davvero faccia a faccia con dei mostri inquietanti e che riesce, soprattutto, a rendere tutto credibile. Non solo grazie all'ottima grafica (non al livello di Farpoint, ma quasi), ma anche alla brillante costruzione narrativa. Creare un roguelite per la realtà virtuale, inoltre, è un'ottima idea che speriamo anche altri sviluppatori possano cogliere, perché questo genere riesce a regalare al giocatore il giusto grado di sfida e di longevità, caratteristiche che spesso mancano nei titoli pensati per la VR.

8 / 10