The Sinking City - recensione
I Grandi Antichi attendono pazienti nell'Abisso.
Avete notato che in questi ultimi anni Lovecraft (e in particolare il Ciclo di Cthulhu) è una fonte d'ispirazione particolarmente inflazionata? E per giunta non solo in ambito videoludico! Uno dei capostipiti di questa ondata di videogiochi a tema lovecraftiano è probabilmente quell'Amnesia di nove anni fa che divenne l'icona horror di un'epoca perché riusciva a mescolare sapientemente enigmi, walking simulator, tensione e criptica narrazione.
Questo mix è forse il modo migliore per raccontare Lovecraft e gli indicibili misteri che avvolgono i suoi inquietanti scritti. Partendo da questo presupposto, come se la caverà The Sinking City con il suo mondo open world? La scelta di ambientare il gioco all'interno della città di Oakmont, liberamente esplorabile, non è infatti una questione su cui sorvolare con leggerezza.
Riuscire a sviluppare un open world all'altezza delle aspettative dei videogiocatori nel 2019 non è per nulla semplice. Un obiettivo forse un po' troppo ambizioso per uno studio come Frogwares che negli ultimi sedici anni ha lavorato principalmente ad avventure interattive, tra cui gli ultimi Sherlock Holmes. Da queste nostre premesse capirete già che il modello open world di The Sinking City non è semplicemente al passo coi tempi, anche se tra i quartieri di Oakmont non è difficile scorgere la passione degli sviluppatori.
Ogni zona della "città che si inabissa" è infatti perfettamente caratterizzata e si differenzia dalle altre, pur riuscendo a mantenere uno stile unitario. Un lavoro artistico davvero eccellente che si riflette anche sulla qualità (sempre artistica) dei personaggi e degli oggetti scenici. Chiaramente però, trattandosi di una produzione a basso budget, non è stato possibile calibrare il livello tecnico su quello artistico: aspettatevi quindi di avventurarvi in una città che sembra uscita da un gioco di una mezza dozzina di anni fa, con asset e strutture riciclati all'infinito.
Chi si approccia e si approccerà nei prossimi giorni a The Sinking City, con grande probabilità, non è però particolarmente interessato all'aspetto puramente tecnico/grafico del titolo, che era già facile da scorgere nei numerosi trailer degli ultimi mesi. Se da appassionato di Lovecraft si ha intenzione di giocare ad un titolo basato sugli scritti dell'autore di Providence, si cerca una sola cosa: la narrazione.
Il lavoro svolto dagli sceneggiatori di Frogwares è sicuramente encomiabile. La storia rispecchia fedelmente lo spirito di Lovecraft e i dialoghi non sono mai banali. Anche il ritmo narrativo è avvincente e non sono rari i momenti, nel corso dello svolgimento della trama principale, in cui ci troveremo di fronte ad importanti bivi per nulla scontati. La cosa interessante è che, pur trattandosi di bivi evidenti, la nostra scelta dovrà essere presa sulla base di tutte le prove che avremo raccolto durante le indagini ma solo l'ultima valutazione morale e intuitiva spetterà a noi.
Questo intrigante sistema di raccolta degli indizi, e di ragionamento su di essi, produce un senso di fresca libertà. Il mondo non è bianco o nero, ma ricco di sfumature verdastre che però, ad un certo punto, ci chiederanno il conto. Il tema della "scelta" è infatti pregnante nel tessuto narrativo e per quanto gli animi umani (o più o meno umani) siano variegati, alla fine bisognerà comunque prendere una decisione, basata quasi esclusivamente sul nostro sentimento.
A migliorare ulteriormente la componente narrativa ci pensano anche le numerose missioni secondarie sparse per il mondo di gioco, che si inseriscono molto bene nel contesto senza risultare forzate come spesso accade. Chiaro, con tutti questi bivi, qualche volta alcune piccole incongruenze saltano all'occhio, ma si tratta di difetti che spesso di trovano anche in produzioni a budget AAA. Per assurdo, sono stati i finali (di cui non parleremo) a lasciarci particolarmente delusi: se nel corso di tutta l'avventura le scelte sono realistiche e ben inserite nel contesto narrativo, nell'istante immediatamente precedente alla conclusione del gioco, ci viene chiesto di scegliere tra tre finali diversi. Non si arriva ad un finale in base alle scelte compiute precedentemente, ma ci viene chiesto un'altra volta di prendere una decisione in quel momento, basata esclusivamente sul nostro giudizio.
Per quanto idealmente questa potrebbe sembrare una strategia ragionevole e in armonia con tutto il resto della produzione, in realtà si rivela incredibilmente scialba. Si arriva sul punto finale, al massimo del pathos, e quasi su due piedi si deve decidere come concludere tutta la lunga avventura con tre possibili conclusioni: ciascuna delle quali porta ad un filmato che lascia a desiderare. Insomma, se anche voi la pensate come noi e ritenete i finali la componente essenziale di una storia, resterete delusi. Ma se al contrario, siete maggiormente attratti dal viaggio piuttosto che dalla meta, allora The Sinking City potrebbe fare al caso vostro.
Prima però è necessario affrontare alcune questioni spinose a livello di gameplay. Come avrete già intuito The Sinking City è un gioco ambizioso, troppo ambizioso per uno studio come quello di Frogwares. È un gioco che già dai primi istanti si rivela vecchio, incredibilmente vecchio, e non solo dal punto di vista grafico. Il sistema di movimento, il gunplay e in generale le animazioni sono molto legnosi.
Anche la struttura stessa delle missioni, al netto della narrativa che abbiamo già avuto modo di elogiare, è incredibilmente datata e ripetitiva. Trattandosi di un gioco lovecraftiano è scontato che il protagonista, Charles Reed, sia un investigatore privato. Un investigatore con misteriose visioni da incubo che lo portano proprio a Oakmont. Questo potere occulto ha infuso il Charles Reed anche un sesto senso che gli consente di scovare indizi nascosti e ricostruire gli eventi trascorsi.
Ecco che quindi il nostro compito si ridurrà a: prendere la missione, andare nel luogo indicato, trovare tutti gli indizi, scoprire un nuovo luogo e ricominciare da capo. Inizialmente il sistema sembra ben congeniato: gli indicatori non si posizionano automaticamente sulla mappa, ma siamo noi a dover cercare il nome della via da raggiungere sulla cartina; per proseguire nelle missioni ci verrà richiesto di fare ricerche nei vari archivi sparsi per la città e una volta raccolti gli indizi su una scena dovremo ricostruire l'accaduto e mettere assieme le idee per elaborare una sorta di tavola concettuale che ci consenta di tirare le nostre personali somme.
Insomma, un gameplay che avrebbe tutte le carte in regola per essere innovativo e divertente ma che alla fine si perde in un bicchier d'acqua: tutto è troppo ripetitivo ed eccessivamente semplice, con parti chiaramente trial and error che si possono semplicemente risolvere provando le poche combinazioni senza connettere due neuroni. Un'occasione sprecata di proporzioni bibliche che da metà del gioco inizia a diventare pesantemente insopportabile, con un gameplay ridotto all'andare da un punto A ad un punto B staccando sostanzialmente il cervello.
Da questo quadro emerge un gioco solo potenzialmente splendido. Lo sappiamo che questa frase l'avrete letta e sentita un milione di volte: è intelligente ma non si applica dicono i professori. Questo volta però il risultato fa davvero piangere il cuore: di idee originali, fresche ed entusiasmanti ce ne sono davvero parecchie in The Sinking City, ma nessuna di queste è stata realizzata come si deve, tanto da risultare paradossalmente noiose.
Ed ecco che a questo punto torniamo alla questione iniziale: la struttura open world è adeguata per raccontare una storia à la Lovecraft? Assolutamente sì, ma in questo caso il problema è semplicemente di natura tecnica: un budget troppo basso non consente di sviluppare un buon open world, in nessun caso! Forse, soprattutto, quando nel mezzo ci getti anche delle idee innovative e ambiziose che non si è in grado di sostenere.
Chi dovrebbe quindi spendere i propri soldi e il proprio tempo per giocare a The Sinking City? Beh, semplice: i fan dei racconti o delle atmosfere lovecraftiane che amano la narrazione, non temono i giochi vecchi dal punto di vista estetico e del gameplay, riescono a reggere bene la noia della ripetizione meccanica e aborrono i finali ben fatti. Insomma, non credo che là fuori ci siano molte persone che corrispondono a questo identikit... o ci stiamo sbagliando?