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The Spectrum Retreat - recensione

Un giovane game designer vincitore di un BAFTA sulle orme di Portal.

Suona la sveglia ed è il momento di vivere ancora una volta la solita vuota routine che caratterizza ogni singola giornata. Giornate sicure, irrimediabilmente tranquille e piene di agi ma anche strane, quasi irreali. Poi qualcuno bussa alla porta. Di fronte ai nostri occhi una sorta di androide in smoking ma per quanto possa sembrare strano è questo il personale del lussureggiante Penrose Hotel e ormai ci abbiamo fatto l'abitudine. "La colazione è servita al ristorante. Le ricordo, signore, che il nostro hotel è particolarmente rinomato per la qualità del proprio cibo".

Usciamo, passiamo di fronte a un ascensore in riparazione sin da quando ne abbiamo memoria e proseguiamo verso la hall. Il manager ci augura una splendida giornata e parla di condizioni climatiche instabili che ci impediscono di lasciare l'hotel. Ma in fondo che sarà mai? Perché non uscire e dare un'occhiata con i nostri occhi? Ci dirigiamo verso le porte scorrevoli, le attraversiamo ma inspiegabilmente non c'è alcuna apertura verso l'esterno, neanche l'ombra di un'uscita. Che cos'è davvero il Penrose Hotel?

The Spectrum Retreat nasce da una premessa che non passa inosservata ma non è solo questa "base" narrativa ad attirare la nostra attenzione. Questa interessante avventura puzzle in prima persona è l'opera prima di un giovane sviluppatore che nel 2016 si è portato a casa nientemeno che il BAFTA come miglior giovane game designer, una categoria che premia i migliori ragazzi prodigio tra i 15 e i 18 anni. La curiosità per l'opera prima di Dan Smith è quindi molta: un giovane di puro talento riuscirà a concretizzare tutte le proprie qualità in un videogioco che sappia lasciare il segno?

Che il Penrose Hotel non sia propriamente l'hotel più idilliaco del mondo lo si intuisce piuttosto in fretta.

Per il proprio debutto all'interno del nostro medium preferito, Smith ha scelto una strada indubbiamente azzeccata e in grado, almeno potenzialmente, di far risplendere le sue abilità di designer. Un'avventura in prima persona che per svariate ragioni segue in parte le orme di un titolo che ha appassionato parecchi giocatori e che soprattutto ha dato vita a una IP dalle qualità eccelse: il primissimo Portal.

Sia chiaro, The Spectrum Retreat non è il gioco targato Valve e sicuramente non si avvicina neanche lontanamente all'eccellenza di Portal 2. Però con quel primo capitolo introdotto all'interno della collection The Orange Box ci potrebbero essere più di una affinità, soprattutto per le impressioni e le sensazioni con cui abbiamo spento la nostra PS4 dopo le circa 5 ore necessarie per portare a termine l'avventura (una longevità sicuramente consona considerando il prezzo di €12,99). Anche la trama sfoggia qualche elemento in comune anche se i toni e i temi toccati si rivelano molto diversi.

Rimaniamo volutamente sul vago perché la narrazione, per quanto si appoggi solo su una manciata di personaggi e su qualche documento, si dimostra decisamente più profonda, complessa e ricca di colpi di scena di ciò che ci aspettavamo. Considerando la natura indie della produzione pensavamo a un comparto narrativo molto più risicato per lasciare spazio solo al puro gameplay, invece The Spectrum Retreat, pur con alcuni alti e bassi, prova a offrire l'intero pacchetto e a non ignorare alcuna sfaccettatura. Forte di un doppiaggio in inglese (con sottotitoli in italiano) e di una sana dose di intrecci e misteri, la storia del nostro anonimo protagonista si rivela sicuramente meno scontata del previsto e tocca temi di fantapolitica e fantascienza ben amalgamati e funzionali alla costruzione di un thriller i cui contorni vengono rivelati a pieno solo all'ultimo, quando tra l'altro ci troveremo di fronte a una decisione non così semplice da prendere né tanto meno scontata. Una trama incentrata su una vicenda drammatica e personale, che molto positivamente riesce a lasciare il segno e a farci riflettere. Qual è il limite che siamo disposti a superare o che vogliamo autoimporci?

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A una narrazione oscura e per larghi tratti giustamente criptica si unisce un gameplay che come detto può essere ricondotto al genere delle avventure puzzle in prima persona. Proseguendo nella trama abbiamo dovuto affrontare una serie di sfide progressivamente più complesse e interessanti che si basano su un particolare marchingegno in grado di assorbire un colore alla volta. In parole povere le varie "stanze" contengono al loro interno delle fonti cromatiche di varie tonalità che possono essere assorbite dal nostro dispositivo. Il colore che possediamo ci permette di interagire in modo diverso con l'ambiente che ci circonda: superfici e pareti dello stesso colore sono attraversabili mentre quelle di un colore differente vanno a creare potenziali ponti da sfruttare o dei muri che bloccano il nostro incedere.

La gestione dei colori, che siano in nostro possesso o che vadano a costituire pareti e superfici, è il nucleo centrale e più basilare dei puzzle. Con il susseguirsi delle stanze entrano però in gioco diverse stratificazioni, partendo dall'aggiunta di altri colori (fino a un totale di quattro) passando per una sorta di teletrasporto verso i pannelli dello stesso colore in nostro possesso arrivando poi anche a dei giochi di prospettive che ribaltano in maniera significativa il modo di vedere le stanze di prova e in generale i concetti stessi di soffitto e pavimento. Si tratta di cambiamenti progressivamente molto importanti, che modificano in maniera evidente l'approccio ai puzzle e che spezzano la solita routine di ragionamenti che rischierebbe di diventare troppo ripetitiva e poco stimolante.

Tutto è una questione di prospettive. Tutto.

Ciascuno dei cinque piani del Penrose Hotel introduce una novità più o meno radicale che viene presentata, insegnata, sviscerata e infine miscelata a quanto già mostrato in precedenza attraverso un certo numero di stanze. La curva di difficoltà è stata bilanciata molto attentamente mantenendo un andamento complessivamente lineare che culmina in una sfida finale che mescola in maniera inaspettata le carte in tavole, il tutto non scadendo mai in un eccessivo trial and error ma anzi privilegiando pianificazione, osservazione e in certe situazioni il puro istinto.

Se il ritmo lento e compassato è comprensibile all'interno di un gioco di questo genere non possiamo non parlare delle fasi di raccordo tra le varie stanze dei puzzle. Queste sezioni sono spesso caratterizzate da una progressione nella trama accompagnata dall'affiorare di nuovi ricordi ma anche da diversi momenti morti in cui non si fa altro che camminare o affrontare degli enigmi da avventura punta e clicca che faticano a convincere. Inserire degli "intervalli" tra le stanze dei puzzle è sicuramente un'idea azzeccata ma si sarebbe potuto fare di più.

Come sicuramente si sarebbe potuto fare di più a livello grafico anche se a conti fatti Unity si difende efficacemente rivelando un mondo di gioco volutamente freddo e austero estremamente adatto alla narrazione e ai puzzle. Buone invece le musiche e come già detto il doppiaggio in lingua inglese. Da questo particolare punto di vista la natura indie non si è rivelata assolutamente limitante e il comparto sonoro supera tranquillamente la media delle produzioni di questo tipo.

Frammenti, ricordi, narrazione.

L'opera prima del talentuoso Dan Smith si muove in bilico tra il 7 e l'8 ma per diverse ragioni abbiamo deciso di smorzare gli entusiasmi di fronte a quanto proposto da The Spectrum Retreat. Ci troviamo di fronte a un giovane che sicuramente va tenuto d'occhio e che ha lavorato di fino dal punto di vista del level design sopperendo alle mancanze dovute ad alcune idee non originalissime. I puzzle logici basati sull'utilizzo di una manciata di varianti cromatiche difficilmente possono lasciare di stucco ma grazie a un level design estremamente curato il risultato finale si dimostra sufficientemente complesso e appassionante, evitando anche derive troppo cervellotiche e ingarbugliate.

Abbiamo citato Portal più di una volta in questo articolo. Lo abbiamo fatto perché come molti fan ci sentiamo orfani di un gioco di quel tipo e di quella qualità eccelsa ma anche perché The Spectrum Retreat ci sembra una sorta di un prototipo, un po' come lo era il primo Portal. Ora non ci resta che sperare in un sequel incredibile e stupefacente come fu Portal 2 e, perché no, che Smith sappia contare fino a tre.

7 / 10