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The Trail - recensione

Peter Molyneux è tornato ed è in splendida forma.

L'abbandono della terra natale, della propria cultura e dei propri conoscenti per intraprendere un lungo viaggio in una terra ostile, ignota e impervia, con il solo scopo di costruire un futuro migliore per se stessi e per la propria famiglia. Questo è il topos che nel corso dei millenni ha accompagnato lo sviluppo della civiltà umana, condizionando tutt'oggi la vita di milioni di donne e uomini coraggiosi.

In questo contesto ci catapulta The Trail, il nuovo gioco di Peter Molyneux e del suo team di 22 Cans per dispositivi mobile. Dopo una lunga traversata transoceanica dal Regno Unito veniamo gettati sulle coste del continente nordamericano senza quasi niente in tasca, per iniziare il nostro viaggio verso il selvaggio West, che non sarà privo di profonde frustrazioni e grandi soddisfazioni.

Così ha inizio il viaggio verso l'Ovest in cerca di fortuna.

Il contesto narrativo e il nome del gioco potrebbero far venire in mente a qualcuno il classico The Oregon Trail. In effetti il concetto del lungo viaggio intrapreso attraverso il Nuovo Mondo ha molto in comune con il titolo divenuto famosissimo a partire dal 1974. A più di quarant'anni di distanza The Trail inserisce però quella visione in un contesto social da gioco mobile, in cui il rischio maggiore non è rappresentato dalla perdita di un familiare per dissenteria, ma al massimo degli oggetti recuperati lungo il cammino e custoditi gelosamente.

Sulla via verso l'Ovest non ci sentiremo mai solitari viaggiatori erranti, ma saremo sempre circondati da socievoli compagni di viaggio, la cui nazionalità è mostrata sotto il nome, che non esiteranno un secondo ad approfittare di un nostro momento di difficoltà. Mors tua vita mea, come si suol dire. Da questo punto di vista l'ultima fatica di Molyneux può far quasi pensare ad un intelligente esperimento sociale su larga scala, in cui le cavie-giocatori sono messe di fronte a dilemmi morali da non sottovalutare.

A differenza di quanto potrebbe accadere in Fable, qui le nostre azioni negative hanno conseguenze dirette sul divertimento e sul benessere psicofisico di altre persone in carne ed ossa. Parte di questo curioso meccanismo si basa sul fatto che le risorse lungo la strada siano visibili a tutti i giocatori, anche quelle che vengono droppate da animali e piante, da noi rispettivamente cacciati e abbattute. Di conseguenza non sarà raro vedersi soffiare sotto il naso quel prezioso materiale di cui avevamo disperatamente bisogno e che eravamo finalmente riusciti a trovare consumando il nostro attrezzo di raccolta.

Per fortuna che il sentiero è intervallato da falò che fungono da punti di ristoro e di ritrovo per i viaggiatori. Tra un accampamento sicuro e l'altro il giocatore può contare solo sulle proprie gambe e sulla stamina, la cui durata dipende dalla qualità degli indumenti, dal peso dello zaino, dalla velocità del passo e anche dalle condizioni e dalla pendenza del terreno.

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Per recuperare la stamina è sufficiente mangiare il cibo che si raccoglie lungo il cammino, tenendo sempre d'occhio l'indicatore di cui è facile dimenticarsi. Se la stamina dovesse arrivare a zero il personaggio sverrebbe al suolo. A questo punto si può scegliere di pagare in Favour, ovvero la moneta acquistabile con denaro reale, oppure aspettare che la stamina si ripristini da sola, ma in quel lasso di tempo il nostro inventario inizierà a svuotarsi per terra e sarà alla mercé di tutti i passanti.

È sufficiente osservare questo fenomeno per comprendere che il grande rischio che affligge The Trail sia costituito dalla deriva pay-to-win e forse è proprio il caso di dire che ci troviamo di fronte ad un titolo che premia eccessivamente i giocatori propensi ad aprire il portafogli. Questo sistema è però controbilanciato dalla natura stessa del videogioco, che non mostra in modo evidente il suo lato competitivo. Per quanto la sopravvivenza sia pervasa costantemente da un senso di lotta e sopraffazione, il titolo in questione non spinge l'acceleratore sotto questo aspetto.

Gli accampamenti che intervallano il cammino sono un ottimo modo per 'socializzare' con gli altri viaggiatori-giocatori provenienti da ogni parte del mondo.

Allora perché pagare? In effetti questa sarebbe una domanda interessante da porsi, visto che l'uso di denaro reale ricompensa l'utente con un vantaggio evidente, in particolare nei confronti di se stesso e della natura survival dell'opera, piuttosto che degli altri giocatori. L'unico motivo per cui qualcuno dovrebbe essere spinto ad acquistare Favour è quello di sentirsi frustrato nei confronti dei meccanismi stessi del gameplay.

Pagare consente, tra le altre cose, di ottenere prima del previsto oggetti migliori come zaini più capienti, di craftare strumenti senza possedere le risorse necessarie, di riprendere istantaneamente i sensi quando si sviene e di attraversare i fiumi senza dover sfruttare i crediti virtuali. In parole povere pagare ammazza il senso stesso dell'esperienza. Che sia anche questo un esperimento sociale?

Purtroppo lo scoraggiamento si fa prepotentemente strada nel cuore del giocatore anche a causa della scarsa ottimizzazione del titolo. Dalle impostazioni è possibile scegliere tra ben sei livelli di dettaglio, ma anche il più basso potrebbe essere soggetto a pesanti cali di frame rate sui dispositivi meno performanti. Il problema più grave è però la conseguenza diretta dei rallentamenti, ovvero il cattivo riconoscimento dei comandi touch, che potrebbero costringere il giocatore ad accanirsi contro lo schermo del proprio dispositivo cercando di accaparrarsi prima degli altri una risorsa trovata per terra.

E pensare che lo stile minimalista non sembra, teoricamente, per nulla pesante sotto il profilo tecnico, anche se il motivo delle cattive prestazioni potrebbe risiedere nell'uso massiccio della fisica per gestire il movimento degli oggetti a schermo. Dal punto di vista artistico The Trail è comunque una gioia per gli occhi, soprattutto se si possiede un device in grado di gestire la grafica al massimo del dettaglio. Impostandola al minimo si perderà infatti tantissimo dell'opera realizzata dagli artisti di 22 Cans, che hanno prodotto panorami mozzafiato sfruttando uno stile cartoon molto colorato e caratterizzato da linee dure, ma senza l'uso del cel shading.

La differenza tra il livello grafico minimo e quello massimo è davvero evidente, ma servirà un dispositivo bello corazzato per poter gestire quest'ultimo.

Il viaggio è scoperta e senza di essa qualunque avventura non sarebbe altro che uno sterile percorrere chilometri inutilmente. The Trail riesce perfettamente a cogliere questo aspetto fondamentale, non solo offrendo ambientazioni sempre varie e scorci suggestivi attraverso uno stile grafico ispirato e meraviglioso, ma proponendo continuamente novità in grado di stuzzicare la curiosità del giocatore, accrescendone il desiderio di proseguire il viaggio.

Dopo diverse ore di cammino ci si può imbattere ad esempio in una città, fondata da un altro giocatore. A questo punto possiamo scegliere se stabilirci lì, aggregandoci a quella comunità, o decidere di proseguire lungo la strada alla ricerca di un altro luogo da chiamare casa. A questo punto il gioco prende una svolta totalmente diversa, trasformando la lotta per la sopravvivenza in un obiettivo raggiungibile solo attraverso la cooperazione e la condivisione delle risorse.

Una parte divertentissima del gioco è rappresentata dallo scambio epistolare che si può avere con un parente a casa nel vecchio continente.

In città le persone hanno professioni diverse e all'interno della propria abitazione mettono in comune i macchinari per creare alcuni materiali unici. Tutto quello che si possiede può essere messo a disposizione degli altri concittadini o custodito gelosamente, a noi la scelta. Le città in The Trail sono concepite come dei veri e propri organismi pluricellulari, in cui ogni parte deve collaborare per ottenere il successo della totalità.

A questo punto lo scopo e il significato stesso del gioco cambiano, dovendo portare a termine fetch quest comunitarie per guadagnare una speciale valuta da spendere per aggiungere servizi in città. Stabilirsi in una comunità non significa abbandonare però il viaggio verso ovest, che potrà e dovrà continuare per tutto il corso del gioco. Fortunatamente ci si può teletrasportare dalla città ai diversi accampamenti incontrati lungo la strada, consentendoci di ritornare a casa e di riprendere successivamente il viaggio dal punto in cui eravamo arrivati.

Sapendo che la mente dietro a The Trail è quella di Molyneux non ci siamo stupiti nel percepire una bizzarria di fondo diffusa in ogni cosa, a partire dall'interazione sociale con gli altri giocatori. Le situazioni in cui entreremo in maggior contatto con gli altri viaggiatori provenienti letteralmente da tutto il mondo saranno, almeno inizialmente, attorno ai falò. Qui, oltre a ristabilire la stamina, potremo commerciare le risorse raccolte o gli oggetti craftati sfruttando le conoscenze apprese nel corso del viaggio.

Per il resto, la comunicazione con le altre persone si limiterà ad una manciata di frasi standard e di circostanza da scegliere attraverso una ruota di dialogo. The Trail è proprio così, strano come ce lo si sarebbe aspettato: un gioco in cui si respira costantemente odore di socialità, ma in cui questa è poi inafferrabile. In un certo senso l'atmosfera che si percepisce ci ha ricordato il meraviglioso Journey, ma forse senza il velo di mistero che contraddistingue l'opera di Thatgamecompany.

Il senso di bizzarria e la curiosità divampano nuovamente nel giocatore quando scopre che all'interno della propria comunità cittadina è possibile sbloccare, sfruttando gli appositi crediti, una chat per poter parlare con i propri compaesani. The Trail è questo: una continua scoperta di elementi fuori dal comune, in grado di cambiare notevolmente il senso stesso del gioco. Chissà cosa ci attende il futuro che si staglia radioso davanti a noi, magari nel corso del viaggio verso l'Ovest potremo fare fortuna fondando un impero commerciale o, perché no, trovare anche l'amore.

8 / 10