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The Walking Dead Michonne, What we deserve - recensione

Una vecchia storia.

È da un po' di tempo che ci lamentiamo dei lavori di TellTale Games. Non lo facciamo perché ci divertiamo a punire o mettere in croce questo studio di sviluppo o perché non sopportiamo la formula di gioco che hanno perfezionato nel tempo. Lo facciamo come l'amante annoiata dopo anni delle stesse pratiche amorose, o come l'insegnante stufa di vedere uno studente talentuoso perdersi dietro ai videogiochi invece di studiare.

La sensazione, infatti, è la stessa, ovvero quella di trovarsi di fronte ad un team di persone davvero capaci che, per qualche strano motivo, non riescono più a garantire lo standard qualitativo che ci si aspetterebbe da loro. Ed è una cosa strana perché lo studio di San Rafael, in California, riesce ancora a colpire nel segno in uno dei comparti più delicati in un videogioco, ovvero la capacità di narrare delle storie interessanti e di far provare una forte empatia con i protagonisti.

Anche in questo breve spin-off della pluripremiata serie di The Walking Dead, TellTale Games riesce in alcun tratti a farci entrare negli scomodi panni di Michonne, senza dubbio uno dei personaggi più amati e riconosciuti della serie televisiva, ma anche del fumetto firmato da Robert Kirkman.

Michonne è un personaggio complesso, taciturno, tormentato e che preferisce brandire il suo affilato machete prima di porre una qualsiasi domanda. Di sicuro non è la prima persona con la quale penseremmo di avere qualcosa in comune.

I momenti di maggior tensione si avranno quando avremo a che fare con gli esseri umani, non coi non morti.

Però Telltale ci riesce, andando a ripescare tematiche delicate, come quella del rapporto genitori/figli, aggravate ulteriormente dal fatto di dover difendere i più piccoli all'interno di un mondo sconvolto dai non morti. Quelle stesse tematiche che hanno reso così toccante la prima stagione videoludica di The Walking Dead e che si erano perse nella seconda, quando ci siamo trovati a controllare una ragazzina alle prese con avvenimenti più grandi di lei.

Quando TellTale batte su questo tasto non solo è in grado di scrivere scene dall'elevata carica emotiva, ma è capace di dare maggior spessore ad un personaggio complesso e misterioso come Michonne, gettando luce sul suo passato, ma al tempo stesso facendo capire cosa la spinga realmente ad andare avanti, dove risiedono la sua incrollabile forza e la determinazione.

Perché il senso di colpa, i ricordi e la speranza sono forse le cose che l'hanno realmente tenuta in vita, perché sono questi sentimenti che hanno spinto il machete a muoversi con chirurgica precisione, sono queste emozioni che la fanno rimanere aggrappata alla vita con tutte le sue forze.

Questi picchi emotivi, questa capacità di scrivere scene e dialoghi emozionanti, però, cozzano ancora più ferocemente con alcuni scivoloni che da uno studio ormai navigato come TellTale non ci saremmo aspettati. Usare gli attacchi degli zombi a casaccio, solo per inserire a forza qualche scena di azione ed allungare la minestra, non solo è un espediente abusato ma risulta controproducente ai fini della storia, della tensione, della credibilità dell'intreccio.

La protagonista si rivelerà essere ben più di uno spietato killer.

Ormai è chiaro, è l'essere umano il pericolo principale dell'universo di Kirkman. Gli zombie, nella loro voracità, sono prevedibili, controllabili. È l'uomo invece che è capace di tutto, sia di commettere le peggiori nefandezze, sia di commuoverti con un gesto inaspettato o di avere paura come noi, di noi, e di temere le nostre reazioni.

È questo che fa salire la tensione. L'incertezza di ogni nostra mossa, la possibilità che ogni risposta possa in qualche modo mandare a gambe all'aria l'intera trattativa, l'affanno di capire come gli altri personaggi pensino e dunque agire di conseguenza. Non goffe scene d'azione sviluppate con un motore grafico palesemente vecchio, incapace sia di imbrigliare la tensione di questi momenti, sia di sfruttare degnamente console, PC, ma anche telefoni e tablet, sui quali il gioco gira.

L'altro peccato capitale della serie è la scelta di Michonne come protagonista. La comprendiamo dal punto di vista del marketing e abbiamo persino apprezzato la possibilità di capire meglio questo personaggio, di scoprire come sia possibile che passi in pochi minuti dall'orlo del suicidio all'aggrapparsi alla vita con ogni sua forza.

Lo capiamo di meno dal punto di vista videoludico, perlomeno per come sono scritte le avventure di TellTale o la stessa serie a fumetti di Kirkman. La tensione, la sorpresa e la costante ansia non sono date dal fatto che ci sono i non morti, ma che dietro l'angolo, similmente a Games of Thrones, ci può essere la morte per tutti, anche per quelli che fino a cinque minuti prima erano considerati dei protagonisti intoccabili.

Le tematiche legate alla famiglia e agli affetti sono quelle che maggiormente colpiscono il giocatore.

Scegliere un personaggio della serie televisiva/a fumetti garantisce a Michonne una sorta di salvacondotto che smorza la tensione di molte scene, dato che sappiamo che non può morire nel gioco e sopravvivere nei fumetti.

In definitiva, dunque, questo The Walking Dead Michonne è un prodotto nato vecchio. Vecchio tecnologicamente, vecchio negli espedienti utilizzati per allungare la durata dell'episodio, persino vecchio negli argomenti trattati. Nonostante questo è però innegabile come gli scrittori di TellTale Games siano ancora in grado di costruire scene e dialoghi dall'alto impatti emotivo e di saper toccare le giuste corde per emozionare. Peccato che dopo poco inciampino su qualcosa che avrebbero potuto facilmente evitare o perlomeno mascherare con maggiore classe e attenzione.

I fan di The Walking Dead apprezzeranno comunque questa discesa nell'inferno di Michonne, gli altri, invece, dovrebbero incrociare le dita nella speranza che con la terza stagione "regolare" TellTale Games riesca ad imbrigliare nuovamente la magia all'interno delle sue storie.

6 / 10