THQ: la caduta del gigante nano - articolo
Eurogamer analizza il crollo del publisher americano.
Non so se qualcuno si aspettasse veramente che THQ sarebbe passata indenne attraverso la tempesta. Sicuramente c'era chi lo sperava, ma tra sperare una cosa e crederci veramente c'è una certa differenza. E sarebbe stata necessaria una certa dose di ottimismo per pensare che il business model di THQ potesse continuare a perpetuarsi nella forma che conoscevamo.
Incaricare Jason Rubin di prendersi cura dell'azienda è stata senz'altro una mossa azzeccata: il fondatore di Naughty Dog ha un curriculum invidiabile e gode del massimo rispetto di tutta l'industria, ma nel momento in cui si è insediato il valore delle azioni THQ era già in picchiata e i licenziamenti erano ormai inevitabili. L'azienda era ferita mortalmente e il "fallimento" di Ruby nel resuscitarla non dovrebbe in alcun modo essere imputato a lui.
Alla fine il destino di THQ è stato solo "moderatamente" disastroso, con buona parte degli studi di sviluppo e dei marchi posseduti dall'azienda che sono stati rilevati da altri concorrenti, in quella che è stata una vera e propria svendita in saldo. C'è stata anche un'offerta, di entità minore, per comprare l'intera compagnia e continuare il suo business di publisher, e non è stato poco lo scontento quando invece i vertici dell'azienda hanno deciso di spezzettare le loro proprietà e venderle separatamente, dissolvendo di fatto THQ.
Sono però convinto che questa sia stata la scelta giusta. Una THQ "salvata" in extremis avrebbe solo continuato a zoppicare per un po', perdendo lungo la strada i suoi talenti migliori (allarmati della prospettiva di fallimento). I marchi migliori sarebbero stati venduti, altri cancellati. Gli studi di sviluppo sarebbero stati chiusi e i dipendenti licenziati prima di poter trovare nuovi impieghi. THQ sarà pure morta in una svendita d'asta, ma almeno studios come Relic e Volition hanno trovato una nuova casa e sono rimasti largamente intatti.
"Il marchio THQ non ha mai avuto la risonanza di quello di Atari, che così tante volte si è tentato di "resuscitare"
Persino dopo la vendita degli asset, lo scheletro di THQ dovrà comunque andare attraverso la procedura di fallimento (portando con sé una serie di beni rimanenti, come Vigil Games e la serie di Darksiders), ma a questo punto il destino è scontato. Spogliata di asset come Saints Row, Company of Heroes, Warhammer 40,000: Dawn of War e i futuri Metro: Last Night e South Park: The Stick of Truth, non c'è praticamente alcuna attività rimasta in seno a THQ, e lo stesso marchio THQ non ha mai avuto la risonanza, per esempio, di quella Atari che così tante volte si è tentato di "resuscitare".
Se si dovesse scrivere un epitaffio per THQ, probabilmente il suo traguardo più grande sarebbe quello di essersi riuscita a scrollare di dosso, negli ultimi anni, quella reputazione di produttore di seconda categoria che ha avuto per molto tempo. Il solo fatto che adesso ci sia chi piange per la sua scomparsa significa che l'azienda era riuscita davvero a crearsi un seguito, nonostante la nave stesse ormai affondando.
Ma quali sono le cause reali della sua morte? Il cambiamento del mercato, forse? Non c'è dubbio che il mercato delle console stia in questo momento subendo gli effetti della crisi economica; non tanto al "top", dove i Call of Duty vendono ancora e fanno soldi a secchiate, ma nella categoria dei titoli di fascia media, specialmente quelli che aspirano a crescere e diventare tripla-A, e che invece negli ultimi anni hanno subito colpi durissimi.
Un tempo questi erano i giochi più "sicuri" e proficui della games industry, titoli magari basati su una licenza famosa, che magari non avrebbero mai raggiunto lo status di capolavoro, ma avrebbero comunque venduto un buon numero di copie generando un profitto garantito o quasi. Oggi quel mercato è invece una terra molto pericolosa e sempre più deserta. I "mezzi successi" non esistono più o quasi, in un mondo dei videogiochi sempre più estremizzato, che lascia spazio solo ai successi clamorosi o ai fallimenti disastrosi.
"Non c'è dubbio che il mercato delle console stia in questo momento subendo gli effetti della crisi economica"
THQ non è né la prima né l'ultima vittima di questo cambiamento. Recentemente ho giocato a Kingdoms of Amalur: Reckoning, un titolo ben confezionato e perfettamente godibile (anche se privo di un carattere distintivo proprio) che dieci anni fa sarebbe stato probabilmente un buon successo finanziario tra i titoli di categoria media. Nel mercato di oggi, la sua incapacità di assurgere allo stato di blockbuster ha significato la fine e la bancarotta per i suoi creatori, i 38 Studios. Il moderno business dei videogiochi è un mondo spietato.
Bisogna osservare che le aziende più grandi riescono a navigare attraverso questa burrasca in modo relativamente più agevole di quanto non facciano i loro rivali più piccoli. Activision o Electronic Arts possono permettersi di rispedire i titoli che non vanno configurandosi come blockbuster tripla-A ai reparti di sviluppo, finché non riescono a raggiungere determinati standard. E possono investire pesantemente in campagne di marketing e in distribuzioni a tappeto per assicurarsi che i loro prodotti abbiano la massima appetibilità una volta giunti nei negozi.
Il declino dei titoli e dei produttori di fascia media ha avuto il suo impatto anche su di loro, rendendo il business più rischioso, ma una presenza economica enorme può aiutare a riparare o nascondere le crepe, se non altro. THQ, essendo molto più piccola di gitanti come EA e Activision, non ha avuto questa possibilità.
Essere piccoli, però, non significa per forza aver già perso in partenza. Essere piccoli significa anche essere agili, e va sottolineato che in certe occasioni anche THQ ha sfruttato quell'agilità. Il suo catalogo di titoli piuttosto ristretto le ha infatti consentito di cambiare la propria reputazione molto più rapidamente di quanto non potrebbero fare EA o Activision. Le transizioni del mercato hanno aperto nuove ed innovative opzioni per i creatori di videogame, che hanno fatto sì che laddove alcune porte si stavano chiudendo, altre si aprissero su altri mercati e business model che hanno offerto l'occasione di reinventarsi a chi l'ha saputa cogliere e sfruttare.
Il più grande errore di THQ potrebbe proprio essere stato quello di non avere il coraggio e la sicurezza necessari per imboccare una di queste nuove porte. L'azienda si è focalizzata esclusivamente nel creare giochi hardcore per console e PC per sviluppare un catalogo di IP proprietarie di alto valore e una solida reputazione tra i giocatori più appassionati.
"THQ, forse mancando di senso della proporzione, ha tentato anche di aprire innumerevoli altre porte"
Nel fare questo ha riscosso un certo successo, non certo una marcia trionfale ma comunque un successo sia creativo che commerciale. Ma THQ, forse mancando di senso della proporzione (e molte aziende minori, guardando a loro stesse dall'interno, possono avere questo difetto) ha tentato anche di aprire innumerevoli altre porte. Ha fatto un significativo investimento sulle piattaforme mobile, tuffandosi in quel mercato addirittura molto prima di molti altri suoi competitor, ma non si è mai adattata bene al sistema di distribuzione dell'App Store o al concetto di social gaming.
Ha investito risorse ingenti nella tavoletta uDraw, per incontrare il nuovo pubblico dei giocatori casual (principalmente su Wii), realizzando una periferica costosa che sulla carta non rappresentava una cattiva idea, ma che anche aziende ben più grandi di THQ avrebbero potuto faticare a commercializzare in modo efficiente. È stata colpevolmente lenta nel capire il crollo del settore dei giochi console dedicati ai bambini, continuando a spendere valanghe di soldi sulle licenze Pixar e Nickelodeon, quando era chiaro che i bambini si erano ormai reindirizzati sul settore smartphone e tablet, per giocare questo tipo di titoli.
Titoli hardcore per PC e console, titoli mobile, un esperimento hardware indirizzato al pubblico di giocatori casual, la fascia dell'intrattenimento infantile... ognuno di questi business è a sé stante e molto diverso dagli altri, e il fatto che tutti rientrino sotto la categoria generale di "videogiochi" non significa molto. Persino un gigante del settore avrebbe faticato ad ottenere successo in così tanti e differenti campi contemporaneamente, e THQ non era un gigante.
Eppure i manager, che notoriamente studiano in scuole di business in cui si trasmette come un mantra la parola "diversificare!", hanno evitato a tutti i costi la scelta di focalizzarsi solo su un "core business" ben mirato e definito. Quando la compagnia è stata affidata a Rubin, un veterano del settore indubbiamente capace di valutare la situazione e riconcentrare gli sforzi dell'azienda sui settori più percorribili, era ormai già troppo tardi. THQ ha sprecato tutte le sue energie tentando di diventare mille cose contemporaneamente, e ha finito per non essere più nulla.
"L'importante è che la maggior parte degli studios che lavoravano sotto l'etichetta THQ sopravvivranno"
La cosa più importante e che va ribadita è che comunque la maggior parte degli studios che lavoravano sotto l'etichetta THQ a quanto pare sopravvivranno. Relic, Volition e THQ Montreal sono stati acquisiti da quelli che un tempo erano i rivali di THQ (ed è interessante notare come Volition sia andata alla tedesca Koch Media, autrice di una lenta ma progressiva crescita come publisher, sottolineata l'anno scorso dal successo di Dead Island). E c'è ancora speranza che anche Vigil Games riesca a trovare una nuova casa.
Il più grande successo di THQ negli anni recenti è stato proprio quello di fungere da incubatrice per questi studi di sviluppo, ed è un bene dunque che sia riuscita a garantire loro una continuità, sebbene con la propria vendita. Quello che spero è che il duro lavoro di queste persone, che hanno contribuito negli anni e con i loro giochi a ribaltare la reputazione di THQ, continui ad essere riconosciuto dall'industria, e che ognuno di loro possa trovare una futura collocazione nella game industry. A loro vanno tutti i miei migliori auguri.
Traduzione a cura di Luca Signorini..