Tinykin, la recensione
Non chiamatemi Pimkin!
In attesa dell’arrivo dell’autunno, quando il caldo si placa e le prime foglie cominciano a cadere dagli alberi, ci siamo calati nei panni di un giovane ma ambizioso scienziato assettato di conoscenza, con l’unico obiettivo di scoprire di più sull’universo.
Questa premessa, anche se non troppo originale, potrebbe calzare ad ogni tipologia di gioco, da un GDR a un RTS; invece, ci siamo immersi in un divertente e colorato mix tra action e platform che combina in modo sapiente il 2D del nostro personaggio al 3D dell’ambientazione.
Stiamo parlando di Tinykin, il nuovo titolo creato da Splashteam, un’avventura molto semplice a cui sono bastate poche idee ma ben integrate per riuscire a farsi apprezzare. Spiccare nel genere platform all'interno del panorama indie dobbiamo riconoscere che non è affatto facile, sebbene si possa pensare che si tratti della via più semplice a livello di programmazione. Essendo una tipologia di gioco quasi abusata negli ultimi tempi, per poter raggiungere un livello di notorietà in grado di conquistare il pubblico non basta avere un gameplay fluido e ben ottimizzato.
Tinykin per riuscire nell’obiettivo ha mescolato la grafica 2D cartoonesca dei personaggi a un ambiente 3D realistico (a tinte pastello s’intende), il tutto cadenzato da missioni semplici ed intuitive. Dopo essersi teletrasporto in un nuovo mondo nella speranza di scoprire le origini del genere umano, Milo, il nostro protagonista, si ritrova in una forma minuscola e con strani personaggi ad accoglierlo.
Per poter ricevere quindi le informazioni di cui abbiamo bisogno per la nostra ricerca, i personaggi del luogo rappresentati come vari tipi di insetti ci incaricano di trovare degli oggetti per loro fondamentali, portandoci così ad esplorare cinque stanze diverse. Anche in questo caso l’incipit non risulta particolarmente studiato e infatti la trama che scandisce Tinykin non vuole in alcun modo raccontarci una storia ricca di segreti e misteri, e a conti fatti si dimostra la parte meno interessante di tutto il gioco.
La ricerca di Milo delle origini della propria specie rimane un semplice pretesto per esplorare i vari mondi, lasciando spazio alla risoluzione di enigmi ambientali per raggiungere determinate porzioni di stanza. La particolarità di questo platform non risiede però in nemici da combattere; tutti i personaggi che abbiamo incontrato infatti sono stati più o meno amichevoli e non vi è alcun meccanismo di combattimento.
Seppur i dialoghi, improntanti su un tono scherzoso, non rappresentino il fulcro principale dell’esperienza, abbiamo ben presto accantonato l’idea di saperne di più su Milo. Abbiamo scoperto così i rudimenti di gioco, tanto semplici quanto efficaci, il cui fulcro è rappresentato dal raggiungere delle determinate aree dove si trova l’oggetto richiesto dagli abitanti del mondo o, in alcuni casi, lo strumento necessario per sbloccarlo.
Per fare tutto ciò è necessario un piccolo ma importante aiuto. Per poter raggiungere particolari altezze o per interagire con determinati oggetti, sono intervenute in nostro soccorso le creature da cui prende nome il gioco stesso: i Tinykin. Questi buffi e colorati esserini si sono uniti alla nostra avventura e ci hanno accompagnato in tutti e cinque i mondi, ascoltando diligentemente i nostri comandi per arrivare al compimento della missione.
Passando vicino a presunte sostanze simili a budini, i Tinykin prendono vita e si uniscono istantaneamente al nostro viaggio, seguendoci costantemente tra un salto e l’altro. Le loro colorazione rappresentano inoltre le loro competenze; ad esempio, i mostriciattoli rosa sono abili trasportatori, i rossi divengono vere e proprie bombe per aprire passaggi ed i verdi, con mosse circensi, creano una colonna in grado di farci arrivare a piattaforme altrimenti irraggiungibili.
L’esplorazione nelle stanze è completamente libera, tanto da incontrare gli NPC che ci hanno fornito missioni secondarie, anch’esse piuttosto semplici e che non intaccano il ritmo di gioco. Dopo la prima aerea, studiata per farci comprendere tutti i meccanismi che compongono il gameplay di Tinykin, il ritmo si fa più sostenuto ed è possibile puntare subito all’obiettivo di area senza perdersi in troppe frivolezze.
Splashteam lascia dunque piena scelta al giocatore su come approcciare il gioco, fissando fin da subito l’obiettivo principale e fornendo anche piccole quest in grado di prolungare la durata del gioco. Dobbiamo necessariamente citare l’assenza dell’Italiano ma, dato il linguaggio piuttosto semplice delle creature, la comprensione dei dialoghi non metterà mai in difficoltà il giocatore.
Quel che ci ha spinto a finire Tinykin quasi tutto d’un fiato è stata la pura curiosità verso il prossimo mondo e la nuova tipologia di “aiutante” in cui ci saremmo imbattuti di lì a poco. Questo si unisce ad una più che piacevole realizzazione dello scenario di gioco e ad una fluidità e intuitività dei percorsi da intraprendere, che non ci ha mai messo seriamente in difficoltà.
Quel che infatti ci sentiamo di elogiare maggiormente in questo gioco è il grande lavoro svolto sul level design di tutti i mondi, con aree sì più impegnative progredendo nel gioco ma che non ci hanno mai portato alla frustrazione. Il percorso da compiere per raggiungere il nostro obiettivo è sempre chiaro e questo contribuisce a offrire un’esperienza decisamente rilassante e appagante.
La piacevolezza con cui è possibile raggiungere ogni area è difficile da descrivere ma funziona. In Tinykin, infatti, non sono state messe in campo idee in grado di rivoluzionare il genere platform. Tutto quel che è possibile fare, dal fluttuare in area in una bolla o raggiungere velocemente l’altra parte della stanza surfando su di una saponetta, danno vita ad una mobilità di movimento davvero sfiziosa.
Tinykin è la dimostrazione che non è necessario cercare qualcosa di estremo per confezionare un gioco ben fatto e in grado di intrattenere il giocatore. Anche idee già viste, se implementate a dovere, riescono a premiare un gioco che non presenta una trama importante in tutte le sei ore che ci sono state necessarie per completarlo (due orette in più se si vuole puntare al completismo), né combattimenti che avrebbero smorzato il tenore pacato dell’esperienza.