Tolo Tolo - recensione
Checco Zalone si scontra con la correttezza politica. Ma c'è da indignarsi o da ridere?
Sarà forse un comico, ancora una volta, a dire la parola definitiva sull'isterismo del "politicamente corretto", da cui ci siamo spensieratamente lasciati investire, facendoci plagiare dalla mentalità anglosassone, da noi tanto distante? A riuscirci sarà uno che gode a fare l'italiano medio più bieco (e più vero), da far sembrare quello incarnato da Alberto Sordi un vero gentleman?
Se ciò accadesse non dovrebbe stupirci, visto il dualismo che ci pervade e che ci permette di essere biechi razzisti, omofobi e misogini nella vita (pubblica e privata), oltre che incalliti evasori fiscali, salvo poi atteggiarci a paladini della pubblica correttezza, strombazzando luoghi comuni sul web e come sempre guardando la pagliuzza nell'occhio altrui (magari messa lì apposta) e ignorando la trave nel proprio.
Allo stesso modo non ci ha stupito la valanga di critiche che a priori hanno investito il film sugli ormai aborriti social, anche scioccamente perché si sa che così gli hanno fatto ancora più pubblicità. Lo spunto è stato il video della canzone "Se t'immigra dentro il cuore", che ha attirato gli strali di 'quelli del ditino' per la sua 'scorrettezza'. Una canzone da lui stesso scritta, come le altre del film.
Dovremo quindi vergognarci per avere riso? Dovremo imbarazzarci per esserci divertiti del suo sarcasmo? Neanche un po', perché questa volta i toni di Zalone sono paradossalmente più bassi del solito e la riproposizione del suo personaggio, con tutte le sue note peculiarità, non aggiunge niente di nuovo a una storia che abbiamo già visto declinata in molti film, quella dell'occidentale ricco che fa la vittima, rispetto a chi vittima lo è per davvero.
Cosa ci racconta questa volta Checco Zalone, tizio sveglio che gode a fare il bruto da anni, inanellando una serie di successi (e di incassi) dal primo film Cado dalle nubi (2009), che personalmente ci era piaciuto poco, per poi innalzarsi di livello (nella scemenza, nella "critica sociale", nella furbizia) con Che bella Giornata, Sole a catinelle e Quo vado, film capaci di risollevare i bilanci del cinema italiano negli anni delle loro uscite?
Ci racconta un viaggio nuovo. Dopo essersi addentrato fra show televisivi, islamici, ricconi e nordici, Zalone racconta l'avventura di un Checco che, dopo la fallimentare apertura di un ristorante di sushi nella patria della salsiccia della Murgia, incalzato dal Fisco e dai parenti imbrogliati, fugge in Africa. Dove finisce a fare il cameriere in un resort di lusso (in cui compare Barbara Bouchet), senza perdere nessuno dei suoi vizi, fra cui un amore spasmodico per i capi firmati e per una preziosa crema antirughe in un vasetto dorato.
Là fa amicizia con un collega nero, colto e preparato, con il quale fuggirà dopo un attacco terroristico. Dal paesino dove sono approdati, dato per defunto in patria e pertanto con tutti i debiti estinti, Checco decide di tornare in Italia da clandestino per rifarsi una nuova identità. Ovviamente le cose seguono la consueta trafila, fra eventi comici e altri che potrebbero essere drammatici ma che si risolvono sempre in farsa, fino al finale non imprevedibile.
Intanto, in modo ugualmente prevedibile, il cuore di Checco (ammesso che ce l'abbia) è stato conquistato da una bellissima fuggitiva ma anche dal suo tenero figlioletto (che dice "tolo tolo" invece che "solo solo"), come nella migliore tradizione di questo genere di storie.
Una storia on the road, si dirà, nel cui viaggio l'uomo dovrebbe canonicamente trovare spunti di riflessione e imparare qualcosa di più su se stesso e sul mondo. Ma neanche per idea! Qui non c'è nulla di più stolidamente impenetrabile della personalità dell'uomo senza qualità, fermamente sicuro di possederle tutte, inossidabilmente ottimista, invulnerabile alla vergogna e cieco a tutto ciò che non vuole vedere.
Quindi dove e perché questo Zalone convince meno, divertendo anche meno? Non mancano alcuni filoni/tormentoni stile "Hellzapoppin" che scorrono lungo il film, come la sequela di battute contro il sistema burocratico/fiscale (che farà molto ridere chi ne è vittima), la folgorante carriera di un personaggio marginale, un imbecille qualunque che aspirando al massimo a fare il cameriere, scala irresistibilmente tutte le gerarchie verso le più alte posizioni politiche.
E spesso si sogghigna, ogni tanto si ride, ma non tanto, non come si prevedeva, con tempi comici molto più dilatati e un andamento più disteso rispetto ai suoi film precedenti. Non si pensi a una prudenza imposta da un eccesso di correttezza, quella che si dava per oltraggiata e infranta. Si tratta proprio di un minore coraggio dimostrato nella messa in scena di uno dei tanti capitoli della vita del grande cretino Checco, come se ci fosse un freno a mano costantemente tirato (spesso le battute migliori sono sparate a zero, a freddo, con uno humour molto inglese).
Ma chi, cosa ha tirato questo freno? Possiamo solo avanzare ipotesi. Sarà stata la voglia di realizzare un film che facesse ridere con la scemenza del suo protagonista ma non troppo, data la serietà dell'argomento affrontato? Sarà stato perché questo film per la prima volta lo ha diretto lo stesso Luca Medici/Zalone, con notevoli disponibilità finanziarie (il film è stato girato fra Bari, Trieste, Malta, Kenia e Marocco), il che gli ha permesso qualche volo stilistico, qualche location esotica?
Sarà la presenza al suo fianco come sceneggiatore di Paolo Virzì, autore brillante ma assai lontano dal mondo di Zalone, che qui per la prima volta è senza Gennaro Nunziante, che aveva scritto con lui gli altri film, oltre che dirigerli?
C'è qualche passaggio che gira a vuoto (come la ciclica possessione fascista), c'è una ripetizione di gag, c'è qualche snodo della storia non indispensabile, pur all'interno di soli 90 minuti di durata. Va detto che Zalone non mira all'Oscar né al Nobel, gli basta mantenere la sua posizione, il suo successo e i suoi soldi. E come dargli torto? Non mira certo a cambiare la società, a migliorare il mondo. Vuole farci ridere, magari cercando di farci riflettere sui meccanismi che ci provocano questa salvifica reazione.
Ma ecumenicamente, perché Zalone non va tirato per la giacchetta, lui non è mai stato né di "sinistra" né di "destra" e si è sempre divertito a mettere alla berlina i vizi di entrambi gli schieramenti. E anche qui vuol far ridere simili e diversi, chi certi comportamenti mai li terrebbe e chi invece lo fa, anche senza accorgersene. Ma non basterà un finale buonista stile Disney a convincere i suoi spettatori più intolleranti o a rabbonire i più liberal.
"La cazzata è il rilassamento dell'intelligenza": non si sa bene chi l'abbia detto ma suona bene. Di questa affermazione si è sempre fatto alfiere Checco Zalone ma questa volta possiamo dire che non è stato abbastanza cazzone.
Coloro che ugualmente s'indigneranno e paventeranno chissà quali nefaste derive, facciano invece attenzione: la prossima volta che rideranno per un post del Lercio, una mano potrebbe uscire dal monitor e schiaffeggiarli.