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Tom Clancy's Rainbow Six: Siege - recensione

Idee e divertimento, ma qualche problema di troppo.

Fra tutte le case produttrici attualmente sul mercato, Ubisoft è quella che più di tutte sta soffrendo l'inadeguatezza delle nuove console. Basta guardarsi indietro e osservare quanto accaduto con Watch Dogs e Assassin's Creed Unity per capire quanto le aspettative della casa francese fossero diverse rispetto a quanto poi effettivamente proposto da Sony e Microsoft.

Nel primo caso i giocatori si sono trovati fra le mani un prodotto molto diverso da quello inizialmente mostrato, caratterizzato da una realizzazione tecnica ben lontana dallo spettacolo messo in scena con il video dell'annuncio. Nel caso di Unity, invece, il tentativo di mantenere gli standard elevati inizialmente ipotizzati dagli sviluppatori ha dato vita a un gioco pieno di problemi e incapace di girare appropriatamente sugli hardware in circolazione.

Sulla stessa scia troviamo l'atteso The Division (ridimensionato rispetto ai primi filmati) e questo Rainbow Six: Siege, di cui ci accingiamo a parlare. Questo articolo viene scritto dopo aver partecipato a una lunga sessione di gioco con il codice definitivo organizzata dalla stessa Ubisoft in quel di Londra. La sessione si è svolta interamente su PC in un ambiente controllato (una rete chiusa è ovviamente diversa da ciò che i giocatori si troveranno di fronte al day one, con i server sovraccarichi), ma nonostante questo ha presentato alcuni problemi di cui parleremo tra poco.

Ma torniamo al difficile rapporto tra Ubisoft e l'hardware attualmente in circolazione. Rispetto alla versione originariamente presentata dagli sviluppatori, Rainbow Six: Siege ha subito un'involuzione evidente che non solo ha colpito il comparto tecnico, ma ha modificato in modo netto perfino il gameplay.

Le classi vanno sbloccate una per una ma è comunque possibile vestire i panni della recluta, scegliendone la dotazione di partenza.

Ricordate il video con cui Ubisoft mostrò per la prima volta il progetto, facendo schizzare alle stelle le aspettative di critica e pubblico? Allora il gioco presentava un comparto tecnico impressionante, con strutture poligonali complesse, texture di altissima qualità e un'illuminazione dinamica e particellare da urlo. Il tutto era arricchito da un livello d'interattività degli scenari mai visto prima, che in sostanza permetteva di fare a pezzi ogni elemento della mappa per organizzare strategie sempre diverse, sia in attacco che in difesa.

A ridosso del lancio di Rainbow Six: Siege, tuttavia, tutto ciò è sparito per lasciare spazio a un prodotto ben più ordinario. Ogni mappa è stata realizzata utilizzando strutture poligonali piuttosto semplici, texture mai sorprendenti e un sistema di illuminazione piatto e poco incisivo. Il risultato finale è un quadro con poca profondità che svolge il proprio compito senza mai impressionare.

Perfino la possibilità di distruggere gli ambienti di gioco risulta profondamente ridimensionata, tanto che rispetto a quanto mostrato in prima battuta non è più possibile usare le cariche da breccia e la termite su qualsiasi superficie, dovendosi accontentare di applicarle solo dove previsto dai programmatori. Si può ancora sparare attraverso i muri, ma il risultato della pioggia di piombo non è paragonabile al quadro inizialmente dipinto da Ubisoft. Se speravate di vivere una lotta al terrorismo virtuale di nuova generazione, dovrete rivedere le vostre aspettative.

Il ridimensionamento tecnico non è l'unico problema di Siege, comunque. Come già accennato, anche il gameplay è regredito rispetto alle origini, al punto da prestare il fianco ad alcune critiche. L'intera esperienza è infatti divisa in due tronconi distinti, uno contro l'Intelligenza Artificiale e l'altro contro avversari umani.

L'interazione con gli ambienti è ancora piuttosto alta, ma non è paragonabile con quella precedentemente mostrata da Ubisoft.

Il PVE si basa principalmente su due modalità, Situations e Terror Hunt. La prima propone una manciata di missioni che accompagnano il giocatore in un vero e proprio tutorial. È in queste situazioni, caratterizzate da un design non sempre perfetto, che si apprendono i rudimenti della caccia al terrorismo affinando le proprie tecniche di attacco e di difesa. Le missioni spaziano dal recupero e la difesa di un ostaggio alla disattivazione di alcune bombe, passando per l'immancabile raid per abbattere tutte le minacce in circolazione. Ogni missione mette il giocatore nei panni di una classe differente, facendo così prendere confidenza con i vari gadget presenti nel gioco e con una vasta gamma di possibili strategie.

Peccato, però, che l'intera modalità Situations risulti poco divertente e a tratti frustrante, anche per colpa di alcune scelte di design prive di logica. Essere abbattuti da un terrorista in attesa al punto di estrazione, nascosto dietro a una macchina della polizia, farebbe perdere la pazienza anche al più pacato dei giocatori, così come l'arrivo di un'orda di rinforzi tra le fila dei terroristi dopo essersi assicurati di ripulire completamente l'edificio.

Queste situazioni non tengono minimamente conto del tema attorno a cui ruota l'esperienza, ignorando le basi di qualsiasi operazione speciale. È assurdo che il punto d'estrazione, normalmente presidiato da decine di agenti e da diversi cecchini, possa trasformarsi nel luogo ideale per un'imboscata, così come è altrettanto folle che in un luogo chiuso e isolato compaiano dal nulla rinforzi inaspettati.

Considerando che stiamo parlando di una serie nata come vera e propria simulazione delle operazioni speciali (i giocatori più "stagionati" ricorderanno le lunghe pianificazioni prima di ogni sortita, che rappresentavano il vero cuore del gioco), è lecito porsi qualche domanda di fronte a questa particolare evoluzione.

L'arte dell'assedio in Tom Clancy's Rainbow Six: Siege.

Fortunatamente la situazione delle modalità PVE migliora in Terror Hunt, una caccia al terrorista che può essere giocata in coop con un gruppo di amici. Esattamente come accadeva in Rainbow Six Vegas (il primo e il secondo), le sortite coordinate contro le orde di terroristi controllate dall'IA possono garantire tante ore di divertimento.

Rispetto ai due titoli appena citati, tuttavia, il fatto di non poter scegliere la mappa da affrontare appesantisce leggermente l'esperienza, così come lo scarso numero di armi e di gadget a disposizione. Fra i tanti problemi di Rainbow Six: Siege, infatti, c'è anche il numero ridotto di armi e accessori da sfruttare sul campo. Spesso la personalizzazione delle armi da fuoco si limita all'acquisto di uno dei pochi mirini disponibili, del silenziatore e di qualche skin.

Giocando Terror Hunt insieme agli amici ci si rende conto del vero potenziale del titolo di Ubisoft. Durante la prova londinese abbiamo avuto la fortuna di giocarla insieme a quattro colleghi italiani, e il risultato finale è stato a tratti esaltante. Le partite spingono a parlarsi costantemente pianificando ogni mossa, cercando sempre di coprirsi e supportarsi a vicenda.

È in queste situazioni che emergono le qualità del gunplay di Siege, gratificante e divertente in ogni situazione. Fare un buco nel muro con il calcio del fucile (o con un martello, disponendo della giusta classe) per eliminare i nemici all'interno di una stanza fortificata è intrigante, così come è umiliante subire un headshot alla stessa maniera.

In Siege la coordinazione è fondamentale. Giocare con dei perfetti sconosciuti è il modo migliore per non godersi il gioco.

L'approccio in compagnia giova anche al PVP, che offre il massimo solo se affrontato con un gruppo affiatato e ben coordinato. Giocare il multiplayer di Rainbow Six: Siege insieme a dei perfetti sconosciuti non porta altro che frustrazione, complice la mancanza di comunicazione nelle fasi cruciali degli scontri.

Come funziona il PVP? Due gruppi di giocatori si dividono in difensori e attaccanti. I primi devono fortificare l'edificio piazzando rotoli di filo spinato, trappole esplosive e indispensabili rinforzi e barricate a muri, porte e finestre. I secondi, naturalmente, devono fare irruzione per portare a termine l'obiettivo di turno, che sia questo il recupero di un ostaggio, il disinnesco di alcune bombe o l'eliminazione di tutte le minacce. La nota stonata del PVP di Siege è che entrambe le squadre vestono i panni delle forze speciali. Sì, avete letto bene. Nelle modalità competitive di Rainbow Six: Siege non esistono i terroristi, e i giocatori vivono una sorta di battaglia tra poliziotti buoni e poliziotti cattivi (visti i tempi che corrono, non escluderei sia stata una scelta di 'correttezza politica', ndSS).

Ogni giocatore può scegliere una delle classi a disposizione, a patto di averle precedentemente sbloccate investendo la valuta del gioco. E ogni classe è caratterizzata da un equipaggiamento tattico ben preciso che ne contraddistingue il gameplay. Si va dal poliziotto corazzato dotato di scudo antisommossa (magari con i flash con cui disorientare gli avversari) al massiccio soldato con la torretta mitragliatrice portatile, fino ad arrivare al cecchino e ai tecnici dotati di droni e rilevatori di ogni tipo.

Una volta completate le dieci missioni della modalità Situations, si sblocca un incarico extra da giocare in coop.

Una volta scelto il proprio alter-ego virtuale si scende in campo per far festa. I primi secondi della partita vengono spesi dalle due squadre per pianificare l'operazione. I difensori possono alzare le barricate e piazzare le trappole per proteggere gli obiettivi sensibili e rendere la vita difficile agli attaccanti. L'altro team, invece, può inviare alcuni droni a perlustrare la casa, in modo da individuare l'obiettivo e valutare la strategia degli avversari. Sfortunatamente nella versione da noi provata (un codice review approvato da Ubisoft, questo è opportuno ricordarlo) ci si imbatteva frequentemente in un fastidioso bug che incapacitava i droni degli attaccanti, costringendo la squadra ad un assalto alla cieca generalmente destinato a finire in tragedia.

Considerando che le forze speciali non hanno a disposizione i tradizionali visori da sfruttare in queste circostanze (quello notturno e quello termico, tanto per fare un paio di esempi banali), il fatto di dover esplorare alla cieca mappe vaste e strutturate su più livelli, può rappresentare un problema importante. A questo si affianca la scelta bizzarra di permettere ai difensori eliminati di accedere alle telecamere a circuito chiuso per aiutare i compagni ancora in vita, individuando e taggando eventuali membri del team avversario.

Questi due elementi tendono ad appesantire un gioco altrimenti divertente. Perdere una sfida particolarmente tirata solo perché un giocatore già abbattuto ha rivelato all'avversario i propri movimenti può essere davvero fastidioso. E alla luce di quanto detto fino a questo momento, spesso conviene eliminare l'intera squadra avversaria piuttosto che concentrarsi sull'obiettivo vero e proprio, operazione che permette di risparmiare diversi secondi preziosi senza doversi preoccupare di individuare bombe e ostaggi.

Le unità Spetsnaz in azione in Tom Clancy's Rainbow Six: Siege.

Il fatto che i difensori vengano scoraggiati dall'abbandonare l'edificio, inoltre, riduce le possibili scelte strategiche. Ogni volta che si mette il naso fuori dal palazzo da fortificare, infatti, lo schermo vira sul rosso ostacolando la visuale. Piuttosto che optare per una soluzione così poco elegante i programmatori avrebbero potuto studiare qualche idea migliore, come la verosimile presenza di letali cecchini appostati lungo il perimetro.

Considerando che anche nell'ambiente controllato della nostra sessione di prova abbiamo riscontrato qualche problema con il matchmaking, e che la recente open beta ha sofferto (e soffre ancora) di evidenti alti e bassi nelle prestazioni, abbiamo deciso di attendere qualche giorno prima di pubblicare il voto di Rainbow Six: Siege.

Al momento non possiamo consigliare l'acquisto al day one del titolo Ubisoft. A prescindere dalle prestazioni dei server al lancio, infatti, Rainbow Six: Siege soffre di alcuni problemi che invitano a un approccio cauto, a meno di non avere degli amici che muoiano dalla voglia di fare gruppo fingendosi agenti delle forze speciali.