Torchlight
Diablo vive ancora.
Nella vita, come nei videogiochi, esistono due approcci quando ci si trova davanti ad un maestro indiscusso. Si può decidere di cercare strade alternative, nella cocciuta convinzione che si possa fare di meglio con le proprie forze. Oppure si fa un bagno nella vasca dell’umiltà, si guarda con sincerità chi si ha davanti e si cerca di portare a casa quelli che sembrano essere i punti di forza e i pregi, adattandoli ovviamente al contesto.
Non esiste a priori una via migliore di un’altra, tale da garantire un successo certo e soprattutto remunerativo. Sicuramente però quando non si vuole rischiare di finire con il posteriore per terra schiacciati dalla superiorità dell’Esempio, le alternative si riducono velocemente ad una sola. Sempre che non si voglia fare del sano harakiri, i cui risultati si affollano ironicamente numerosi nel panorama videoludico.
I ragazzi di Runic Games devono pertanto aver fatto questo ragionamento quando hanno deciso, forti delle loro esperienze nello sviluppo di Diablo e di Mythos, di entrare nell’arena degli hack’n slash o meglio dei giochi-di-ruolo-frantuma-mouse-e-procurati-una-tendinite.
Torchlight nello snocciolare le proprie caratteristiche non si vergogna quindi di mostrare papà e mamma: dungeon e nemici generati casualmente, interfaccia tesa alla ricerca della semplicità più pura, grafica pulita e ritmi frenetici, richiamano continuamente quanto di buono era stato fatto con i primi due Diablo.
Il numero di neuroni necessari per padroneggiare appieno la situazione varierà così da uno a due a seconda del giocatore, per la gioia di chi vuole qualcosa di immediato ma divertente. L’approccio iniziale, pur ricadendo nel solco del già visto (la cittadina di Torchlight richiama in maniera lampante Tristram e i suoi NPC), è però un’esplosione di colore che ricorda molto World of Warcraft, laddove invece in Diablo i toni predominanti erano cupi e desolanti.
Preso quindi controllo del vostro compagno di avventura, a scelta fra un nerboruto guerriero, un mago e una piacente fanciulla che si diletta dalla distanza con archi e pistole, vi ritroverete a indagare sul male che l’Ember sta portando nella ridente cittadina di Torchlight. Ognuna delle vostre tre scelte sarà dotata di un peculiare stile di combattimento, sebbene l’iniziale personalizzazione consista solo nello scegliere il nome e stabilire se a seguirvi sarà un famelico gatto o un agguerrito cane.
Mentre cercherete così di mettere insieme i pezzi di un puzzle del quale inizialmente avrete unicamente qualche misero pezzo, vi ritroverete lentamente affascinati nel viaggio nelle profondità delle miniere di Mor.. ehm, di Ember.
A dire il vero alla lunga sentirete purtroppo la mancanza di un background maggiormente costruito, sebbene per i più prettamente accessorio, ma nel complesso difficilmente potrete lamentarvi.
Alla fine infatti questa risulta essere una delle poche mancanze in un gameplay per il resto studiato con cura e abilità, in grado di calare immediatamente il giocatore nel vivo dell’azione e di farlo con carattere. D’altronde nel team si ritrovano componenti provenienti dal progetto Mythos oltre che da Blizzard e la cosa, a livello di esperienza, ha evidentemente il suo peso.
Nella ricerca della giocabilità più pura sono stati inoltre eliminati tutti i fronzoli in grado di aggiungere più fumo che sostanza, in favore di alcune piacevoli trovate: ad esempio, il vostro amico a quattro zampe potrà, su vostro ordine, recarsi alla casa base per piazzare tutti gli item che raccoglierete mazzolando i vostri nemici.