Tornare a vincere - recensione
Certe partite non finiscono mai.
Il basket, gli allenatori, le squadrette del liceo, la provincia. E la solitudine, il fallimento, l'alcol. E le second chance. Parliamo di Tornare a vincere, nuovo film con Ben Affleck, che da solo vale la visione.
Jack, più di 40 anni, lasciato dalla moglie dopo un lutto insopportabile, già gravato da un'infanzia ingombrante, si è ridotto a campare facendo il manovale edile, il frigo riempito di birre, la vodka al posto dell'acqua nel thermos. Era stato un promettente giocatore di basket ai tempi del liceo, con serie prospettive per una carriera professionale, ma non ne aveva fatto niente. A sorpresa la scuola cattolica che aveva visto il suo exploit sportivo, lo chiama per allenare la loro squadretta, composta da qualche valido elemento, ma del tutto demotivata.
Tutti i giovani atleti sono afflitti da vari problemi che deprimono la loro resa e soprattutto non hanno la testa per gareggiare. In ciascuno di loro c'è un pezzetto di Jack, dei suoi difetti e delle sue qualità, e lui, anche se è davvero uno alla deriva, capisce razionalmente che quella è un'occasione da non sprecare, l'ultima palesemente. Oltre che essere stato un ottimo atleta, Jack è anche capace di individuare l'origine del disagio negli altri, pur mostrandosi impotente a operare lo stesso processo su se stesso.
Con metodi ruvidi, con qualche brutalità che inizia a scontentare i suoi superiori, Jack opera una trasformazione impossibile, per quanto riguarda la resa della squadra e l'atteggiamento di qualche ragazzo. Intanto va avanti a vivere, lavora ma non smette del tutto di bere, perché questa non è una favoletta, riesce solamente a non imbruttirsi troppo. Naturalmente solo quando tocchi il fondo puoi risalire, ma non è detto che in mezzo non ci stia qualche altro inabissamento, e potrebbe essere fatale. Come da manuale, come lo spettatore si aspetta, Jack ricadrà. Si rialzerà, riuscirà a portare a termine l'impresa, rifondare una squadra e se stesso?
The Way Back, tradotto per il nostro mercato in Tornare a vincere, è un film scritto da Bard Ingelsby, di cui ricordiamo il bell'Out of the Furnace, il più commerciale Run All Night. A dirigere è Gavin O'Connor, già con Affleck in The Accountant, che aveva già diretto due altri film di ambientazione sportiva, il durissimo Warrior e Miracle, storia vera di un'incredibile rivincita grazie all'allenatore di hockey su ghiaccio Herb Brooks. Fra gli altri suoi film ricordiamo Jane Got a Gun e Pride and Glory.
Come si sarà capito si tratta di una storia già vista molte volte, e indissolubilmente legata al mondo dello sport, dove con fatica si emerge e con fatica ancora maggiore si mantiene la posizione. Eppure ogni prevedibile passaggio, ogni consolidata retorica di genere esce come nobilitata da una narrazione sempre sobria, a tratti toccante, e da un finale che compie una leggera virata rispetto a quanto si sarebbe portati a pensare. Ma basilare è il contributo dato dalla sentita interpretazione di Ben Affleck, che con il suo busto massiccio, il viso un po' gonfio, l'apparente mancanza di empatia e l'incapacità di adeguarsi alle altrui aspettative, lascia intravedere un'adesione al personaggio che sconfina nell'autobiografico, con la sua carriera messa a rischio dalle proprie debolezze, ma anche la capacità di rialzarsi dopo essere caduto.
Tornare per vincere non mira mai ad essere assolutorio, perché anche se di scusanti il personaggio ne avrebbe, ugualmente non viene giustificata la sua discesa verso l'autodistruzione. Mentre di tappa in tappa si procede lungo una strada battuta (perché è così che vanno le cose in tantissimi casi, sugli schermi e nelle vite), si segue senza fastidio l'avventura di un uomo che nessuno può aiutare, non per questo indegno di comprensione, di pena, facile da giudicare ma per il quale si finisce per fare il tifo.
Di tutte le storie sui perdenti, una gran parte è stata fornita dai campioni sportivi, gli agonisti decaduti per incidenti fisici, per incapacità di reggere la pressione delle società, dei media e dei fan, per eccessi di ogni genere a fare da contrappasso a infanzie spesso difficili, a sudatissime scalate al successo, alla durezza di una vita fondata solo sul proprio corpo, macchina da mantenere sempre in efficienza attraverso sacrifici e rinunce. Fra i molti film nell'ambiente del basket, ricordiamo Colpo vincente, Coach Carter e Glory Road.
Qui la dimensione è più umana, più elementare, la storia di un uomo al quale la vita aveva fatto promesse che non sono state mantenute, per colpa del destino, per colpa sua, perché ha finito per fare inconscia leva sulle sue sfortune personali per essere sempre giustificato e mai castigato. Perché calvinisticamente, si devono sempre pagare le conseguenze dei propri errori, non importa a quale causa siano dovuti. Jack (Ben) dovrà smettere di trovare scusanti, perché per tornare indietro a come si era, bisogna avere il coraggio di andare aventi.