Tribes of Midgard - recensione
Sopravvivenza in salsa vichinga.
Tribes of Midgard risponde forse alla domanda sul numero di generi diversi in cui possa ricadere un videogioco. Il titolo di Norsfell Games infatti non si limita semplicemente ad essere un sandbox survival cooperativo, ma aggiunge anche meccaniche hack and slash, una progressione tipica di un RPG e una componente assai marcata di tower defense.
Tribes of Midgard ci mette nei panni di un membro di una tribù che ha lo scopo non solo di proteggere il proprio villaggio dalle orde di creature e banditi che di notte assediano le nostre mura, ma anche di prendersi cura di uno dei semi dell'albero del mondo, piantato al centro del nostro villaggio, la cui energia vitale è la causa principale degli attacchi subiti nel corso della nostra partita.
Per adempiere ai nostri compiti, e quindi entrare nella gloria del Valhalla da eroi, il nostro compito dapprincipio è quello di equipaggiarci a dovere con armi, armature e utensili, per esplorare l'area circostante e accumulare materiali ed essenze. Tali risorse sono fondamentali non solo per la nostra persona, fornendoci via via utensili sempre più efficienti e armi sempre più potenti, ma ci permettono inoltre di migliorare i servizi offerti dagli NPC presenti nel nostro villaggio.
Il fabbro ci consente di impugnare oggetti sempre più letali mentre l'armaiolo ci fornisce una protezione sempre migliore; l'alchimista crea pozioni di cura e di mana, mentre il tuttofare ci permette non solo di migliorare i nostri utensili ma anche di convertire materiali base in quelli più avanzati.
Tali risorse sono necessarie per il crafting di oggetti per l'endgame, ma anche utilissime per ricostruire insediamenti abbandonati, che una volta completati ci forniscono periodicamente materiali ed oggetti ad intervalli di tempo predefiniti, aiutandoci nella nostra corsa agli armamenti.
Si perché ToM è un'avventura a tempo. Le nostre escursioni giornaliere hanno una durata davvero limitata: quando cala la notte, infatti, il nostro villaggio viene attaccato da orde di nemici che hanno come scopo la distruzione del nostro albero. Pertanto, quando il sole sta per tramontare, tutti i membri della nostra tribù devono essere all'interno delle mura pronti a difendere il villaggio per un altro giorno.
Non bastassero le orde notturne, abbiamo anche a che fare con dei giganti leggendari, gli Jotnar, che lentamente ma inesorabilmente si fanno strada da un estremo della mappa fino al nostro avamposto.
Il tempo è contro di noi in questo gioco. I giorni passano, le ore di luce diventano sempre di meno, le notti nordiche sempre più lunghe e fredde. Fino a raggiungere un punto di non ritorno, intorno al quindicesimo giorno. Non c'è più la luce del sole a scaldare la nostra pelle ma una notte eterna, che non solo porta ppressione, ma anche orde interminabili di nemici ad assediare il nostro villaggio, rendendo quasi impossibile l'esplorazione del mondo circostante per ottenere risorse vitali.
Ed è qui che l'impianto di Tribes of Midgard comincia a sgretolarsi. Perché sebbene sia fruibile in solitario, questo survival non ha pietà, e necessita di un gruppo di giocatori per coprire ogni compito. Possiamo creare un team (fino a 10 componenti tra vichinghi e valchirie) o usare la comoda funzionalità di matchmaking che comunque comporta i soliti problemi: difficoltà per completare il gruppo, diversa esperienza (specialmente per i neofiti che si avvicinano per la prima volta al titolo) e, in generale, uno stile diverso da giocatore a giocatore.
Se invece vogliamo prendercela con più calma, e forse goderci un po' di più il gioco, possiamo sempre creare una partita personalizzata, con regole e impostazioni decise da noi, aggiustando pertanto la difficoltà globale. Questo ci permette inoltre di analizzare meglio ogni singola abilità della nostra classe (all'inizio solo arciere e guerriero, ma con molte altre da sbloccare in seguito), facendoci apprezzare anche la componente RPG di un titolo che per qualche bizzarro motivo ci vuole fare tutto di corsa.
Una partita media ci lascia tempo di esplorare forse un decimo della mappa, bloccandoci in una routine di attività che non lascia spazio alla creatività e a quel "sense of wonder" che dovrebbe essere parte di ogni survival game che si rispetti. Perché il mondo di ToW invoglia davvero all'esplorazione, con un stile grafico originale e mai opprimente, quasi minimalista alla Valheim (paragone necessario a questo punto).
Ma dove quest'ultimo sembra fare tutto da manuale, ToW vuole forse mettere troppa carne al fuoco, bruciandone alcuni pezzi e lasciandone alcuni quasi crudi. L'esplorazione lascia il passo alla necessità di farmare risorse nell'immediato, e l'entusiasmo si spegne gradualmente.
Ogni partita completata, più o meno con successo, aumenta il livello globale del nostro personaggio, sbloccando kit di sopravvivenza ottenibili fin dall'inizio (senza quindi perdere tempo a costruire utensili e armature) e potenziamenti con cui iniziare la partita seguente, creando un loop aggiuntivo che però a lungo andare non aggiunge spessore alla nostra progressione, diventando piuttosto una scorciatoia per accelerare il nostro progresso.
ToW è sicuramente un titolo che va giocato in gruppo, fra amici, o se coraggiosi con un gruppo di perfetti estranei. Il single player come abbiamo detto esiste ma il gioco risulta frustrante e praticamente impossibile, senza opzioni evidenti di scaling.
Offre tante idee davvero originali, ma forse troppe, e il senso di pericolo che percepiamo quando vediamo la figura del gigante approcciare il nostro insediamento regala scariche di adrenalina. Eppure la routine condiziona il nostro approccio alla partita, e tutto di colpo sembra già visto.