Tutti vogliono i giochi in streaming, ma nessuno risolve i dubbi - editoriale
Google, Electronic Arts, Sony, Microsoft: tutti sul carro del cloud gaming.
Siete sul bus, prendete lo smartphone e riprendete a giocare. Dallo stesso punto dal quale, poco prima, avete abbandonato la sessione di gioco sulla smart TV; una console non l'avete nemmeno mai comprata. È ciò che promette il cloud gaming: giocare in streaming in qualunque momento e su qualunque dispositivo. Un concetto che gli utenti hanno assimilato quando si parla di film, musica e serie TV; un'esperienza audiovisiva fluida che ormai è indipendente dall'intermediario, che può essere un giradischi moderno, uno smartphone o una console.
Questa idea sta attirando proprio tutti. All'E3 2018 Electronic Arts ha anticipato di star lavorando a un suo servizio di streaming, anche se deve ancora dare seguito a tale promessa (pur avendo dimostrato il proprio interesse comprando la tecnologia di GameFly). Persino Google sta sperimentando l'idea, testando Assassin's Creed Odyssey giocato dal browser Chrome. Microsoft è andata oltre: Project xCloud è il volto di quel servizio di gioco tramite il cloud a cui aveva fatto riferimento all'E3. I primi test pubblici saranno pronti già il prossimo anno e tutti i giochi Xbox saranno compatibili, anche quelli già in commercio.
I giochi Xbox, in poche parole, vengono slegati dall'hardware: è un server Microsoft, in uno dei 54 centri dati sparsi per il mondo, a elaborare i dati; questi vengono poi trasmessi in streaming al dispositivo, connesso tramite Wi-Fi o 4G (e in futuro 5G). Qualunque dispositivo, anche un classico smartphone. Perché a quel punto non è più questione di potenza dell'hardware locale, bensì della qualità della connessione, che deve essere sufficientemente alta da permettere a una tale quantità di dati di viaggiare senza intoppi. E tale punto, a oggi, resta il più grande dubbio sui videogiochi in streaming; dubbio rispetto al quale nessuno ha saputo (ancora) dare una soluzione.
Trasmettere un videogioco in streaming, infatti, è ben altra cosa rispetto a un film o a una canzone. Per prima cosa la quantità di dati è mostruosamente più alta. Seconda cosa, se un minimo di buffering è già fastidioso quando si guarda un episodio di una serie TV, provare a immaginare cosa significherebbe ciò per un'esperienza di un videogioco fa già venire un po' di prurito.
La latenza - cioè la differenza di tempo tra quando viene inviato un segnale e quando viene ricevuto - è qualcosa a cui siamo abituati sin da quando esiste il gioco online; è inevitabile. Applicare tale disturbo anche alle esperienze in singolo, invece, è difficile da digerire. Significherebbe avere potenziali cali di fluidità anche con una partita di FIFA oppure in una sessione a The Elder Scrolls. Fermo restando che significa che quando i server non sono operativi - per un malfunzionamento o per manutenzione ordinaria - non si gioca: i disservizi delle modalità online, insomma, trasposti nelle esperienze online.
E in tal senso nessuno, a oggi, sembra riuscire a produrre un servizio di streaming videoludico che risponda a questo dubbio. Senz'altro serve una connessione adeguata; sarebbe come tentare di guardare un film su Netflix in 4K con una connessione a 6 Mbit/s e lamentarsi che non va bene. Bisogna, quindi, essere consapevoli dei limiti dell'infrastruttura di rete pubblica e casalinga prima di puntare il dito contro il servizio.
Tantomeno Microsoft intende lasciare da parte la console: che stia lavorando a Xbox Scarlet, con un'esperienza più tradizionale, lo sappiamo. D'altro canto da anni esiste PlayStation Now, ma Sony prosegue nel suo impegno verso le console PlayStation (che in questi trimestri hanno spesso salvato Sony da risultati finanziari altrimenti deludenti).
Il fatto però che Electronic Arts, Microsoft, Sony, Google e anche Ubisoft e Capcom stiano sperimentando con i servizi di streaming è un'indicazione chiara e netta: tali servizi arriveranno. Punto. Non stravolgeranno il mercato (probabilmente nemmeno vogliono farlo). I servizi per giocare in streaming, però, rappresentano il naturale complemento a una strategia di mercato che sta rendendo il videogioco sempre più "liquido" e sempre più un servizio. Pensiamo a Xbox Game Pass oppure Origin Access Premier, che offrono un abbonamento a prezzo fisso (9-10 euro al mese) per avere un vasto catalogo. Un servizio simile è l'ideale struttura per lo streaming applicato ai videogiochi.
Giocare in streaming sarebbe ideale per i videogiochi occasionali; videogiochi che magari sono "nati" dal mercato mobile e quindi digeriscono male l'idea di comprare una console dedicata per poter giocare. Esattamente come la musica in streaming non ha impedito al vinile di tornare a crescere, i videogiochi in streaming non "ammazzeranno" mai le console né le produzioni come le conosciamo oggi.
Si tratta di un ulteriore tentativo da parte dei produttori, sia software sia hardware, di trovare altre strade per fare profitti, esattamente come lo è stata la questione delle loot box, che poi è "esplosa" in faccia agli stessi produttori. Un po' come Microsoft ha tentato la carta dell'Xbox All Access per vendere l'hardware in modo differente (un abbonamento mensile per Xbox One, Game Pass e Live Gold, per chi non lo sapesse), anche il software verrà venduto in maniera diversa.
Restano, però, ancora tanti dubbi da sciogliere, che sin da quando sono arrivati OnLive e Gaikai, poi smantellati o venduti, continuano a esistere. E che nessuno, ancora, ha dato l'impressione di poter in qualche modo attutire. Le incognite sui videogiochi in streaming, insomma, continua a essere le stesse da anni a questa parte. Magari una delle tante aziende che ci sta provando riuscirà a trovare la tecnologia ideale. In caso contrario ci saranno sempre le console.