Ubisoft, è giunto il momento di far ritornare Splinter Cell - editoriale
In attesa di quei tre puntini verdi.
Tre puntini. Soltanto tre piccoli punti verdi, che formano ordinatamente una piramide. Oh, quanto ho aspettato che, durante un evento, le luci si attenuassero e sbucassero dallo schermo quei tre puntini accompagnati dal tipico ronzio di qualche improbabile strumento tecnologico che si attiva. Caro Splinter Cell, ma dove diamine sei finito?
Sono passati, nel caso non ve lo ricordaste, sei anni dall'ultima uscita di Sam Fisher, con il brillante Blacklist, a sua volta una sorta di correzione di rotta a seguito dell'uscita di Conviction nel 2010, che a sua volta era stato un reboot del reboot che non aveva mai davvero visto la luce del giorno, visto che il concept di Conviction è stato risistemato lungo il percorso. Con una storia così travagliata, forse non è un caso che Splinter Cell sia sparito per così tanto tempo.
Eppure, nonostanti tutti i problemi, e ce ne sono parecchi, ho adorato l'accoppiata di giochi di Splinter Cell che Ubisoft ci ha regalato durante la seconda metà dell'ultima generazione. Conviction è strano, ma allo stesso tempo splendido. È nato per essere una radicale reinvenzione della serie: le sue modifiche estreme rispetto alla formula originale sono sembrate un perfezionamento dei sistemi presenti nel titolo originale del 2002. Così è stato presentato un Sam Fisher spogliato dei suoi gadget, ma con la nuovissima abilità di lanciare sedie di plastica ai passanti.
Se avete assistito ai filmati dell'originale Splinter Cell Conviction, sarete senz'altro grati del fatto che non sia mai stato realizzato. Sembrava più che altro un brawler (sebbene con la presenza di elementi social stealth, condivisi con Assassin's Creed, che nel frattempo stava venendo sviluppato negli studi di Montreal). È difficile immaginare lo scalpore che i fan tradizionali avrebbero scatenato se il gioco fosse rimasto così all'uscita. Il modo in cui Ubisoft sia riuscita a riorganizzare il tutto all'interno del Conviction che abbiamo poi giocato nel 2010 rimane uno dei suoi risultati migliori.
La versione finale di Splinter Cell Conviction è rimasta fedele al concept originale e vede un Sam Fisher spogliato dei suoi gadget, che improvvisa operando al di fuori del controllo di Third Echelon, ma rimanendo comunque fedele ai principi fondamentali della serie. E, cosa più importante forse, Sam viene privato del suo completo stealth: Ubisoft ha optato per una combo fatta di un paio di pantaloni a coste che lo facevano sembrare una sorta di giardiniere. Ho decisamente apprezzato.
E ancora, nulla fa pensare ad un assassino a sangue freddo come un auricolare bluetooth in-ear. Il nuovo look di Sam, il tipico dirigente di livello medio che è diventato un assassino, faceva parte di un nuovo approccio improntato allo stealth. Sicuramente più incentrato sull'azione, ma intelligente tanto quanto lo era prima. La meccanica “marchia e uccidi” è stata meravigliosamente potenziata, e l'abilità di passare dall'azione allo stealth e viceversa ha conferito a Conviction un ritmo incalzante e contagioso.
È fantastico, e i livelli che si prestano a dare quel ritmo al gioco sono più che sufficienti a compensare quelli che invece non riescono a farlo, mentre il tono di Conviction si è fatto decisamente più cupo. Un titolo di Tom Clancy non si gioca sicuramente per la storia, ma almeno il tono più cupo, grazie al doppiaggio inglese di Michael Ironside, ci dà un'idea più sfaccettata di Sam Fisher. La sua voce sembra un vetro rotto che viene trascinato sulla ghiaia asciutta e polverosa.
Così il punto più basso del seguito di Conviction, Splinter Cell Blacklist del 2013, si è manifestato non appena Sam Fisher ha aperto bocca. La voce di Ironside era scomparsa, sostituita dal tono pulito e senz'anima di Eric Johnson. La versione ufficiale seguiva la linea di Ironside, quest'ultimo però si era dovuto fare da parte perché stava diventando troppo vecchio per quel ruolo, soprattutto in considerazione del fatto che, oltre al doppiaggio, si andava ad aggiungere anche l'interpretazione vera e propria necessaria per il motion capture. Purtroppo si è andato a perdere un po' di carattere.
Cosa si è guadagnato però? Beh, forse abbandonare la voce di Ironside era un sacrificio necessario per far posto a quell'impeccabile senso di movimento presente in Blacklist. E mentre Sam Fisher si muove tra i livelli, si viene a creare un ritmo favoloso: livelli che, sia chiaro, sono molto più lineari rispetto a tutta la libertà che Splinter Cell aveva raggiunto in passato. Tuttavia, questa linearità dà a Blacklist una sua visione, l'essenzialità dei livelli offre infatti ampio spazio all'improvvisazione.
Adoro Blacklist per il suo essere adattabile. Scivola su una teleferica, piomba su una guardia ignara, poi torna nell'ombra con un rapido movimento. Ed è ancora meglio quando i piani vanno male, perché è proprio lì che inizia davvero il divertimento del gioco, visto che Blacklist fa del suo meglio per unire l'azione più fracassona allo stealth più silenzioso. Era un gioco perfetto? Non proprio, anche se ritengo che Blacklist abbia fatto un lavoro encomiabile nel perseguire sia la più tradizionale linea di Splinter Cell che quel gunplay che, a parere di Ubisoft, il pubblico moderno desiderava. Il suo multiplayer, inoltre, era assolutamente fantastico (la sua interpretazione di Spies vs Mercs è eccezionale).
Cosa accadrà? Chi lo sa, anche se tutto il teasing che si è ripetutamente creato nel corso degli anni attorno a Splinter Cell, senza poi portare a nulla di fatto, è stato piuttosto irritante. Soltanto l'anno scorso, Sam Fisher ha fatto un cameo nel fenomenale Ghost Recon Wildlands, con un Michael Ironside ancora più rude ad interpretarlo: la cosa ovviamente suggeriva che il suo ritorno non sarebbe stato molto lontano. Da allora abbiamo ricevuto la notizia di un sequel di Wildlands (forse inevitabile, considerate le vendite del gioco), ma di Splinter Cell ancora niente.
Speriamo che non rimanga nell'ombra ancora per molto.