Valkyrie Elysium, la recensione,
Square Enix ce la sta davvero mettendo tutta. Eppure...
Non si può certo negare come Square Enix ce la stia davvero mettendo tutta. Già, perché dopo anni passati ad annunciare millemila giochi differenti, senza però che questi vedessero la luce con tempistiche quanto meno umane, negli ultimi tempi il publisher giapponese sembra aver ingranato la quarta, come dimostra la mole di uscite ravvicinate che ha caratterizzato il catalogo recente della casa.
Basta solo dare una sbirciata al pregresso, oltre a quello che ci attende nei mesi a venire, per rendersi conto di come gli sforzi per tenere impegnati a ritmo costante i player siano tangibili, oltre che forieri di sviluppi un tempo anche solo lontanamente immaginabili (tre Final Fantasy nell’arco di soli 12 mesi sono un sogno capace di far tremare le braccia ad ogni vero appassionato). Questo autunno si preannuncia quanto mai scoppiettante, dato che tra nuove IP pronte a prendersi la scena e ritorni più o meno inaspettati, sembra esserci davvero molto da giocare.
E proprio alla voglia di insperato revival si affianca Valkyrie Elysium, produzione che segna il ritorno della serie nata su PlayStation, e di cui vi avevamo già parlato in anteprima in occasione della nostra trasferta londinese. Le prime impressioni suscitate dalla demo, per quanto siano evidenti i limiti di budget del lavoro firmato Soleil, erano state tutto sommato positive, pertanto ci siamo avvicinati all’analisi del codice review con una genuina curiosità. Purtroppo, però, le aspettative sono state disilluse per buona parte, come proviamo a raccontarvi in questa recensione.
Il primo motivo di disappunto è legato alla storia narrata nella nuova fatica di casa Square Enix che, come già anticipato, vedrà la nostra neonata valchiria intenta a purificare le anime corrotte che stanno vagando per Midgard, il tutto per scongiurare l’avvento del Ragnarok. Incaricati dallo stesso Odino, pertanto, dovremo spostarci tra il Valhalla ed il regno dei vivi, oramai ridotto ad una landa desolata abitata unicamente da creature demoniache, echi lontani di un’umanità sull’orlo della scomparsa.
Prevedibile sin dalle prime battute, oltre che priva di mordente, la sceneggiatura che fa da cornice ai combattimenti che caratterizzano la progressione finisce per perdere interesse dopo pochissime missioni, a causa di una regia monocorde e priva di guizzi, a cui si accompagna una qualità di scrittura ai limiti della sufficienza. Difficile, inoltre, trovare appigli nel cast di personaggi gettati sulla scena che, tra un villain impalpabile, comprimari dimenticabili ed una protagonista con cui è davvero difficile entrare in sintonia, non riesce a fare breccia nel cuore del giocatore.
Si arriva così ai titoli di coda quasi per inerzia, tanto per vedere se gli sparuti (e pretestuosi) colpi di scena riescano davvero a sparigliare le carte in tavola, ma i risultati non riescono a sortire l’effetto sperato. A latitare, in tal senso, è anche il word building collaterale, che relega la costruzione della lore a semplici fiori sparsi nell’area di gioco, ricordi cristallizzati dei pensieri delle anime perdute che, in assenza di veri e propri NPC, liquidano il substrato narrativo per mezzo di piccole frasi, incapaci di tratteggiare a dovere la realtà che siamo chiamati a preservare.
Le stesse missioni secondarie opzionali, che avrebbero il compito di fungere da corollario narrativo, si limiteranno a pochissime righe di dialogo, anch’esse prive di mordente e di un reale spessore, risultando più un espediente per il grinding e l’aumento del monte ore. Un po’ poco per mantenere viva l’attenzione del giocatore.
Laddove Valkyrie Elysium riesce a colpire nel segno con veemenza è invece nel proporre un combat system davvero azzeccato e divertente, assai stratificato in fatto di opzioni belliche, ma anche molto semplice ed immediato da metabolizzare. Come vi abbiamo raccontato in fase di anteprima, il titolo di Square Enix si presenta all’appello in forma di action/RPG, rinnegando di fatto le proprie origini ludiche, nel tentativo di modernizzare e rendere più dinamica la propria identità.
Il risultato, almeno nelle intenzioni principali, può definirsi ampiamente riuscito, visto il modo intrigante con cui il combat system si dispiega sotto le dita del player: agli attacchi all’arma bianca si vanno ad alternare incantesimi elementali, l’utilizzo del rampino per muoversi rapidamente sul campo di battaglia, schivate, parate e, elemento principale, gli einherjar, ovvero le summon del gioco.
Queste ultime non sono altro che anime di guerrieri defunti, che dovremo rinvenire nel corso delle missioni e che, una volta reclutate, potranno essere fisicamente richiamate sul campo di battaglia, per farle combattere al nostro fianco per un certo periodo di tempo. Interessane in tal senso è la loro gestione di stampo ruolistico, dato che ne potremo aumentare l’efficacia man mano che le impiegheremo durante gli scontri, ma potremo anche variarne le abilità superando le missioni secondarie a loro dedicate, così da sbloccarne di nuove, che potremo modificare al bisogno (così come la durata della loro presenza in campo, in cambio di un costo di evocazione maggiore).
La loro alternanza al momento opportuno, date le loro affinità elementali che andranno anche ad influenzare l’arma in nostro possesso, si rivelerà indispensabile per avere rapidamente la meglio sui nemici, dei quali sarà sempre indicata la debolezza corrispondente. Naturalmente anche la nostra valchiria, pur essendo una divinità minore, potrà essere potenziata per mezzo di un triplice skill tree, suddiviso in abilità di attacco, difesa e supporto, oltre che tramite il level up delle armi in suo possesso (ne potremo equipaggiare due alla volta, alternabili tramite la pressione della croce direzionale). Si tratta però di un set di opzioni estremamente esile ed elementare che, alla luce del tasso di sfida estremamente contenuto proposto dal gioco, finisce per avere un impatto assai marginale sull’economia generale del bilanciamento, risultando a tratti superfluo e inutilmente ridondante.
È proprio nella struttura della progressione, difatti, che risiede l’altro difetto maggiore di Valkyrie Elysium, che è risultato incapace di proporre un livello di difficoltà anche solo un minimo probante (nel corso dell’avventura siamo incappati in due soli game over di distrazione). Gli scontri, difatti, pur in presenza di boss o un gran numero di avversari, sono sempre risultati estremamente semplici da portare a termine, complici anche le molteplici possibilità di offesa in nostro possesso.
Lo stesso sviluppo delle varie missioni, inoltre, è risultato quanto mai schematico ed elementare, a causa di un level design molto lineare che non ci chiederà altro che avanzare e fare piazza pulita delle orde di anime corrotte che si pareranno davanti. Tra l’altro sono caratterizzate da una varietà di bestiario non certo eclatante. Andremo pertanto avanti quasi per dovere divino, in maniera automatica, proprio come la nostra valchiria, che si ritrova a seguire ciecamente gli ordini del Padre di Tutti, senza indagare sui motivi delle proprie azioni.
Fortunatamente, come se il titolo fosse consapevole di questi suoi limiti in fatto di ripetitività, la longevità generale riesce ad adattarsi alla perfezione ad una simile struttura, così da non risultare dilatata in modo inutilmente artificiale: una volta giunti ai titoli di coda, con circa metà delle missioni secondarie completate e buona parte dei fiori spettrali scovati, il contatore segnava poco più di 11 ore, un valore sicuramente in linea con il tipo di proposta offerta. Completare il tutto nella sua interezza, e trascorrere magari un po’ di tempo all’interno dell’arena di allenamento presente nell’hub/Valhalla, potrebbe portarvi, pertanto, a sfiorare le 15 ore.
Trattandosi come già detto di una produzione minore, quindi non certo dotata di un budget stellare, il comparto visivo di Valkyrie Elysium si è trovato costretto a tutta una serie di logici compromessi in quanto a scelte stilistiche. È innegabile, difatti, come gli sforzi maggiori abbiano finito per essere convogliati nella realizzazione del combat system, elemento che ha portato la nostra valchiria a beneficiare di un moveset assai variegato ed efficace, che esce corroborato da un set di animazioni davvero convincenti, oltre che ben amalgamate tra di loro.
Il rovescio della medaglia, pertanto è da ritrovare in una caratterizzazione del mondo assai spoglia ed elementare, oltre che nella realizzazione delle cutscene dalla qualità altalenante: a modelli costruiti in maniera discreta, soprattutto per quanto riguarda la resa dei tessuti, corrisponde una recitazione digitale alquanto basica, oltre che fiaccata da un lip sync non sempre impeccabile, sia che si scelga il voice over inglese che quello originale.
Peculiare e sicuramente divisiva, inoltre, la scelta di dotare le figure principali di un vistoso bordo nero, decisione in grado di creare un contrasto tra personaggi ed ambiente che potrebbe risultare straniante (ma che personalmente abbiamo trovato comunque interessante). Buone le performance del motore di gioco, che ha prestato il fianco a qualche rallentamento comunque tollerabile solo in sporadici momenti di abbondante caos, mentre rivedibili sono la gestione del lock sui nemici e della telecamera, non sempre molto player friendly. Eccellente, invece, la soundtrack composta da quel veterano che risponde al nome di Motoi Sakuraba, che riesce ad accompagnare lo scorrere degli eventi in modo assai più efficace di quanto riescano a fare i personaggi stessi.
Giunti alla fine dell’analisi, viene spontaneo chiedersi quali fossero le intenzioni di Square Enix con Valkyrie Elysium. In bilico tra il tentativo di riportare in auge questa saga sconosciuta ai più e la volontà di rinfrescarne ed attualizzarne l’essenza, il titolo sviluppato da Soleil non riesce a convincere pienamente in nessuno dei due casi. I fan storici, difatti, con tutta probabilità non gradiranno questo snaturamento così marcato, mentre le new entry potrebbero finire per non lasciarsi coinvolgere a dovere da una struttura action/RPG non certo memorabile.
Alla luce dei fatti, il titolo in questione si presenta all’appello come un gioco onesto nelle intenzioni ma vittima di limiti produttivi quanto mai evidenti, che uniti al risultato generale non riescono a giustificare l’esborso a prezzo pieno. Fosse stato proposto ad un costo più contenuto il giudizio finale sarebbe stato differente, ma allo stato attuale delle cose il ritorno delle valchirie assume piuttosto i contorni della classica occasione mancata.