Valorant - recensione
Il nuovo leader degli sparatutto competitivi... forse.
Ci sono videogiochi a cui ci si avvicina a scatola chiusa, carichi di curiosità e scarichi di aspettative, volenterosi di scoprire gli stratagemmi pensati dagli autori per catturare il pubblico in un nuovo universo multigiocatore.
Poi c'è Valorant, l'ultima fatica di Riot Games, uno sparatutto competitivo che già mesi prima del lancio aveva scalato le classifiche di Twitch, incatenando milioni di appassionati davanti allo schermo per poi catapultarli in una versione beta che profumava di release ufficiale.
Valorant, perdonateci il gioco di parole, ha già dimostrato tutto il suo valore. Non si registrava un ingresso tanto dirompente nel sottobosco degli shooter dai tempi di Playerunknown's Battlegrounds e dell'onnipresente Fortnite. Con 3 milioni di giocatori connessi su base quotidiana, 1,7 milioni di spettatori contemporanei e 470 milioni di ore di trasmissione, è evidente che ci troviamo al cospetto del papabile prossimo titano dell'intrattenimento digitale, un progetto nato con uno scopo e uno soltanto: monopolizzare il mercato degli sparatutto su PC.
Se realizzassimo una checklist delle qualità nascoste dietro i più grandi successi del decennio, ci renderemmo conto che Valorant ha tutte le carte in regola per raccogliere corona e scettro con una certa nonchalance. È un titolo gratuito, o meglio, un free-to-play che si appoggia ai modelli del Pass Battaglia e degli acquisti in-app; adotta uno stile giovane e frizzante, fatto di colori vibranti e personaggi dalle tinte cyberpunk; strizza l'occhio agli esport, trovando le sue fondamenta nel gunplay preciso e nel lavoro di squadra.
Se aggiungiamo alla ricetta la possibilità di girare in modo fluido praticamente su qualunque PC, una curva di apprendimento alla portata di tutti e una campagna marketing da antologia, capace di portare i singoli Agenti persino lungo le playlist di Spotify, è chiaro che il risultato sarà un successo commerciale annunciato, uno sparatutto competitivo in grado di far parlare di sé per anni e anni. Ma se per valutare la qualità di un titolo bastasse rifarsi unicamente ai traguardi numerici, beh, il nostro sarebbe un mondo piuttosto noioso.
Ed è per questo motivo che vogliamo iniziare proprio dalle frecce che il gigantesco Valorant non ha ancora incoccato nel suo arco, su tutte l'assenza di un metaverso narrativo. Il mosaico composto da Riot Games è un insieme di personaggi accattivanti, paesaggi mozzafiato e artwork a dir poco splendidi. Ma nonostante la prima cinematica, non può ancora contare su quell'affascinante filo conduttore che, ad esempio, ha spinto Overwatch a dominare le classifiche del genere nel corso degli ultimi cinque anni.
In Valorant si sente la mancanza di una trama orizzontale: è come se ciascuna partita fosse una puntata di CSI in un mondo ormai conteso fra esperienze più simili a Lost, capaci di portare gli utenti a speculare sulle origini dei protagonisti e sull'identità dei futuri membri del roster.
Certo, è pur vero che in uno shooter si tratta di una caratteristica secondaria, ma c'è un motivo se Epic Games è riuscita a raccogliere milioni di persone di fronte a un buco nero, così come c'è un motivo se l'hero-based di Blizzard si tradurrà presto in un serial su Disney+.
D'altra parte Valorant svolge il resto del suo dovere alla perfezione. Decine di giocatori competitivi hanno abbandonato i palchi di riferimento per esplorare i server più performanti del momento, mentre milioni di utenti attendevano pazientemente l'invito nella closed beta più desiderata del 2020. Ma se negli ultimi due mesi aveste vissuto su un altro pianeta, è possibile che vi stiate ancora chiedendo: "che cos'è, in fin dei conti, questo Valorant?".
Valorant è uno sparatutto competitivo duro e puro, ultimo erede della filosofia di shooting partorita da Half-Life di Valve e poi riversatasi nell'incredibile successo di Counter-Strike. Il compito principale del giocatore è uno e uno solamente: mettere il nemico al centro dello schermo per poi imporre la propria superiorità premendo il grilletto con freddezza e precisione. È un ritorno alle radici del gaming online, un mondo in cui chiunque può impugnare mouse e tastiera per misurarsi con milioni di avversari assieme ad altri quattro giocatori.
È un'esperienza pensata per riempire gli stadi dell'esport, lasciando il pubblico col fiato sospeso di fronte alle azioni più "clutch", catturando nella sua rete le organizzazioni e i professionisti più navigati. È una tela su cui i programmatori di Riot hanno disegnato con grande cura, tracciando pennellate di cooperazione ma riservando il giusto spazio all'abilità individuale, giocando con il bilanciamento e innestando note di colore su uno stile consolidato.
Valorant non è, invece, un'opera del tutto originale. Le meccaniche di shooting, il design delle mappe, l'economia delle armi da acquistare e la presenza di una "Spike" da piantare per vincere il round ricalcano molto, forse troppo da vicino la struttura di Counter-Strike: Global Offensive. Allo stesso modo, l'impatto del roster di undici Agenti, ciascuno dotato di abilità particolari, non rappresenta certo una novità trascendentale per un videogioco di ottava generazione, anzi.
Ma ciò non dev'essere necessariamente inteso come un male: la presenza delle torri, dei minion e della giungla non ha assolutamente impedito a League of Legends di imporsi come il MOBA più giocato e seguito del pianeta, quasi che il motto della compagnia fosse "Riot does it better". Anche in questo caso, infatti, artisti e programmatori hanno lasciato un'impronta pesante, smussando vecchie meccaniche e innestandone di nuove, ripulendo il gameplay e puntando forte sull'estetica.
Muoversi lungo i corridoi retrofuturistici delle mappe di Valorant restituisce un feeling moderno, come se la filosofia dei grandi shooter del passato fosse stata improvvisamente catapultata nel presente. Le classiche arene tattiche cedono il passo ai teletrasporti di Bind, alle serrande interattive di Ascent, a tutta una serie di "hazards" ambientali che mutano profondamente l'approccio allo scontro a fuoco, talvolta rendendo eccessivamente difficili le rotazioni in mezzo alle dozzine di angoli.
Il leggero distacco dalla tradizione è segnato dall'entrata in scena degli Agenti, undici personaggi giocabili dotati di abilità che possono stravolgere l'esito delle sparatorie. Fra combo capaci di garantire il dominio sugli avversari e assoli indispensabili per arrivare alla vittoria, Riot ha pescato dall'esperienza maturata con i titoli character-based, guardando alla storia di League of Legends e aggiungendo giusto un pizzico di originalità per aumentare la profondità delle partite.
Basta una singola freccia del russo Sova scagliata attraverso una parete per decimare la squadra nemica, così come una sola resurrezione di Sage può ripristinare la parità numerica. È vero, le similitudini con volti noti del genere si fanno talvolta eccessive, come quelle fra Omen e il celebre Reaper, per non parlare di quelle al limite del comico fra Reyna e Sombra, ma nel complesso si tratta di meccaniche azzeccate, tanto per rinnovare il puzzle degli sparatutto tattici a squadre quanto per generare una cascata di highlights.
La natura da gioco di squadra in ambiente competitivo, d'altro canto, alza il sipario sul difficile tema della tossicità nell'ambiente online. Riot Games ne è consapevole ed è ben conscia di star percorrendo un sentiero in salita nel tentativo di limitare i comportamenti antisociali. Ma nonostante l'impegno e a causa della necessità della chat vocale, il godimento dell'esperienza resta ancora strettamente connesso all'atteggiamento degli altri membri del team.
Ciascun match è un coin-flip dal quale potrebbe uscire un'esperienza fantastica come un vero incubo: considerando che ogni partita dura circa mezz'ora, c'è il rischio concreto di vivere un incubo degno di Bloodborne.
Tralasciando l'incertezza della componente umana, Valorant è pura e semplice correttezza di esecuzione, un progetto che ha raccolto anni di successi per poi limarne gli spigoli, restaurarne l'estetica e ripulirne il comparto tecnico, specialmente sul lato server, garantendo a chiunque un'esperienza fluida, profonda e capace di rispondere a tutte le moderne esigenze del mercato.
Ma proprio per questo motivo somiglia a una zampata nello stile di Filippo Inzaghi, a un colpo da predatore capace di farti vincere la Champions League seppur molto distante dal fascino di un cucchiaio alla Totti. L'universo di Valorant deve ancora scovare una vera linfa vitale all'interno del suo mondo troppo vuoto e a tratti anonimo, fra tantissime armi efficaci ma certamente non memorabili, in mezzo ai suoi agenti "giovani e fichi" ma privi di un'anima ardente e distintiva.
Nonostante le ovvie similitudini con numerosi titoli del passato, nonostante l'invasività del sistema anti-cheat Vanguard e nonostante le pretese di coloro che cercassero qualcosa di più sullo sfondo di un "semplice" shooter tecnicamente ineccepibile, è fuori di dubbio che ci troviamo al cospetto di un imminente successo planetario.
Valorant è arrivato per restare e il suo impatto lascerà un cratere profondo nel mercato dei videogiochi, nel mondo degli esport e nella fortunata storia di Riot Games.