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Videogames: Design/Play/Disrupt - speciale

I videogiochi vanno al museo.

"La cosa importante nei videogames, quello che mostra questa esposizione, è come il designer e le idee siano centrali nei videogiochi, la tecnologia arriva dopo, come supporto di queste idee".

Intorno a questo concetto è stata sviluppata l'esposizione Videogames: Design/Play/Disrupt in programmazione al Victoria and Albert Museum di Londra dall'8 settembre al 24 febbraio 2019. L'obiettivo dei curatori è quello di mostrare come il videogioco sia non solo una delle industrie più ricche e dinamiche del pianeta, capace di generare oltre 108 miliardi di dollari nel solo 2017 e di coinvolgere 2,2 miliardi di persone in tutto il globo, ma qualcosa di più.

Un fenomeno di massa, quindi, ma anche una forma di espressione eclettica, in grado di riunire sotto il suo cappello tutte le principali arti sviluppate dall'essere umano. Attraverso una serie di videogames usciti dalla seconda metà del 2000 in poi, i curatori Marie Foulston e Kristian Volsing hanno provato a mostrare al grande pubblico come questo media sia un vero melting pot di stili e tendenze, influenzato dalla pittura, dalla moda e dalla letteratura, ma sua volta capace di uscire dagli schemi e generare nei suoi fruitori empatia, creatività o senso di aggregazione.

Questo quadro di Magritte ha ispirato alcune sezioni dell'affascinante Kentucky Route Zero.

Gli esempi portati in mostra vanno da The Last of Us a Kentucky Route Zero, passando per League of Legends, Phone Story o how do you Do It?. Delle scelte interessanti, a volte sorprendenti, magari non sempre condivisibili, ma con le quali i curatori più che un discorso sull'evoluzione del media e del suo linguaggio hanno voluto portare degli esempi che mostrassero quello che al giorno d'oggi sono i videogiochi, evidenziandone le potenzialità e la maturità del linguaggio artistico e narrativo da una parte, ma puntando anche il dito sui limiti ancora presenti.

La parità di genere e di razza, oltre che il modo spesso goffo con cui viene raccontato il sesso sono ostacoli che questo media deve superare per la definitiva maturazione. Perchè se è vero che non tutti i giochi possano avere delle scene di sesso o protagonisti intercambiabili, non è possibile che si faccia ancora così fatica a parlare dei problemi di attualità o spesso della normalità. Di razzismo e discriminazione si parla, ma quasi ed esclusivamente se sono coinvolti elfi, nani o qualche altra strano popolo nato dalla fantasia degli autori, mentre il sesso è quasi sempre visto come un obiettivo da raggiungere, magari con tutte le donne/uomini che incrociamo nel gioco. E' vero, è anche questo, ma è soprattutto una componente normale (si spera!) della vita di un adulto. Stesso discorso per l'omosessualità.

Minecraft ha dato ai giocatori gli strumenti per creare qualunque cosa.

E poi c'è la violenza. Nei videogiochi di violenza ce n'è molta, persino troppa secondo il Comitato Internazionale Olimpico. Si tratta del principale motivo che ha tenuto gli esport fuori dai prossimi Giochi Olimpici. Difficilmente, però, questa violenza è quella quotidiana quella reale. Quella delle sparatorie nelle scuole, della schiavitù nei paesi poveri, o all'interno delle mura domestiche. In questo caso la faccenda diventa scomoda e nessuna grande produzione racconta di questi avvenimenti in maniera critica e solo qualche indie sperimentale prova, a volte satiricamente come Phone Story, a volte in modo drammatico come A Series of Gunshots, a sbattere in faccia ai giocatori la verità.

Fino a quando c'è da sparare ai nazisti non ci sono particolari problemi, ma quando c'è da affrontare seriamente quel periodo storico così delicato, la situazione si fa più rarefatta. Come esempio positivo in questo senso viene portato l'italianissimo A Town of Light, un videogioco ambientato all'interno del più grande manicomio italiano ai tempi del fascismo, Volterra.

Nonostante questi limiti Videogames: Design/Play/Disrupt è un'esposizione che celebra principalmente la creatività e il dinamismo dei videogiochi, mettendo in mostra alcuni degli oggetti o delle fonti di ispirazione che hanno aiutato gli sviluppatori a creare la loro opera.

L'affascinante Journey, per esempio, unisce uno stile unico con un linguaggio narrativo molto ricercato, grazie al quale Jenova Chen e Thatgamecompany raccontano una storia delicata e toccante senza utilizzare parole, ma solo grazie alla musica e alle immagini. Con questi pochi strumenti, inoltre, due giocatori sono in grado di collaborare proficuamente durante il loro viaggio, giocando tra le dune sabbiose o scivolando tra picchi innevati. Il senso di gioia e di libertà che si respira in questi frangenti lo ritrova nei sopralluoghi che gli sviluppatori hanno fatto durante le fasi di creazione del gioco, in modo da studiare il movimento della sabbia sotto i piedi e vedere cosa succede se ci si lancia da una ripida duna.

D.Va ha dato vita a tutta una serie di cosplay e creazioni che vanno ben oltre le aspettative di Blizzard.

Nonostante il modo di raccontare la storia sia molto più canonico e la violenza sia una costante in tutta l'avventura, anche The Last of Us è un eccellente esempio di come i videogiochi, mescolando architettura, arte e narrativa siano in grado di trasmettere informazioni ed emozioni su più livelli. Quello più superficiale è formato dai dialoghi dei personaggi, dalla loro storia o dai filmati di raccordo tra le parti. Un secondo livello di lettura è quello musicale, con il quale gli sviluppatori anticipano, accompagnano o accentuano quello che sta succedendo a schermo. Infine c'è un livello più effimero, che non viene sbattuto in faccia all'utente, ma gli viene somministrato gradualmente.

Attraverso gli scenari di un'America devastata, l'abbigliamento delle persone o le scritte sui muri, infatti, Naughty Dog racconta quello che è successo negli Stati Uniti prima che i due protagonisti si incontrassero. Lo fa in modo implicito, magari non completamente esaustivo, ma efficace.

Bloodborne è preso come esempio per la sua capacità di creare meravigliose e letali coreografie all'interno di un universo oscuro, corrotto, ma bellissimo, nel quale le architetture goticheggianti si sposano a meraviglia col design fantasioso, ma mostruoso di alcune creature.

Kentucky Route Zero, invece, nasconde all'interno di una storia esoterica ed evocativa tutta una serie di riferimenti culturali davvero inaspettati all'interno di un'opera creata da un team di due persone. I giochi prospettici ottenuti sovrapponendo in maniera casuale i piani dei tronchi degli alberi di un bosco non possono che portare alla mente La Blanc Seing di Magritte. Ma all'interno dei cinque atti in cui si sviluppa la storia i riferimenti non si limitano alla pittura, ma sfociano nel teatro e nell'architettura.

Alcuni videogiochi sono capaci di spingere le persone ad aggregarsi per seguire le gesta dei loro beniamini.

Il bello dei videogiochi, però, è anche la loro capacità di ispirare, coinvolgere aggregare. Nelle maniere più inaspettate. Si va dalla linea di abbigliamento che si rifà allo stile giovane e sgargiante di Splatoon 2 alla capacità di D.Va di bucare lo schermo e spingere i fan di Overwatch, ma non solo, ad imitarne il costume, i comportamenti e lo stile. Migliaia di disegni, cosplay o prodotti ispirati a questa eroina hanno invaso in men che non si dica la rete, in maniera del tutto spontanea e capillare.

Non mettere limiti al numero e alle interazioni dei giocatori può dare vita ad avvenimenti dalla portata eccezionale e persino interessanti dal punto di vista sociologico. In EVE Online, per esempio, si è combattuta la più grande battaglia della storia dei videogiochi, con oltre 7500 persone coinvolte e 300.000 dollari (reali) di danni. Il tutto è sorto spontaneamente e, ovviamente, per futili motivi. La battaglia, infatti, è stata il culmine di una faida tra due fazioni liberamente createsi in questo universo virtuale. La cosa interessante è che il 27 gennaio 2018, per 21 ore, migliaia di persone hanno gettato al vento ore di gioco e equipaggiamento faticosamente costruito per mantenere il controllo su di una porzione di spazio virtuale attaccata dalla fazione rivale.

Ultimamente, però, i videogiochi sono anche in grado di unire le persone e prodotti come League of Legends non solo sono visti da milioni di appassionati in tutto il mondo, ma richiamano decine di migliaia di persone in strutture originariamente pensate per ospitare partite di calcio o concerti. I giocatori professionisti sono star amate e strapagate, mentre la produzione di questi avvenimenti può competere serenamente con quella degli sport tradizionali.

Alcuni videogiochi sono capaci di spingere le persone ad aggregarsi per seguire le gesta dei loro beniamini.

In questa mostra non poteva mancare Minecraft e la sua capacità di dare ai giocatori gli strumenti per creare quello che vogliono, da una riproduzione delle terre di Game of Thrones alle principali città del pianeta.

Videogames: Design/Play/Disrupt si chiude poi con una serie di giochi sperimentali nei quali i designer hanno provato attraverso linguaggi e periferiche spesso strampalate ad ampliare i confini del media, sfidando la capacità delle persone in prove di abilità non indifferenti.

Quella presentata al VA Museum di Londra è lei stessa un'esibizione sperimentale, un primo passo per riconoscere ai videogiochi e a chi li crea lo spazio che meritano all'interno delle arti creative, grazie alla loro capacità di fondere design, musica e arte con la tecnologia, esplorando nuove forme di espressione e dando vita ad opere originali e brillanti.

Avatar di Luca Forte
Luca Forte: Luca si divide tra la gestione del ruspante VG247.it e l'infestare Eurogamer con i suoi giudizi sui giochi sportivi, Civilization, Fire Emblem, Persona e Football Manager. Inviato d'assalto, si diverte a rovinare le anteprime video dei concorrenti di tutto il mondo in modo da fare sembrare le sue più belle.

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