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El Shaddai: Ascension of the Metatron

Un raggio di luce in un mercato grigio.

Come ci si deve comportare di fronte a un titolo come El Shaddai? Sicuramente non si può fare a meno di rimanere a bocca aperta di fronte alla sua eccezionale componente artistica, capace di offrire alcune delle soluzioni più ardite e surreali che ci sia capitato di vedere in un videogioco.

Dall'altra parte, poi, si trova un gameplay originale a dispetto del genere a cui il titolo appartiene, uno stile di gioco capace di soddisfare sia i giocatori meno esigenti che quelli dal palato più raffinato, trovando l'equilibrio perfetto tra semplicità e profondità.

Cos'è che non va in questo titolo dalle grandi potenzialità? In effetti c'è qualcosa che non funziona esattamente come dovrebbe, anche se non è affatto facile da isolare. Si tratta di un elemento sottile, legato principalmente alla natura atipica del progetto e della sua narrazione. Il primo elemento che salta all'occhio quando si carica El Shaddai, infatti, è proprio la sua struttura narrativa.

Durante i combattimenti le armi di Enoch vengono corrotte e smettono di funzionare. Sarà necessario purificarle.

Appena inserito il disco, prima di accedere al semplice menu principale, il bizzarro Lucifel, un personaggio che sembra appartenere a tutt'altro gioco con i suoi jeans attillati e il suo inseparabile telefono cellulare, ci accoglie con una strana storia dalle tinte oniriche e religiose.

Protagonista di questa favola è Enoch, eroe di cui vestiremo i panni per tutta la durata dell'avventura (tra le sette e le otto ore, a livello di difficoltà Normale). Durante il proprio viaggio Enoch dovrà affrontare sette angeli caduti per salvare l'Umanità, in una versione largamente reinterpretata del libro apocrifo di Enoch.

Da questo momento in avanti la narrazione non lineare che caratterizza El Shaddai prende il sopravvento, trascinando il giocatore da un evento all'altro spesso senza un apparente filo logico, passando da una situazione all'altra secondo una struttura davvero difficile da classificare, almeno secondo gli standard dei videogiochi tradizionali.

Le fasi platform 2d sono caratterizzate da stili grafici sempre diversi. Quella in questa immagine è particolarmente folle.

Giocando El Shaddai, infatti, non si è mai sicuri di cosa ci aspetterà, visto che i designer hanno lavorato in modo egregio per non fornire punti di riferimento. Sebbene si possa percepire una certa struttura di fondo, a tratti anche piuttosto lineare, lungo la quale Enoch avanza senza sosta, il più delle volte si viene spiazzati da improvvisi incontri con gli angeli caduti, che deridono il giocatore facendolo sentire spesso una vera nullità.

Nel bel mezzo dei livelli, infatti, capita di ritrovarsi di fronte a boss che non si pensava di dover affrontare in quel preciso momento, in un punto qualsiasi della mappa. Nella maggior parte dei casi lo scontro si rivela davvero ostico, ma a prescindere dal risultato finale la storia va avanti, permettendo ad Enoch di continuare lungo il proprio cammino. Cammino che alterna fasi d'azione 3D a sequenze platform in due o tre dimensioni, inserendo all'interno di tutto questo ulteriori spunti narrativi utili ad approfondire una storia comunque mai troppo definita.

Quando Enoch non è impegnato ad affrontare creature che sembrano uscite direttamente da La Principessa Mononoke o da La Città Incantata di Miyazaki all'interno di ambientazioni che potrebbero tranquillamente essere esposte al MoMa, percorre livelli a scorrimento orizzontale nei quali una voce fuori campo fornisce preziosi dettagli extra sulla storia e sull'intricata struttura narrativa attorno cui gli angeli hanno la forma di delicati cigni, o in cui piccole bambine cavalcano creature bizzarre dalle forme più strane.

Vediamo il gioco in azione.