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I videogiochi che consigliamo a Marco D'Amore dove 'si uccide, si sventra e si violenta' - editoriale

Per l'attore che impersona Ciro Di Marzio in Gomorra è giunto il momento di scoprire quant'è profonda la tana del bianconiglio…

“Basterebbe conoscere i videogiochi con i quali passano il tempo i ragazzi: videogiochi che raccontano solo di futuri distopici in cui devono ammazzare, sventrare e violentare, e si esaltano di questo”.

È questa l'affermazione con cui Marco D'Amore, attore, regista e sceneggiatore noto ai più per l'interpretazione dell'amatissimo Ciro Di Marzio della serie Gomorra, ha risposto a una domanda pungente riguardo la “beatificazione” della figura criminale che un segmento della critica attribuisce al crime drama di Sky.

Si tratta indubbiamente di una questione spinosa, perlomeno in relazione alla fascinazione esercitata dalle figure negative, che nel caso specifico dell'interprete del principale 'eroe' di Gomorra l'ha portato ad inciampare, a deviare quella che in fin dei conti era una domanda lecita e piuttosto complessa verso il binario di un medium differente, poco conosciuto dalla massa e facilmente attaccabile fra le pagine di un quotidiano.

È fastidioso. È ancor più fastidioso il fatto che la percezione del sopracitato pubblico di massa sia quella di assistere alla ricerca dei cinque minuti di notorietà da parte di un settore che (forse nel nostro paese) si trova ad inseguire altri media, al fine di sfruttare il giustizialismo per attaccare uno scivolone involontario e acchiappare qualche click o condivisione in più. Ma, allerta spoiler, non è così, e siamo i primi a distanziarci da qualsiasi atto censorio.

Questo l'estratto dell'intervista curata da Beatrice Bertuccioli per il Quotidiano Nazionale.

La corrente di reazioni negative alle dichiarazioni dell'attore dietro Ciro l'Immortale - travisate secondo D'Amore - nasce perché le dozzine di leggerissime piume seminate da studiosi e rappresentanti del settore dei videogiochi, durante il costante inseguimento del riconoscimento della dignità artistica del medium, rischiano di essere spazzate via come niente quando un simile carico da cento chili viene sganciato a peso morto sulla carta stampata. Cosa che era già successa lo scorso aprile, quando lo stesso D'Amore aveva affermato con una certa leggerezza che “chi dice che con Gomorra si rischia l'emulazione non ha mai visto i giochi violenti della PlayStation”.

Poi accade di voler replicare agli attacchi con un editoriale accusatorio, oppure con un'apologia dei videogiochi, strumenti che a conti fatti non servono assolutamente a niente, perché è ormai chiara e limpida la totale ignoranza della materia che politici, opinionisti e tante altre personalità pubbliche hanno orgogliosamente sfoggiato nel corso degli anni, scagliando vere e proprie bombe a mano fra dichiarazioni social e colonnine a margine delle testate, nonché influenzando - volontariamente o meno - anche l'intervento dello stato verso le imprese di questo settore.

Ed è così che oggi, anziché lasciarci andare al livore verso l'ennesimo attentato al fragile castello di carte che cerchiamo di costruire giorno dopo giorno, abbiamo deciso di realizzare una selezione di alcuni “mondi distopici in cui bisogna ammazzare, sventrare e stuprare” fra quelli messi in scena dai videogiochi, cioè tutti secondo l'Immortale, raccontando gli universi raccapriccianti che deflagrano mortiferi nella formazione morale dei nostri 'giovani'.

Animal Crossing: New Horizons - Condivisione

Fra i videogiochi ambientati in mondi distopici che maggiormente attentano all'allineamento morale di un'infinità di ragazze e ragazzi in tutto il mondo, spicca senza ombra di dubbio la serie di Animal Crossing. L'ultimo capitolo della saga di Nintendo, ovvero New Horizons, ha esordito nel pieno del primo periodo di lockdown, il 20 marzo del 2020, radunando milioni di appassionati nelle isole felici che ne punteggiano l'immenso oceano.

Una serie, quella di Animal Crossing, che permette la creazione di un villaggio utopico nel quale dare pieno sfogo alla creatività, mettendo la fantasia al servizio della condivisione. L'impatto del titolo è stato elevatissimo proprio a causa delle misure anti-Covid, perché l'universo virtuale di Animal Crossing si è trasformato in un vero e proprio punto di ritrovo digitale, trascendendo il tradizionale confine del medium attraverso uno scatolone adatto a tutte le età. Nel corso del 2020, le isole di Animal Crossing sono diventate la sede delle proteste dei manifestanti antigovernativi di Hong Kong, mentre il Metropolitan Museum of Art di New York è solo uno degli istituti che hanno “spostato” la propria collezione dall'altra parte dello schermo.

To The Moon - Amore

I videogiochi, si sa, portano all'emulazione di comportamenti violenti e ad una inevitabile desensibilizzazione, probabilmente radicata nella mancanza di valori positivi che li contraddistingue. Infatti To The Moon è un'opera narrativa sviluppata da Freebird Games e pubblicata nel 2011 che racconta la vita di Johnny Wyles, un anziano prossimo alla morte che dietro l'inspiegabile desiderio di recarsi sulla Luna nasconde una storia colorata d'amore, di dolore e di grande semplicità.

Così, gli operatori della Sigmund Agency of Life Generation iniziano un viaggio fra i ricordi e le emozioni del paziente in puro stile “Eternal Sunshine of the Spotless Mind”, al fine di comprendere le ragioni dietro l'inusuale attrattiva esercitata sull'uomo dal nostro satellite per impiantare artificialmente il ricordo di un avvenuto allunaggio nella mente del vecchio Wyles. È allora che To The Moon si rivela uno straordinario tuffo nella psiche umana che sonda centinaia di sfaccettature dell'emozione per creare una rarissima connessione con il videogiocatore, rendendolo protagonista di una vita che non ha mai vissuto. Le lacrime, ovviamente, sono comprese nel prezzo del biglietto.

That Dragon, Cancer - Sofferenza

L'universo distopico messo in scena dai videogiochi è tanto distante dalla realtà dall'aver permesso ad Amy e Ryan Green di trasformare in un'opera interattiva autobiografica l'esperienza che hanno vissuto in compagnia di loro figlio Joel, al quale a soli dodici mesi di età è stato diagnosticato un tumore al cervello che, secondo i medici, non gli avrebbe lasciato più di quattro mesi di vita.

La coppia di sviluppatori ha tradotto il vortice di emozioni che l'ha travolta dal momento della diagnosi fino alla dipartita di Joel in un'opera radicata nell'esplorazione che, attraverso una comunicazione fondata su una serie di vignette di vita, è riuscita a dare spolvero al concetto di arte interattiva. Perché in fin dei conti uno dei motivi per cui oggi ci troviamo coinvolti nella stesura di quest'analisi risiede nello stesso termine “videogioco”, che risulta portatore di un valore semantico inevitabilmente negativo quando si parla di 'cose serie'.

Celeste - Battaglia

A volte la violenza che caratterizza il medium del videogioco trova espedienti strani per arrivare a bucare lo schermo, come ad esempio il racconto metaforico della durissima battaglia contro l'ansia e la depressione che il piccolo studio Matt Makes Games ha messo in scena nel suo Celeste, un video-game in senso strettissimo, una produzione interattiva sfidante e stimolante sorretta da un'avvolgente atmosfera vintage.

Celeste è un videogioco ostico, ripido come la salita che dev'essere scalata quotidianamente da chiunque si trovi a convivere con l'ansia, con la depressione, con la difficoltà di accettarsi per ciò che si è. Tematiche che non emergono prepotentemente attraverso la narrativa esplicita, preferendo sensazioni e stati d'animo scatenati da meccaniche ludiche realizzate con maestria e coerenza assolute. Insomma, un'opera interattiva che non tradisce in alcun modo "il videogioco" difeso a spada tratta dai puristi, anzi, lo eleva senza rinunciare al perseguimento di un messaggio superiore. E conoscendo quella che sarebbe stata la storia futura della artefice dell'opera, tutto acquista immediatamente più senso.

The Last of Us Parte 2 - Violenza

Ma come, un'analisi a tratti anche ironica e apparentemente ricamata attorno alla comunicazione delle sole esperienze wholesome, si chiude con uno dei videogiochi effettivamente più violenti fra quelli realizzati in epoca recente? Sì.

Sì, perché il videogioco violentissimo e straziante confezionato da Naughty Dog è un manifesto quasi perfetto di come si dovrebbe raccontare l'oscurità schivando il rischio dell'emulazione, per impedire anche solo il gesto più sciocco, come la semplice voglia di andare dal parrucchiere e chiedere lo stesso taglio di capelli sfoggiato dal baby boss O'Track per le strade di Secondigliano, magari vestendo gli abiti del rampante Sangue Blu.

Cose che non sono successe assolutamente nell'orbita di The Last of Us Parte 2, un videogioco talmente potente e ambizioso nella sua narrativa terribilmente cruda dall'essere divenuto oggetto d'odio da parte degli appassionati; un videogioco odiato anche e soprattutto perché tratta i suoi protagonisti come figure irredimibili, anti-empatiche e destinate alla sofferenza, senza beatificarle né salvarle.

Una posizione incomprensibile per la grossa fetta di pubblico forgiata da una parte della produzione cinematografica contemporanea, nello specifico dal moderno filone del crime, decollato con Breaking Bad e attualmente guidato da Gomorra.

Un filone che, attenzione, ci sentiamo sì di difendere in prima linea da qualsiasi attacco, senza però gettare nel fango della disinformazione il primo medium che capita a tiro.