La doppia faccia dell'emulazione - articolo
Semplice pirateria o straordinario mezzo di preservazione del videogioco?
Quando si parla di emulazione il primo pensiero che salta in mente è di giocare gratis. Bello, poco legale, ma bello. Nel corso degli anni sono stati realizzati emulatori che permettono di coprire quasi tutto lo scibile videoludico, dall'Atari 2600 alla Playstation. A molti però sfugge un elemento di cui, in effetti, si parla pochissimo ma che col passare del temo sta diventando di grande importanza: preservare i videogiochi dall'oblio.
Il fenomeno dell'emulazione è vecchio quasi quanto quello del videogioco stesso, ma è nell'ultimo decennio che ha vissuto un vero e proprio boom, anche grazie alle geniali creazioni di persone come Nicola Salmoria, fautore di quella meravigliosa intuizione chiamata MAME che ancora oggi, dopo millemila release e aggiornamenti, è l'applicazione numero uno per chiunque voglie conoscere la storia degli arcade e delle sale giochi (oggi Nicola non segue più il progetto MAME, che negli anni si è evoluto e trasformato, ma ha realizzato un gioco per iPhone/iPod, Twin Beams, e sta lavorando a un nuovo titolo).
"È stata l'industria stessa, troppo ottusa o avida, a stimolare la creatività di coloro che smanettano attorno agli emulatori"
Certo, a ben vedere è stata l'industria stessa, come spesso capita a chi è troppo ottuso o avido, a stimolare la creatività di coloro che smanettano attorno agli emulatori. Sotto questo profilo il caso più clamoroso è certamente costituito dal Dolphin, che non si limita a far girare su PC i titoli del Wii ma, in un certo senso, permette al giocatore di goderne appieno, visto che questi ultimi appaiono in alta definizione e con tutti quei virtuosismi grafici che nemmeno il Wii U offre ai suoi utenti. E credetemi: Zelda, Mario, Xenoblade Chronicles in HD sono DAVVERO giochi diversi. Perché Nintendo non ha offerto ai suoi fan/acquirenti la più elementare delle feature? Mistero.
Intendiamoci, giocare sugli emulatori, nonostante la loro perfezione, nonostante le scanline e le mille opzioni, la presenza degli stessi glitch dei cabinati da sala o delle console casalinghe, non è la stessa cosa. Ma può essere un buon surrogato, specie in un mondo che va correndo velocemente verso la smaterializzazione, il cloud, il tramonto del bene fisico e tangibile a favore di quello digitale e residente nella Rete.
Preservare i videogiochi non è un'idea balzana, come potrebbe apparire a chi è fuori da questo settore, non lo conosce e non ne è appassionato. In una trentina d'anni (in realtà sarebbero molti di più ma preferisco considerare nell'analisi solo quelli dell'esplosione commerciale del videogioco), il medium è nato, si è evoluto, trasformato da moda a mezzo di intrattenimento conosciuto e conoscibile più o meno da tutti. Nessuno ha mai fatto il calcolo di quanti titoli retail siano usciti su tutte le piattaforme, ma azzardando un numero e andando a spanne, direi che siamo attorno ai 30mila. Non pochi.
Qualche tempo fa una leggenda come Warren Spector, responsabile di capolavori quali System Shock e Deus Ex, ha affermato in un'intervista che, al contrario dell'industria cinematografica e televisiva, quella videoludica è ancora in tempo a "salvare" documenti di progettazione, materiale di marketing e vecchie beta di titoli oscuri, prima che questi scompaiano nel nulla.
"In America i videogiochi oggi sono ospitati da musei, protagonisti di mostre e omaggi artistici"
In America i videogiochi oggi sono ospitati da musei, protagonisti di mostre e omaggi artistici da parte di illustratori, grafici, designer, tutto sommato accettati dall'opinione pubblica (anche se qualche inevitabile recrudescenza luddistica si palesa ogni volta che in America qualcuno preme il grilletto, ovvero molto spesso, e c'è da trovare un capro espiatorio). In tutto il mondo cominciano a nascere Musei per videogiochi (il più celebre in Europa è quello di Berlino); negli States la Stanford University ha stanziato oltre due milioni di dollari per portare avanti un progetto, cui collaborano la Library of Congress, il Rochester Institute of Technology e Linden Lab, dedito alla preservazione dei videogames d'annata. In Inghilterra sono stati i ricercatori della Nottingham Trent University a fondare il First National Videogame Archive, che ha l'obiettivo di archiviare, in collaborazione con il National Media Museum di Bradford, i migliori videogiochi britannici (ovvero una cospicua parte di quelli prodotti a livello internazionale).
In certi ambiti, il restauro di un oggetto o di un prodotto è cosa data per scontata: dagli affreschi alle tele dei pittori, fino ad arrivare ai film, il concetto di "recupero e salvataggio" è pratica apprezzata e perno di un business significativo. Fin troppo significativo. Osservando la mia videoteca, mi sono reso conto di aver comprato lo stesso film in almeno quattro formati diversi, partendo dal VHS per arrivare al Blu-ray in meno di trent'anni.
L'importanza dei videogiochi del passato non è legata poi ad un mero sentiment nostalgico o al classico adagio "com'è erano belli i vecchi tempi" o "come si stava meglio quando si stava peggio", tutt'altro. Molti dei giochi del nostro passato remoto fanno parte del nostro presente e faranno parte anche del nostro futuro. Ci sono le pietre miliari, ovvio, ma anche un quantitativo impressionante di titoli che si lasciano giocare amabilmente anche oggi e, mi sia concesso, svettano nettamente se messi a fianco di una produzione media per smartphone o tablet.
Grazie agli emulatori è quindi possibile sperimentare, provare e valutare un parco titoli infinito. Ora, sarebbe il caso di organizzare tutto questo materiale. Per dire, da quando è finalmente arrivato in Italia Spotify mi sono messo ad ascoltare un sacco di vecchi classici che prima non avevo mai avuto tempo di sperimentare, un po' perché erano di difficile reperibilità, un po' perché preferivo concentrarmi sulla musica che conoscevo "meglio".
"Grazie agli emulatori è possibile sperimentare, provare e valutare un parco titoli infinito"
Beh, nel giro di poco tempo i miei gusti musicali sono stati letteralmente stravolti. Immaginate un servizio simile, "istituzionalizzato" e legato al videogioco: la possibilità di saltare da un titolo all'altro a prescindere dalla piattaforma di riferimento, pagando un piccolo abbonamento mensile. Attraversare in una serata una strada che parte dal Commodore 64, gira per il Neo-Geo, svolta presso il PC Engine, si ferma al Jaguar e termina con l'Intellivision. Il tutto magari con feature per giocare online o poter consultare le classifiche, vedere le partite degli amici e utilizzare tutte le funzionalità offerte dai giochi moderni.
Historia magistra vitae, dicevano i latini. La formazione di un videogiocatore non può prescindere da Space Invaders, Pitfall, Elite, Archon, i games della Epyx e le pietre miliari da sala giochi che, anno dopo anno, si allontanano dalla memoria dei pionieri che hanno iniziato a videogiocare alle fine degli anni settanta e sfuggono alla conoscenza di coloro che hanno iniziato a videogiocare con Playstation 2 o con i sistemi della "non ancora per troppo tempo current-gen".
D'altra parte, che credibilità presente e futura potrebbe mai avere un medium senza un passato?
Andrea Chirichelli è co-founder ed editor di Players Magazine, un progetto editoriale che mira a discutere di intrattenimento in maniera matura e indipendente, coinvolgendo un pubblico smaliziato e vagamente geek.