Painkiller Hell & Damnation - review
Il ritorno dell'antidolorifico più adrenalinico di sempre.
Nel 2004 Half-Life 2 si preparava a cambiare il mondo degli sparatutto in soggettiva. Halo aveva già rivoluzionato il genere su console, e Call of Duty già iniziava a farsi vedere sulla scena, con un primo capitolo che avrebbe poi fatto storia.
In un panorama del genere usciva Painkiller, uno sparatutto vecchia scuola (anche per l'epoca) a base di demoni, ambientazioni infernali e azione adrenalinica. Un gioco interessante ma non troppo originale, che ben poco poteva in confronto ai titoloni di quegli anni. Ciò nonostante Painkiller di appassionati ne raccolse parecchi.
Sarà stato quel tocco di horror che lo pervadeva, sarà stato che mentre tutti si accingevano al cambiamento, Painkiller ci portava indietro nel tempo. O magari sarà stato che tutti i giocatori, di tanto in tanto, hanno bisogno di un gioco per scaricarsi un po' e massacrare qualche mostro. Sta di fatto che diventò un cult.
Le vendite non giustificarono un seguito ma le espansioni e i remake sì. Gli add-on piovvero nel corso degli anni e l'universo di gioco s'ingrandì. La vicenda diventò più sfaccettata, almeno fino ai giorni nostri dove, complice la distribuzione digitale e la moda dei remake a basso costo, questo piccolo, sottovalutato capolavoro, torna con un'edizione alquanto particolare.
Painkiller Hell & Damnation, così s'intitola questo nuovo capitolo, è infatti tanto strano quanto peculiare. Non è un remake nel senso stretto, né un vero e proprio sequel, ma tenta di procedere su entrambe le strade. Tenendo un piede in due staffe, il titolo prosegue infatti la storia già esplorata nella prima iterazione e nelle espansioni. Daniel Gardner, il nostro protagonista, ha affrontato le orde dell'inferno per ricongiungersi alla sua amata moglie. I due si erano separati alla loro morte, quando una era ascesa al cielo e l'altro era precipitato negli inferi. Peccato che le promesse si angeli e demoni fossero vane e, dopo aver tanto lottato in nome degli uni e degli altri, l'eroe si trovi ancora al punto di partenza. Letteralmente!
"Painkiller Hell & Damnation non è un remake nel senso stretto, né un vero e proprio sequel"
Fermo a pensare nel cimitero, primo livello sia dell'originale che di questo remake, Gardner viene contatto dalla Morte. Non un personaggio carismatico come il protagonista di Darksiders, ma un aiutante che, come al solito, ci offrirà una scappatoia. 7000 anime in cambio della nostra amata. Un pretesto per ripercorrere nuovamente le aree dell'originale e incontrare gli stessi nemici, armati di una nuova interessante arma e di tanti vecchi giocattoli.
Poche le modifiche ai livelli, nulle quelle ai mostri. Cambiano solo i pochi filmati d'intermezzo che, stavolta, racconteranno una nuova storia. Una vicenda che si snoda attraverso gli stessi, identici ambienti, ricostruiti per l'occasione utilizzando il nuovo Unreal Engine. Si tratta dunque di una conversione che ha necessitato, ovviamente, di piccoli cambiamenti alle varie arene ma che, in sostanza, non stravolge struttura e gameplay. Il giocatore si muove ancora in degli ambienti rigidamente suddivisi da ben visibili check point, con stanze che andranno ordinatamente ripulite dai vari abomini che le popolano, solo per poi passare alla successiva. E così via sino al portale o al boss di fine livello.
Questa struttura di gioco, molto vecchia scuola, non è stata cambiata di una virgola rispetto all'originale per PC, tanto che riproposta ai giorni nostri appare senza dubbio bivalente. Da una parte c'è la necessità di discostarsi dai giochi odierni, con un gameplay diverso da qualunque FPS moderno. Dall'altra c'è il sapore di una giocabilità antica.
"Gli anni passano e il loro peso si sente fin dalle prime partite"
Gli anni passano e il loro peso si sente fin dalle prime partite. I nemici che siamo costretti ad affrontare, ad esempio, sono coriacei ma ottusi come quelli di un tempo. Ci corrono incontro come se non ci fosse un domani. Non si nascondono dietro ai ripari, non evitano i nostri colpi: basano tutto sull'attacco e sul numero. Una strategia che costringe il giocatore ad arretrare e sparare costantemente, pena l'esser messi all'angolo e sommersi da decine di avversari. Nemici il cui respawn avviene quasi sempre davanti agli occhi del giocatore, accompagnato da un orrido effetto fumo. Una necessità dovuta alla scarsa estensione delle aree di gioco, sia in orizzontale che verticale.
Detto ciò, appare subito ovvia una cosa: Painkiller Hell & Damnation è prima di tutto un'operazione commerciale e come tale va vista. Un'operazione giustificata da un prezzo budget e dalla natura cult del gioco. Pankiller non è un capolavoro in senso stretto, ma piace. Basta una rapida occhiata a YouTube per notare quanta gente giochi ancora l'originale, caricando costantemente video di gameplay.
Ciò nonostante non è stato fatto molto per premiare la fiducia di tali appassionati. Non che il gioco non provi ad andare oltre il mero remake. Ci prova di sicuro, ma senza riuscirci. La scelta di unire un nuovo motore grafico e una nuova trama a un vecchio gameplay, semplicemente non funziona, al punto che spesso ci si ritrova confusi. “Stiamo giocando un seguito o rigiocando l'originale?”, viene costantemente da chiedersi? Non si riesce a capire perché sia necessario ripercorrere gli stessi livelli, esattamente nello stesso modo. Non si riesce a capire perché bisogni uccidere di nuovo gli stessi boss, né tantomeno perché il gioco sia stato mutilato così.
Più facile, più breve, con meno livelli e meno filmati. Tutto appare più piccolo dell'originale, con una modalità principale che impegna per circa 5-6 ore e non per le 15-20 del primo PainKiller. Certo, ci sono un paio di bonus come un livello dedicato a Halloween ed una missione extra destinata alla Collector's Edition, ma basta questo per rigiocare un vecchio titolo?
"Più simile a un clone di Doom o al vecchio e divertente Serious Sam, Painkiller appare fuori luogo al giorno d'oggi"
Non c'è una risposta affermativa o negativa a questa domanda. La natura stessa del gioco lo porta fuori dagli schemi. Più simile a un clone di Doom o al vecchio e divertente Serious Sam, Painkiller appare fuori luogo al giorno d'oggi. Si sente l'odore di stantio, si avvertono gli anni delle animazioni originali e quelli della colonna sonora a tinte metal, forse un po' anonima per gli standard odierni. Ma c'è altro, una nostalgia cui i giocatori di vecchia data non possono sfuggire. Painkiller Hell & Damnation è appunto un FPS vecchia scuola. Di quelli senza enigmi né orpelli, dove potevamo massacrare mostri tutti uguali e scaricare un po' di tensione. In un mondo dove i gamer si lamentano dei titoli tutti uguali che affollano gli scaffali, ciò aggiunge senza dubbio valore. Al giorno d'oggi, insomma, trovare un titolo simile non è facile. Per niente.
Painkiller Hell & Damnation è quindi un'arma a doppio taglio. Da una parte tenta di risparmiare sullo sviluppo, senza cambiare o aggiungere nulla. Dall'altra si accorge della carica nostalgica di certi giochi, marciandoci sopra ampiamente. E se siamo d'accordo che è stato meglio non snaturare la serie di Painkiller, è pur vero che poteva esser fatto di più. Un aggiornamento delle animazioni ad esempio. L'inclusione di tutti i livelli di gioco. Si poteva evitare anche solo di inquinare il remake travestendolo da seguito.
Un po' d'attenzione in più, insomma, non avrebbe guastato, si fosse trattato anche solo di rivedere il povero comparto multiplayer, un informe ammasso delle solite modalità deathmatch che gli sviluppatori hanno tentato di impreziosire con un co-op e una Survival Mode. L'ultima, in particolare, non è nulla più che una variante delle modalità Orda che tutti gli sparatutto, ormai, hanno imparato a includere. Non molto per convincere il giocatori a comprarlo, soprattutto se si considera che, come fosse una maledizione che lo accompagna, anche questa volta il titolo sarà adombrato dai titoli tripla A in uscita nel periodo invernale.
Se vi rimane qualche spicciolo, dopo Halo 4 e Assassin's Creed, provatelo ma con tutte le riserve del caso.