Splinter Cell: Blacklist - review
Il single-player di Sam Fisher, tra passato e futuro.
La serie di Splinter Cell è stata una tra le più interessanti della scorsa generazione, diventando da subito un grande successo e consacrando nel pantheon videoludico il personaggio di Sam Fisher. Dopo tre capitoli però la saga ha iniziato ad arrancare e, date anche le deludenti vendite di Double Agent, è sparitaì dai radar per poi riapparire con Conviction, un titolo apparentemente in grado di svecchiare la serie grazie anche a un personaggio maturo, una storia cruda e alla possibilità d'interagire dinamicamente con l'ambiente.
Quando il gioco è arrivato sugli scaffali dei negozi, però, era molto diverso dal primo, rivoluzionario concept. Poco male, perché seppur diverso, Splinter Cell: Conviction è stato un titolo molto valido e uno stealth come non se ne vedevano da tempo. L'unico problema furono le vendite: pur raddoppiando il risultato ottenuto da Double Agent, Conviction non è riuscito a eguagliare i primi capitoli che, in un mercato dai costi di sviluppo molto inferiori a quelli odierni, erano riusciti a vendere tranquillamente tra le 2 e le 5 milioni di copie ciascuno. E arriviamo dunque oggi, con Ubisoft che ci riprova con Splinter Cell: Blacklist, un titolo che riempie la bocca e che tenta per la seconda volta di rilanciare la serie.
Blacklist si ambienta pochi anni dopo gli eventi narrati nel precedente episodio, con un Sam Fisher più cupo e visibilmente temprato dalle disavventure vissute insieme alla figlia. Da eroe maledetto qual era, torna però ad essere l'agente speciale dei precedenti episodi che antepone la missione e il bene comune alla sua stessa vita. La vicenda passa perciò dallo stile Jason Bourne di Conviction al misto tra Rainbow Six e 007 dei primi episodi, con una trama che pur lontana dai romanzi di Clancy, propone un intrigo di spie che nasconde una critica alla società consumistica americana.
Nonostante la storia possa essere interessante per gli appassionati del genere, si tratta comunque di una trama che perde la maturità acquisita col precedente episodio e che riporta Sam Fisher in un mondo leggermente più stereotipato, dove il dualismo tra buoni e cattivi è sempre ben marcato e presente. Un po' come avviene in Call of Duty: Black Ops 2, per intenderci, dove gli eroi sono ben lontani da un idealismo senza macchia ma le cui azioni (anche le meno condivisibili) sono quasi sempre giustificate dalle vicende contingenti.
La storia non è però l'unico aspetto che guarda al passato e, nel tentativo di accontentare anche i fan di vecchia data, tornano molte delle caratteristiche che il gioco si era lasciato alle spalle. Torna l'onnipresente tuta nera, questa volta personalizzabile in ogni suo aspetto; torna la struttura da "trial and error" che contraddistingueva i primi capitoli e torna anche il programma Echelon, in una nuova versione migliorata.
La peculiarità di Splinter Cell: Blacklist è infatti che non sarete più una pedina ma che sarete voi a capo della nuova Fourth Echelon, l'evoluzione dell'agenzia d'intelligence immaginaria che nei primi episodi si occupava di combattere il terrorismo utilizzando Sam come agente sul campo. Questa volta è quindi Fisher stesso a impartire gli ordini e, proprio come lo Shepard di Mass Effect, sarà lui a controllare l'evolversi delle operazione dal Paladin, un gigantesco aereo militare che fungerà da base operativa, svolgendo esattamente le stesse funzioni della Normandy.
A bordo del Paladin il giocatore potrà parlare coi comprimari per scoprire nuovi dettagli sulla trama o sul loro background, acquistare armi e potenziamenti per il proprio equipaggiamento o per la base operativa, accedere al comparto multiplayer o semplicemente iniziare la prossima missione, definendo un punto di atterraggio sull'enorme mappa della sala tattica. Delle meccaniche interessanti che però potevano essere meglio implementate: si può parlare solo con alcuni personaggi e non con tutti, e anche in questo caso, la conversazione si risolve quasi sempre nel briefing di una missione secondaria, senza approfondire troppo la caratterizzazione degli interlocutori.
Poco male, perché il vero gioco inizia solo una volta scesi a terra e sin dalle prime missioni si notano le molte differenze rispetto a Conviction. La prima, solo apparentemente marginale, è che si possono spostare nuovamente i corpi dei nemici. La seconda, più importante, è che le varie situazioni potranno essere affrontate con tre differenti approcci, per i quali il gioco vi valuterà assegnandovi punti e denaro al termine di ogni missione.
Potrete quindi scegliere di giocare da Fantasma ed evitare i vari nemici, decidere se uccidere tutti silenziosamente in modalità Pantera o, infine, preferire l'approccio definito Assalto e affrontare ogni circostanza ad armi spianate. Il primo approccio è quello apparentemente più remunerativo, anche perché andrà a braccetto col bonus esplorativo che verrà assegnato a coloro che scopriranno ogni anfratto dei vari livelli. I quali, per la cronaca, sono un po' più ampi (ma non troppo) di quelli di Conviction, e senz'altro più vari.
L'idea dell'approccio "tripartito" funziona e intrattiene anche i giocatori meno pazienti, consentendo non solo un approccio più movimentato alle missioni ma anche un'elevata rigiocabilità delle stesse, che potranno essere affrontate nuovamente con uno stile diverso. Peccato solo che molto spesso tale scelta non abbia un vero e proprio impatto sulla missione e che, indipendentemente dalla strada che deciderete di percorrere, finirete sempre per dover affrontare una a una, in maniera lineare, le varie stanze gremite di nemici che gli sviluppatori avranno preparato per voi.
I livelli sono poi divisi in aree più piccole, delimitate da un checkpoint o da un filmato volto a introdurre la successiva area. Un'impostazione questa che però porta alla bizzarra conseguenza che, una volta partito il filmato, tutto viene resettato e anche se avevate una decina di nemici alla costole, sarete magicamente trasportati nell'area successiva, in modo da procedere con la vicenda.
Si tratta di un problema che intacca in parte il grado d'immedesimazione, cui però il gioco sopperisce abbondantemente con una grande varietà nei livelli. Sarete difatti sballottati per tutto il globo attraverso una lunga serie di ambientazioni realistiche che vanno dall'Iran all'America, passando per prigioni cubane e bunker di massima sicurezza.
Una corsa verso la varietà questa che, accanto alla più che apprezzata ricchezza dei livelli, propone escursioni in diversi tipi di gameplay. Ci siamo ritrovati a dover controllare i soliti droni volanti alla Call of Duty per sgominare dall'alto orde di veicoli nemici durante un inseguimento e, addirittura, a controllare Briggs (il nuovo partner di Sam) in una sessione in soggettiva, probabilmente pensata per introdurre le meccaniche e il sistema di controllo del multiplayer competitivo.
Un eclettismo, quello esibito da Splinter Cell: Blacklist, che potrà piacere o meno a seconda dei gusti. Ciò che invece non ci ha convinto sono gli interrogatori, condotti da Sam in maniera spesso violenta, adesso gestiti tramite dei semplici filmati. Al giocatore spetterà solo decidere se imprigionare o risparmiare l'informatore di turno, un'opzione che peraltro non comporterà alcuna differenza nel prosieguo della vicenda.
Ciò che emerge è quindi un gameplay cambiato rispetto al passato, nel tentativo di implementare i punti di forza di Conviction e quelli dei primi capitoli, per accontentare tutti (o nessuno, a seconda dei punti di vista). Da questo punto di vista il gioco si distacca quindi nettamente dal suo diretto predecessore, ma ciò nonostante risulta divertente.
Nonostante la brevità dell'esperienza single player offerta (poco più di sei le ore che ci sono servite a livello normale per completare la campagna), in Splinter Cell: Black List ci si diverte, con un bel po' di tensione creata dalle fasi più stealth e anche qualche risata dovuta ad alcune esagerazioni da action movie. Si tratta insomma di un prodotto diverso dai predecessori, probabilmente non il migliore della serie ma comunque superiore ad altri episodi, non ultimo lo stesso Splinter Cell: Double Agent.
"Emerge un gameplay cambiato rispetto al passato, nel tentativo di implementare i punti di forza di Conviction e quelli dei primi capitoli"
Dove il gioco non convince invece è nel comparto tecnico. La grafica, pur installando il pacchetto per le texture HD presente nel secondo disco di gioco, si attesta su livelli solo che decorosi, proponendo volti magari inespressivi o animazioni talvolta legnose. Un discorso a parte lo meritano poi alcuni bug, che abbiamo riscontrato in sede di recensione.
C'è ad esempio capitato di raccogliere delle armi che poi sono diventate invisibili una volta in mano a Sam, mentre il modello poligonale era rimasto fermo pochi metri indietro. Ma Ubisoft ci ha assicurato verranno tutti risolti con una patch disponibile al day one. Un discorso a parte lo merita l'intelligenza artificiale dei nemici, che al livello di difficoltà normale si lasciano aggredire con fin troppa facilità.
Tirando le somme di questo Splinter Cell: Blacklist, ci troviamo di fronte a un capitolo diverso dal suo predecessore, quel Conviction apprezzato più dalla critica che dal pubblico. Divertente, a tratti anche emozionante, il gioco riesce a offrire un'esperienza a tutto tondo pensata per accontentare un po' tutti gli appassionati della serie, vecchi o nuovi che siano, senza però mostrare una spiccata personalità.
Nonostante alcune disattenzioni nel gameplay e una campagna un po' troppo breve, Splinter Cell: Blacklist si dimostra essere un capitolo solido che farà la felicità dei fan della serie e che, a nostro avviso, trova nella valutazione qui di seguito la sua corretta dimensione. Questo per quanto riguarda il single player. Per quanto riguarda il multiplayer (l'avete letto il box qui sopra, vero?), vi rimandiamo all'articolo che scriveremo non appena potremo provare la versione pacchettizata del gioco.