Virginia - recensione
Fuoco cammina con me.
Dover rinunciare a qualcosa apparentemente imprescindibile deve sempre essere considerato un fatto negativo? Dai limiti e dai compromessi possono nascere delle idee vincenti e potenzialmente estremamente interessanti? Domande complicate che ci hanno inevitabilmente assillato dopo aver letto la storia del team di Variable State e aver completato (più di una volta) la loro opera prima: Virginia.
Nel 2014 Jonathan Burroughs, già sviluppatore in EA e Rare, decide di fondare insieme all'amico Terry Kenny (GTA: San Andreas e GTA IV) una software house indipendente che nasce da interessi comuni e passioni condivise. Sono gli anni di Kentucky Route Zero e Gone Home, e della nascita di un nuovo tipo di avventure che riuscirà ad avere una presa non indifferente su una buona fetta di pubblico. A ispirare il duo di sviluppatori è però un titolo decisamente meno acclamato e ricordato dal grande pubblico: Thirty Flights of Loving.
In un periodo in cui ogni idea sembrava troppo ambiziosa per poter essere realizzata concretamente da uno studio indie, l'utilizzo del montaggio cinematografico all'interno del normale contesto di gameplay proposto da Brendon Chung aveva rappresentato una svolta non indifferente per Variable State e per la creazione dell'opera di cui oggi vi parliamo in questa recensione.
Unendo le forze con il compositore Lyndon Holland, la sceneggiatura del gioco ha lentamente preso forma costringendo Burroughs e Kenny a fare i conti con una componente non propriamente trascurabile all'interno di un titolo che cerca di attirare l'attenzione soprattutto da un punto di vista narrativo: il dialogo.
Già perché per quanto possa essere difficile da credersi, Virginia può essere incluso nel calderone delle esperienze narrative ma a differenza dei colleghi più illustri non usa alcun tipo di doppiaggio o di dialogo scritto, riducendo al minimo necessario anche la presenza di testi . Il tutto nasce da una decisione maturata sin dalle prime fasi di sviluppo: proporre un'opera che includa montaggio cinematografico, animazioni (soprattutto facciali) curate nei minimi particolari e dialoghi, potrebbe rivelarsi un passo più lungo della gamba per un'opera prima, meglio concentrarsi esclusivamente sui primi due elementi. Scommessa troppo azzardata o giustamente ambiziosa?
È il 1992 e Anne Tarver ha appena festeggiato la sua entrata all'interno degli ambiti ranghi dell'FBI. Neanche il tempo di celebrare come si deve la graditissima notizia che la nostra protagonista si ritrova immediatamente alle prese con il diretto superiore e con la sua decisione di assegnarci come collega della veterana Maria Halperin e a un caso piuttosto delicato: la sparizione di Lucas Fairfax dalla propria casa di Kingdom, Virginia. Per una piccola cittadina tutt'altro che abituata a situazioni di questo tipo si tratta di uno sconvolgimento non da poco e come se l'apparente mancanza di piste e indizi concreti non fossero sufficienti a complicarci la vita, ci verrà anche richiesto di tenere d'occhio la nostra collega in vista di eventuali comportamenti sospetti.
Variable State ha più volte rivelato di essersi ispirata a cult come The X-Files e Twin Peaks ma anche a produzioni più recenti come True Detective e, per quanto non riesca a raggiungere il notevole livello qualitativo di queste serie TV, la storia orchestrata da Burroughs, Kenny e Holland si dimostra di ottima qualità, proponendo efficacemente diverse situazioni in bilico tra il realismo e il surreale che sapranno intrattenerci per circa due ore (dedicandoci anche a un pizzico di esplorazione e alla ricerca di alcuni oggetti collezionabili abbiamo sfiorato le tre ore di gioco).
Tra caverne usate come rifugio e misteriosi complessi che si stagliano nascosti da colline e una rigogliosa vegetazione, Virginia si propone come un'avventura in prima persona che flirta più e più volte con il mondo del cinema e che probabilmente farà storcere il naso a tutti coloro che nel corso degli anni non hanno saputo accettare di buon grado la nuova famiglia di titoli che da una manciata di anni ha iniziato ad avere un ruolo sempre più importante all'interno di questo medium.
Dobbiamo ammettere che la decisione di rinunciare completamente ai dialoghi sia scritti che parlati ci ha inevitabilmente incuriositi e addirittura stupiti una volta che abbiamo iniziato a testare la versione finale di un gioco che sotto diversi aspetti potrebbe rivelarsi una piccola rivoluzione per le avventure prettamente narrative del futuro. Sia per l'efficacia con cui sopperisce a una mancanza potenzialmente devastante, sia per il modo estremo in cui viene utilizzato il montaggio con continui cambiamenti di scenari quest'opera prima, almeno a livello narrativo, può considerarsi una scommessa assolutamente vinta.
Per quanto riguarda il vero e proprio gameplay, Virginia non verrà di certo ricordato per delle meccaniche particolarmente complesse ma quanto meno riesce a limare l'impostazione da walking simulator, proponendo un minimo di varietà all'interno delle diverse scene che compongono la storia. La struttura ideata dalla software house si basa completamente su cambi di scenario con salti sia temporali che spaziali che verranno attivati direttamente dagli sviluppatori o dalla nostra interazione con certi oggetti.
Nei panni dell'agente Tarver potremo spostarci in ambienti più o meno vasti (anche in corridoi lineari) per raccogliere certi oggetti opzionali o semplicemente per esplorare alla ricerca di indizi. In altri casi saremo bloccati per i motivi più disparati (sempre legati alla trama) di fronte a situazioni di gioco completamente sceneggiate dai ragazzi di Variable State e saremo in grado semplicemente di spostare la visuale e di interagire con alcuni elementi opportunamente evidenziati dall'indicatore presente a schermo. Le meccaniche proposte sono tutte qui. Esplorazione e interazione con certi oggetti, una struttura decisamente basilare ma che allo stesso tempo si dimostra decisamente funzionale a quella che è l'impostazione prettamente narrativa di questo titolo.
Parlando proprio di funzionalità, anche il comparto tecnico si dimostra un lavoro estremamente curato e fondamentale per riuscire a sostenere la narrazione. Al di là dei fatti e della sceneggiatura sono, infatti, le animazioni dei personaggi a permetterci di carpire qualche informazione sulla trama. Questo aspetto è stato curato dal cofondatore dello studio, Terry Kenny, una figura professionale che da sempre ha una conoscenza piuttosto avanzata proprio nel campo delle animazioni. È proprio grazie alla competenza di Kenny che il particolare stile grafico (che ricorda sotto alcuni aspetti il recente Firewatch) riesce a garantire una varietà di animazioni, soprattutto facciali, davvero invidiabile.
Il comparto sonoro, che data l'assenza del dialogo è fondamentale per accompagnare l'azione a schermo, riesce a sorprendere dando l'impressione di trovarsi di fronte a una produzione a livello cinematografica. Agli ottimi effetti che accompagnano ogni passo di Anne si aggiunge una colonna sonora composta da Lyndon Holland e registrata dal vivo dall'Orchestra Filarmonica di Praga. La qualità eccelsa di questa componente non è assolutamente da sottovalutare dato che contribuisce alla creazione di atmosfere decisamente ispirate.
Virginia è un azzardo andato a buon fine, un thriller investigativo che ad un prezzo poco superiore a quello di un biglietto del cinema (€9,99) ci propone una storia intrigante, misteriosa e ben sceneggiata, facendo ampiamente uso di un montaggio estremizzato volutamente all'eccesso, e trasformando una mancanza potenzialmente devastante come l'assenza del doppiaggio in un punto di forza non indifferente. L'interattività come spesso accade in questi giochi non spicca per complessità ma la particolare struttura ideata Variable State convince sotto molti aspetti e riesce a fare passare inosservati anche alcuni punti della storia (volutamente?) piuttosto criptici. Ah quasi dimenticavo: occhio al bisonte.