Vita senza 'tripla-A' - editoriale
Dopo anni di latitanza, i famosi giochi “di fascia media” sono tornati... e riescono a divertire più dei blockbuster.
La scorsa generazione di console è stata senza dubbio bella e appassionante, ma ci ha anche lasciato in eredità uno degli eventi più infausti della storia della games industry: la quasi totale scomparsa dei cosiddetti titoli "di fascia media".
Il meccanismo è stato più o meno il seguente: il rapido accrescimento delle esigenze e delle possibilità tecniche (grafica in HD, infrastrutture online, doppiaggio sempre più diffuso e così via) ha fatto lievitare nettamente i budget necessari per produrre un videogame, al punto che per rientrare delle spese è diventato necessario vendere sempre più copie.
Fino a pochi anni prima, piazzare sul mercato 1 milione di copie era considerato un grande successo ma improvvisamente ha cominciato a non bastare più: sono noti i "fallimenti" come quello dell'ultimo Tomb Raider, colpevole di aver venduto solo 3,4 milioni di copie nel primo mese.
Tutto questo ha spinto i publisher a concentrarsi sempre di più su titoli dal potenziale di vendite massificato, schiacciando la produzione verso una sola categoria di prodotto: i famosi "tripla-A". Questi ultimi, però, si sono dimostrati incapaci di esprimere appieno tutte le infinite sfumature di cui il nostro mondo si è sempre composto. Per accontentare tutti, gli sviluppatori hanno infatti cominciato a inseguire una sorta di "monogusto" orwelliano che potesse risultare palatabile a fasce di pubblico sempre più ampie e sempre meno definite.
È più o meno quello che è successo anche al cinema nell'ultimo decennio: oggi i registi e i produttori di Hollywood inseriscono nei loro film un po' di azione testosteronica per accontentare i teenager maschi, un po' di sentimenti per il pubblico femminile, l'immancabile spalla comica per alleggerire l'atmosfera e magari anche qualche gattino per fare l'effetto "YouTube" virale, che non guasta mai. Il risultato di questa operazione è un polpettone con un grosso difetto: potrà anche essere ben digerito dal pubblico di massa ma spesso lascia scontento quello "hardcore". Chiedete a un appassionato di film horror cosa pensa di Twilight!
I videogiochi hanno compiuto un percorso simile: per venire incontro ai presunti gusti del grande pubblico, l'esplorazione libera di un tempo ha lasciato il posto a livelli sempre più simili a corridoi, bellissimi esteticamente ma deprimenti in quanto a design; la difficoltà è improvvisamente scomparsa e molti generi considerati troppo di nicchia hanno compiuto una netta virata verso stili di gioco più mass-market (basti pensare alla svolta "action" di Dead Space o al reboot di Syndicate, che da strategico in tempo reale si è trasformato... in un FPS!).
Il risultato, anche per il mondo dei videogiochi, è stato un generico appiattimento: i titoli ad alto budget, oltre a produrre necessariamente dozzine di seguiti tutti uguali (per riutilizzare i costosissimi asset in una sorta di riciclaggio infinito), hanno cominciato ad assomigliarsi tutti e ad offrire tutti esperienze di gioco molto simili ed omogenee. Addirittura, in buona parte dei casi utilizzano gli stessi motori grafici (come l'ormai onnipresente Unreal Engine) e le stesse tecnologie per gestire differenti aspetti (Havok per la fisica, Speedtree per gli alberi eccetera).
Non sorprende che i giocatori più esperti, memori della varietà e delle infinite sfaccettature che questa industria era stata in grado di esprimere fino a pochi anni addietro, abbiano presto cominciato a soffrire di questa situazione e della scomparsa dei compianti titoli di fascia media, spesso terreno di diversificazione e sperimentazione a basso rischio.
Un vuoto che neppure l'ascesa dei Live Arcade ha saputo colmare, pur avendoci regalato pillole di gameplay eccezionali a partire dall'indimenticabile esordio di Geometry Wars. Anzi: la presenza di pochi titoli mastodontici in cima alle classifiche, una galassia di micro-produzioni a fondo scala e niente in mezzo, non ha fatto altro che rendere ancora più evidente l'assurdità della situazione.
Questo fino a poco tempo fa. Osservando l'attuale condizione dell'industria, infatti, si nota una evidente e gradita inversione di tendenza. Pochi giorni or sono abbiamo recensito il bellissimo Pillars of Eternity, che insieme a Wasteland 2 (e al futuro Torment: Tides of Numenera) rappresenta un incredibile ritorno per un genere come quello degli RPG classici. Tre progetti dal budget medio, dichiaratamente di nicchia ma in grado di offrire esperienze di gioco valide, approfondite e di grande qualità.
Lo stesso discorso vale per Elite: Dangerous nel campo delle space sim. Persino le avventure grafiche sono tornate alla ribalta con Broken Age. Non sfuggirà, ovviamente, il fatto che tutti i progetti appena menzionati siano nati su Kickstarter, ma non è solo grazie al crowdfunding che i titoli di fascia media stanno vivendo un gradito ritorno.
A ben guardare, infatti, pare che anche alcuni publisher tradizionali si stiano "risvegliando" dalla chimera dei mega-budget a tutti i costi, ricominciando a produrre titoli più piccoli e mirati. Parliamo, ad esempio, di quanto realizzato da Capcom con Resident Evil: Revelations 2, spin-off a budget moderato che eppure ha avuto il merito di riportare la serie con i piedi per terra, superando in qualità e coerenza persino i precedenti capitoli "principali".
Molto interessante anche l'esperimento che Ubisoft ha realizzato con il bellissimo Far Cry 3: Blood Dragon, che invece di riciclare il gioco d'origine con noiose espansioni o, peggio, seguiti inutili, lo ha "remixato" in chiave comica e riproposto con un gameplay molto più limitato e lineare, ma per certi versi addirittura più efficace. Qualcosa di simile a quanto compiuto anche con il gradevole Call of Juarez: Gunslinger (e aggiungerei anche Valian Hearts e Child of Light, ndSS).
Impossibile, infine, non citare il bellissimo Rayman Legends, altro titolo che testimonia come Ubisoft negli ultimi anni si sia attirata quasi solo critiche con i suoi progetti "maggiori" (Watch Dogs, Assassin's Creed), e quasi solo lodi con quelli di fascia media.
Parliamo di prodotti che, per la maggior parte, sono usciti sul mercato a prezzi inferiori alla metà di quelli di un tripla-A tradizionale, ottenendo generalmente un buon successo sia di critica che di pubblico e dimostrando in modo inequivocabile che c'è ancora posto per i giochi a medio budget. Una nozione che numerosi publisher minori hanno già fatto propria da tempo, grazie al successo di veri e propri fenomeni come The Walking Dead di Telltale Games, il bellissimo Divinity: Original Sin o l'affascinante The Vanishing of Ethan Carter.
Volete sapere una cosa curiosa? Quasi tutti questi giochi hanno una media Metacritic superiore all'80: una barriera che per molti progetti miliardari di questa "next-gen" si è dimostrata particolarmente difficile da infrangere. Per dirlo con parole ancora più semplici, nell'ultimo anno o due molte delle maggiori soddisfazioni (almeno per gli hardcore o i post-core gamer) non sono venute dai fantomatici blockbuster, bensì proprio da quelle produzioni di medio livello che per tanti anni erano latitate.
A cosa dobbiamo questa apparente rinascita quantitativa e qualitativa dei giochi di fascia media? Come già detto, non è solo merito di Kickstarter: un grosso ruolo è giocato anche dai nuovi sistemi di distribuzione digitale, che minimizzano le spese e i rischi connessi alle distribuzioni fisiche di massa, consentendo di vendere con profitto anche giochi destinati ad un mercato più di nicchia.
In ogni caso, il ritorno della games industry ad una produzione più variegata (in termini non solo di budget ed esperienze di gameplay, ma anche di prezzi e soluzioni di vendita) va accolto come un'ottima notizia. Poter finalmente tornare a giocare al di fuori dello stretto recinto costituito dai "tripla-A" non può che farci bene e dimostra che, nonostante le numerose difficoltà incontrate nel corso degli ultimi anni, quella dei videogame è ancora un'industria sana, vitale e creativa.