Wattam - recensione
Bombe magiche e girotondi, in un mondo che non esiste più.
Annunciato nel 2014 come esclusiva PlayStation 4, Wattam era il titolo che avrebbe raccolto un'eredità più pesante di quanto si potrebbe pensare a una prima occhiata: il direttore del progetto è infatti Keita Takahashi, già conosciuto per il suo Noby Noby Boy del 2009 ma, soprattutto, per l'iconica, geniale e folle serie videoludica dei Katamari, la cui terza installazione (mai uscita in Europa prima d'ora) è stata riproposta lo scorso anno su Nintendo Switch con il nome di Katamari Damacy REROLL.
Wattam sarebbe dovuto essere sviluppato congiuntamente dagli Funomena e Santa Monica Studio, ma a distanza di due anni dalla presentazione del progetto il coinvolgimento dello studio first-party di casa Sony venne meno. Il padre di Katamari vide dunque adottato il proprio nuovo erede da Annapurna Interactive, studio californiano già conosciuto per What Remains of Edith Finch e Donut County, quest'ultimo estremamente ispirato all'idea dietro Katamari, pur se in una declinazione assai più semplice.
Wattam è infine arrivato, quasi inaspettatamente, alla fine del 2019 come titolo multipiattaforma, dopo un'attesa lunga quasi quanto l'intera Prima Guerra Mondiale. Proprio come ogni lavoro di Takahashi, Wattam utilizza il quotidiano, la realtà e gli oggetti di ogni giorno, per creare una storia e un videogioco talmente originali da risultare unici nel mercato.
Fin dai primi istanti dell'avventura, il giocatore si trova davanti a un mondo fatto a pezzi, letteralmente "cancellato": mancano il sole, l'orizzonte e qualunque forma di vita, a eccezione del Sindaco e della luce di un faretto che lo illumina drammaticamente e ne esalta la tristezza.
La strana creatura verde e cubica, sola e disperata, non ricorda cosa sia accaduto e perché tutti siano "andati via", ma è proprio nel culmine del suo sconforto che noterà e farà amicizia con un piccolo sasso; è da quel momento che ha inizio la storia di Wattam, termine che fonde le parole giapponesi "wa" e tamil "vattam", utilizzate entrambe per indicare un cerchio.
La scelta non è casuale visto che tutto, in Wattam, si basa proprio su cerchi e unioni, in modo tanto letterale quanto simbolico. Da una parte, abbiamo una narrazione basilare nella struttura, adatta a un pubblico anche giovanissimo, ma non per questo scontata o semplicistica e che anzi riprende tematiche proposte recentemente dal Death Stranding di Hideo Kojima, quali appunto il potere dell'unione tra esseri viventi e i pericoli portati dalla mancanza di contatto coi propri simili, pur se ovviamente in una chiave di lettura assai meno criptica e filosofeggiante. Dall'altra il gameplay propone precisamente una meccanica di progressione che prevede l'uso del girotondo per il risveglio della vita in ciò che circonda il Sindaco e i suoi sempre più numerosi amici.
Wattam non offre la rigiocabilità, le meccaniche arcade e men che meno la difficoltà dei livelli della serie Katamari, puntando a uno sviluppo totalmente lineare dell'esperienza, che mantiene però il colore, il delirio e l'originalità tipici dell'autore nipponico.
Come già detto, scopo del giocatore è la ricostruzione (o meglio, la "riscoperta") del Mondo, nella sua definizione più letterale; per farlo, andranno eseguite di volta in volta le azioni suggerite a schermo dai personaggi secondari che si affiancheranno al Sindaco nel corso della storia.
Che si tratti di recuperare la cornetta di Telefono, "presa in prestito" da Sole per prenotare una pista da bowling, d'impilare una serie di "pupù dorate" (pure senzienti e, oseremmo dire, anche assai allegre) per raggiungere l'altezza desiderata da Birillo o di ritrovare i "figli perduti" della sconsolata mamma Nigiri, il risultato finale sarà sempre quello di aggiungere un tassello in più al pianeta in frantumi e alla memoria nebulosa del Sindaco.
Nonostante sia davvero basilare, quasi prevedibile per i videogiocatori più stagionati, non vogliamo aggiungere altro per quanto riguarda la storia di Wattam, che a dispetto della sua semplicità regala momenti molto più cupi, maturi e riflessivi di quanto ci saremmo aspettati, con persino una scelta morale da compiere nel corso dei suoi ultimi momenti.
In Wattam narrativa e gameplay vanno a braccetto, così come spesso e volentieri a braccetto il giocatore dovrà porre i diversi personaggi della storia, tutti catalogati e descritti in uno splendido e divertentissimo archivio che vi consigliamo caldamente di spulciare.
Purtroppo risultano evidenti fin da subito i limiti tecnici del software, la cui unica, concreta difficoltà è costituita dalla macchinosità dei comandi, che spesso e volentieri trasformano dei graziosi girotondi in ammassi vibranti e annodati di mani, braccia e corpi di ogni foggia e dimensione. Siamo ben lontani da problematiche tali da risultare gamebreaking, ma è innegabile che, in un titolo pensato per essere scorrevole, semplice e lineare, risulti un controsenso percepire perdita di tempo e un pizzico di frustrazione proprio in quella meccanica che dovrebbe esaltare la gioia, la spensieratezza e lo spirito di gruppo.
Altro spiacevole (e, si spera, risolvibile) problema di Wattam riguarda la stabilità del software, che anche su una console PlayStation 4 Pro è stata vittima di rallentamenti importanti, veri e propri freeze di una manciata di secondi durante ciascuno dei caricamenti "nascosti", che hanno causato anche due crash dell'applicazione nel corso delle circa cinque ore di durata della storia, comprensiva anche degli sparuti, ma simpatici extra sbloccabili una volta conclusa la campagna.
Impossibile ignorare anche i cali di framerate delle sezioni finali del titolo, in cui si trovano a schermo un numero di personaggi evidentemente non più trascurabili per l'ottimizzazione tecnica svolta da Funomena.
Un ultimo punto da evidenziare è il prezzo di listino del gioco: ben 19,99 Euro/USD su PlayStation Store, un prezzo certamente giustificato dagli anni di sviluppo e dalla palese passione e dedizione riversata nel progetto da Takahashi e dagli altri membri del team, ma che potrebbe risultare eccessivo per il portafogli di un videogiocatore semplicemente incuriosito dal titolo e che si troverebbe davanti a un'esperienza tanto unica quanto semplice, poco longeva e pressoché priva di rigiocabilità.
A uno sguardo d'insieme, Wattam regala piccole gioie e sorrisi in grado di scaldare il cuore, seguiti da altrettanti momenti di sconforto e delusione da chi questo gioco lo attendeva da decisamente troppi anni. L'estetica iconica, il comparto audio e musicale semplicemente geniale e una costruzione ludo-narrativa degni di un titolo di Kojima Productions, non bastano a rendere un capolavoro indimenticabile quello che, di fatto, è un effimero walking simulator con una spolverata grossolana di platforming ed enigmi ambientali basilari.
È un lavoro chiaramente d'autore, concettualmente delizioso e pieno di cura per dettagli molto eleganti, ma che manca della rifinitura tecnica e della varietà in grado di renderlo un prodotto per la massa o, semplicemente, un perfetto titolo per i videogiocatori più giovani.
Wattam affianca un'idea di gioco originale a un design semplice ma iconico. I grossi limiti del software, però, sottolineano un comparto tecnico non sempre brillante, senza dimenticare una certa ripetitività di fondo, causata anche dalla difficoltà pari praticamente a zero.