Werewolves Within - recensione
L'anima social della realtà virtuale.
Il ritardo con cui si presenta questa recensione sulle pagine di Eurogamer.it, rispetto al giorno della release europea di Werewolves Within, è sintomatico del più grande limite, forse l'unico, di questa particolare e interessantissima produzione Ubisoft.
Proprio agli albori dell'era PlayStation VR, un esordio non proprio esaltante in termini di esemplari piazzati sul mercato, mentre anche su PC la realtà virtuale fatica e non poco a raggiungere determinate cifre, il publisher francese ha avuto la splendida, ma scomoda idea di proporre agli acquirenti dell'add-on di Sony, di Oculus Rift e HTV Vive un vero e proprio (video)gioco di società.
L'ostacolo a cui accennavamo poco prima, insormontabile, si palesa sin dalla prima schermata. Finché non ci saranno almeno sei partecipanti alla stramba riunione cittadina di un piccolo borgo fantasy, alle prese con un problema tutt'altro che ignorabile, la partita non si avvierà, tramutando l'esperienza in una comunque piacevole chiacchierata tra avatar digitali dalle buffe proporzioni e dagli abiti eccentrici.
Inforcato il visore, si attende speranzosi l'arrivo dei partecipanti, mentre si inizia a socializzare, scoprendo che, già solo per questo, il software ha qualcosa da offrire sia all'esperto in cerca di un videogioco diverso dal solito, sia al neofita che non ha mai stretto un pad tra le mani. Protetti dall'anonimato, garantito dal nickname e dalle fattezze del personaggio digitale, ci si scopre particolarmente loquaci con gli altri utenti. Il clima, ben diverso rispetto da quello estremamente competitivo di un Call of Duty qualsiasi, incentiva un amichevole scambio di battute, permettendo ai presenti di prendere dimestichezza con il feeling della produzione.
Gallowston, il borgo in cui è ambientata la vicenda, è un piccolo centro abitato che si estende tutt'intorno, un luogo virtuale che non potrà che affascinare l'utente, ammaliato e quasi ipnotizzato dal lugubre castello che troneggia sul colle e dalla boscaglia che circonda i confini della valle. L'art design non è particolarmente ispirato, ma riesce nel compito di creare un'ambientazione caratterizzata quanto basta per rendere credibile, a grandi linee, l'apprensione dei cittadini per la sicurezza delle loro case e delle loro famiglie.
Discutendo con i perfetti sconosciuti, sempre in attesa che qualcuno si unisca alla partita, si capisce anche perché Werewolves Within non avrebbe alcun senso lontano dalla realtà virtuale. Muovendo la testa ci si rivolge direttamente all'interlocutore desiderato, la gestualità dell'avatar, assolutamente automatica ma in qualche modo coerente con il tono della conversazione, infonde la giusta enfasi ad ogni discorso. Alzandosi in piedi, si impedisce a tutti gli altri di parlare, disattivando, di fatto, il loro microfono. Piegandosi verso l'abitante del villaggio seduto di fianco, si intrattiene una conversazione segreta con lui, non udibile da nessun altro.
Il corpo, i movimenti della testa quanto meno, sono parte integrante dell'esperienza. Il dover rivolgere la propria attenzione da una parte o dall'altra dello scenario, a caccia di segnali segreti tra gli abitanti del villaggio, e la direzione del proprio sguardo, sono elementi tutt'altro che secondari nell'economia del gioco.
Sì, perché quando finalmente la partita si avvierà, dopo un matchmaking generalmente prolungato, entrerete nel vivo dell'azione di questo gioco di società. Avete presente Mafia, noto anche come Assassino, Licantropo o Lupus In Tabula? Si tratta di un semplicissimo passatempo il cui scopo fondamentale è la cattura di un particolare personaggio tramite la collaborazione dei vari partecipanti. La scelta del ruolo è affidata al caso, ovviamente, così che ad ogni partita nessuno sa esattamente chi sia il nemico da braccare e chi stia effettivamente cercando il colpevole. Tutto si basa sul bluff, sul doppio gioco, sulle eventuali alleanze che si creano e si infrangono nel giro di qualche minuto.
Werewolves Within funziona allo stesso e identico modo. L'obiettivo è quello di scovare il lupo mannaro, ovviamente celato da fattezze umane, in partite dalla durata massima di cinque minuti. In questo arco di tempo, gli abitanti devono confrontarsi tra loro, eventualmente nominare un Capo Villaggio, accordarsi in vista del voto finale, il momento in cui ognuno punta il dito contro un giocatore, sospettato per l'appunto di essere il ricercato.
Al normale fluire dell'azione si aggiungono un discreto numero di variabili, tutte riconducibili ad eventuali ruoli alternativi, ognuno dotato di specifici poteri e abilità, che i giocatori potrebbero dover impersonare. C'è il Disturbato, per esempio, il cui scopo è quello di farsi incriminare al posto del Lupo Mannaro; il Santo, che sa l'identità del villain; il Veggente, che grazie al potere delle stelle può conoscere il ruolo di un giocatore scelto casualmente.
Nessuno sa realmente quale sia il ruolo degli altri giocatori, il che mette in dubbio ogni parola proferita, in un conturbante gioco di mezze verità e menzogne da far invidia ad una qualsiasi puntata di Lie To Me. Gli equivoci, i tranelli, le ammissioni, le finte alleanze, sono il carburante che alimenta il motore di Werewolves Within. Le situazioni paradossali, comiche, surreali si sprecano, in un turbinio di accuse reciproche che hanno come unico risultato il tenere incollati al visore, sino alla fatidica "ultima partita e poi basta", che non è mai davvero l'ultima.
Bisogna naturalmente essere inclini a questo tipo d'esperienza. Se l'idea di chiacchierare con perfetti sconosciuti non vi esalta particolarmente, difficilmente apprezzerete appieno la produzione di Ubisoft. Si tratta anche di allenamento, ovviamente, di un progressivo abbandono dei freni inibitori, non appena si ha la certezza di essere in un ambiente relativamente protetto, lontano dai "troll" che rovinano troppe partite di League of Legends o di un qualsiasi FPS. La struttura ludica funge da selettore, visto che senza la giusta dose d'ironia, spirito collaborativo e voglia di mettersi in gioco, non si ha proprio motivo di iniziarsi all'esperienza.
Come dicevamo in apertura, l'unico vero limite di Werewolves Within è la sua scarsa diffusione, che rende il matchmaking piuttosto lungo e dall'esito incerto. Ci è capitato di restare in attesa quasi un'ora, senza che si trovasse un numero sufficiente di partecipanti. La situazione sta fortunatamente cambiando, grazie anche alla creazione di alcune community che tentano di dare un minimo di organizzazione agli utenti, così da farli incontrare online in orari prefissati. Inoltre, cambiando la lingua del sistema, se vi sentite abbastanza padroni di un idioma straniero, potreste anche optare per cambiare il paese di riferimento in cui ricercare gli sfidanti, alternativa certamente drastica, e consigliata solo a pochi esperti, ma dalla comprovata efficacia.
Werewolves Within ci ha sorpresi, dopo un'iniziale scetticismo. Del resto, perché preferire la realtà virtuale, quando giochi come Mafia o Lupus in Tabula funzionano già alla grande? Non abbiamo certamente cambiato idea in proposito, soprattutto dopo aver sfidato amici e parenti a trovare l'assassino o il lupo durante queste vacanze natalizie. Tuttavia, la prospettiva di concedersi una partita, pescando dalla rete altri giocatori a qualsiasi orario, è in effetti un vantaggio tutt'altro che ignorabile. Ubisoft, inoltre, con questo umilissimo gioco, ha dimostrato quanto la realtà virtuale possa effettivamente veicolare esperienze altrimenti irrealizzabili. Il che, vale già da solo il prezzo del biglietto.