Where The Water Tastes Like Wine - recensione
“Ogni storia è una storia infinita.”
Where the Water Tastes Like Wine fu mostrato per la prima volta durante i Game Awards del 2015. Nato dalla mente del lead programmer dell'apprezzato Gone Home, è affascinante che questo titolo sia stato portato su home console a poche settimane di distanza dal blasonatissimo Death Stranding, con il quale condivide il concetto del viaggio in territorio americano e la necessità di unire le persone attraverso le azioni del protagonista. Ovviamente i titoli non potrebbero essere più diversi per budget e ambizione, ma in entrambi i casi ci si trova davanti un'idea nient'affatto banale e un comparto artistico, estetico e musicale, estremamente ispirato.
Spinto in tentazione da un losco figuro nel giocare un'ultima, sfortunata mano di carte, il nostro alter ego si troverà suo malgrado al servizio di un'entità misteriosa, i cui fini ultimi rimangono nebulosi per buona parte dell'esperienza di gioco; per ripagare il proprio debito, il protagonista dovrà "costruire la storia" di un'America in piena Depressione, viaggiando in lungo e in largo per raccogliere i piccoli e grandi racconti sparsi per il paese, acquisendo fiducia e confidenza dei compagni incontrati durante il cammino, fino a liberare il loro vero aspetto (che sarà un riflesso del loro passato e delle loro emozioni) e "scoprire la verità".
Sebbene in modo diverso, tanto Death Stranding quanto Where the Water Tastes Like Wine giocano molto sull'idea del passato e della verità sepolta sotto un mare di menzogne: privato di ogni suo bene (pelle compresa) a esclusione di un paio di strani dadi, l'eroe inizia a esplorare una mappa di gioco assai estesa, realizzata con uno stile low poly per ricordare in tutto e per tutto una cartina geografica. Disseminati in ogni angolo della nazione (e individuabili in ogni momento dall'apposita voce "Mappa" del menu di gioco) si trovano eventi, racconti e personaggi con cui condividere una notte intorno al falò.
Raggiunto un punto d'interesse, il giocatore avrà modo di prendere semplici decisioni circa il proprio comportamento: in base alle scelte, i risultati potrebbero essere positivi, come un guadagno in denaro, o negativi, come una perdita di salute o un affaticamento. Esplorare in lungo e largo l'America della Grande Depressione non è cosa da poco e pur essendo ridotto a uno scheletro ambulante, il nostro alter ego avrà comunque bisogno di cibo e riposo, nonostante queste necessità siano facilmente gestibili e ben lontane da realistiche meccaniche survival. Ignorare le richieste del corpo non porta infatti a una schermata di game over, quanto a una sorta di "reset" del tragitto percorso e a qualche commento più o meno comprensivo della creatura per la quale lavoriamo.
Se la narrativa è in genere una parte più o meno rilevante di un videogioco, nel caso di Where the Water Tastes Like Wine essa diventa un vero e proprio elemento di gameplay, in maniera più dinamica, meno "passiva" rispetto a una normale avventura grafica.
In base alla storie apprese fino a quel momento, il protagonista potrà interagire in maniera diversa con i comprimari che si troverà ad incontrare lungo la via: i racconti sono suddivisi per argomento, secondo il simbolismoo delle carte dei tarocchi, ed è possibile "equipaggiarne" fino a un massimo di tre per tipo. Ogni personaggio, accoccolato davanti a un falò e affamato di nuovi racconti avanzerà richieste diverse, che se soddisfatte porteranno quella persona ad aprirsi sempre di più, fino a rivelare il vero io e confessare la verità circa il proprio passato.
Non è necessario ottenere la massima fiducia durante ogni "seduta", in quanto il favore ottenuto sarà mantenuto fino all'incontro successivo; una volta raccontata una storia a qualcuno, non è possibile ripeterla, ma visto il loro numero esorbitante è virtualmente impossibile fallire così tante volte da esaurirle senza ottenere il risultato desiderato.
Inoltre, una volta appresa e condivisa un'avventura con qualcuno, è sicuro che presto o tardi quest'ultima ci verrà nuovamente proposta in futuro da altri personaggi, "abbellita" da dettagli più o meno credibili; questo, oltre a far riflettere sul potere della parola e sulla relatività delle nostre moderne conoscenze storiche, rende le storie in questione più efficaci, proprio come se fossero salite di livello... ed è senza dubbio affascinante riflettere su come, alla ricerca della verità, il nostro migliore strumento a disposizione saranno proprio quelle avventure artefatte.
In base a quanto detto fino ad ora, appare evidente che in Where the Water Tastes Like Wine una vera e propria sconfitta sia praticamente impossibile; vero ostacolo al completamento del gioco è però il suo ritmo e, nel caso di utenza italiana, la mancanza di una localizzazione nostrana dei dialoghi, che rende assai più difficile seguire il filo del discorso delle centinaia e migliaia di parole che ci si pareranno davanti, spesso in un registro linguistico non proprio alla portata di tutti.
È possibile muoversi a piedi, pagando un biglietto ferroviario o chiedendo un passaggio a mezzo autostop. Ogni opzione ha dei pro e dei contro, in base all'obiettivo del giocatore: per esplorare ogni angolo del territorio, farsi scarrozzare da uno sconosciuto non è la migliore delle opzioni, visto che non si ha controllo sulla tratta intrapresa; la gloriosa ferrovia americana rende gli spostamenti molto rapidi, ma svuota le nostre già leggere tasche... Alla fine, i nostri ossuti piedi risultano la scelta migliore nella maggior parte dei casi, a patto d'accettare un ritmo di crociera a dir poco soporifero, tra un campo coltivato, una collina brulla e una riva del Mississippi.
È presente un semplice ma simpatico minigioco, in grado di colmare le attese tra uno spostamento e l'altro: tenendo premuto il dorsale sinistro, infatti, il protagonista inizierà a fischiettare e premendo i pulsanti corretti prima che scompaiano dallo schermo, il ritmo della camminata ne gioverà non poco, sia in termini di velocità che di accompagnamento musicale.
Risvolto della medaglia è che, concentrandosi sul fischiare, sarà più difficile scorgere i punti d'interesse intorno a noi... a meno di fermarci continuamente per controllare la mappa. Tirando le somme, si percepisce una netta dicotomia tra l'eccellente interpretazione attoriale delle voci narranti (tra cui figurano voci conosciute e apprezzate, come Sting, Dave Fennoy e Melissa Hutchison di The Walking Dead, Kimberly Brooks di Mass Effect e Mike MacRae di Kingdom Hearts) e la inevitabile monotonia e macchinosità degli spostamenti, tra gli splendidi e inquietanti artwork 2D e la povertà della mappa 3D, ancor più evidente nel caso in cui si giochi su uno schermo medio-grande.
Sarebbe un reato non menzionare lo splendido accompagnamento musicale composto da Ryan Ike, che raccoglie con grazie e stile tutti i generi iconici della nazione a stelle e strisce; tuttavia, è innegabile che neanche lo splendido lavoro del compositore riesce a rendere Where the Water Tastes Like Wine un titolo fruibile per la grande massa di videogiocatori moderni: si tratta di un titolo da giocare e vivere con il giusto spirito, che richiede calma, attenzione, pazienza e una buona conoscenza della lingua inglese e dello slang americano.
Where the Water Tastes Like Wine era e rimane un prodotto fortemente di nicchia, ancor più ghettizzato nel nostro paese per l'assenza di una localizzazione italiana e un registro linguistico non esattamente alla portata di tutti: pur con alcune incertezze tecniche e una certa ripetitività di fondo, rimane un titolo assai ispirato e costruito su un concept affascinante a dir poco. Non resta che sperare che la pubblicazione su console regali nuova linfa vitale a un progetto a cui non sono stati riconosciuti i giusti meriti.