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White Night: cosa c'è oltre lo stile? - recensione

Nessuna sfumatura di grigio.

La fame di novità è tanta nel mondo dei videogiochi, e un gioco come White Night non può passare di certo inosservato, non fosse altro che per il suo particolare aspetto. Ma cosa si nasconde di preciso dietro l'appariscente grafica in bianco e nero del titolo di OSome Studios?

La risposta è semplice solo in apparenza: White Night è un survival horror definito 'old school' dai suoi stessi creatori, con ispirazioni in alcuni casi chiarissime, in altri meno, che vanno dal genere noir all'espressionismo tedesco.

I richiami non finiscono qui, visto che la storia prende il via con una strada buia, una ragazza che attraversa la strada all'improvviso e l'inevitabile incidente che ne segue, a seguito del quale il protagonista decide di entrare in una poco invitante magione per chiedere aiuto.

Déjà-vu a parte, White Night può contare su atmosfere tutte sue: se vi è capitato di vedere anche solo di sfuggita una qualsiasi immagine del gioco, già avrete presente il particolarissimo stile grafico scelto dagli sviluppatori, che si basa su un contrasto nettissimo tra bianco e nero, senza compromessi alcuni.

Alcune scene classiche dei survival horror acquisiscono un sapore tutto nuovo grazie al particolare stile grafico.

Ma c'è dell'altro, e lo andiamo subito a scoprire. L'ambientazione è la Boston del 1938, provata dalla Grande Depressione, che in realtà va scoperta leggendo i classici diari e scovando le foto sparse per la magione, più che vista direttamente.

Una volta all'interno della casa si fa subito la conoscenza con le poche meccaniche fondamentali di White Night: il buio non mette solo paura, ma è un pericolo letale capace di strapparci la sanità mentale. Per tenerlo a bada ci sono solo due modi: accendere uno dei fiammiferi che fortunatamente abbondano per le stanze della casa, o scovare un interruttore il cui funzionamento è comunque tutt'altro che garantito.

In alcune stanze sono presenti camini che possono accogliere un rassicurante fuoco, a patto di trovare prima la legna necessaria, e raramente può capitare di imbattersi in fonti di luce naturale o candele. Le prime due soluzioni citate sono comunque la norma.

Qualsiasi fonte di luce proietta un alone molto limitato: di conseguenza non si è mai al sicuro ed è necessario cercare minuziosamente scorte, oggetti e documenti armandosi di pazienza. Dopo qualche decina di minuti diventa evidente che non si rischia quasi mai di restare a corto di fiammiferi, per cui la ricerca può essere portata avanti con minuziosità.

In alcune circostanze, il forte contrasto tra bianco e nero appiattisce veramente troppo l'immagine.

Passate le prime fasi di ambientazione, si fa la conoscenza degli unici veri nemici del gioco, buio a parte: delle ombre spettrali, in verità non troppo aggressive, il cui contatto provoca il game over immediato. Questi spettri, che spesso bloccano passaggi ben precisi, possono essere eliminati solamente dalla luce elettrica, e la ricerca e l'attivazione di lampade e altri strumenti diventa per questo doppiamente fondamentale nell'economia del gioco.

Le radici old school di White Night affiorano con vigore fin dalle prime battute. OSome Studio ha optato per un sistema di inquadrature fisse à la Resident Evil e relativi movimenti fatti di rotazioni sul posto e spostamenti legati alla direzione verso cui è rivolto il personaggio. Forse ancora di più che nel classico targato Capcom, in White Night le telecamere danno la forte impressione di essere osservati fin dai primi passi, anche in virtù della natura spettrale dell'ambientazione.

Incedere nella magione è più una questione di risolvere puzzle, sia legati allo scenario che alle ombre, visto che c'è sempre un modo ben preciso di contrastare ed eliminare queste ultime. Gli enigmi proposti dallo scenario vanno dal trovare tutta una serie di chiavi o ciocchi di legno per accendere camini, fino all'allineamento di pianeti in miniatura, e sanno troppo di già visto.

Luce e buio giocano un ruolo imprescindibile anche in queste circostanze, visto che per aprire panche o spostare mobili è necessario utilizzare entrambe le mani e trovare quindi una fonte di luce che supplisca alla mancanza dell'inseparabile fiammifero. La maggior parte di queste situazioni è forzata, ma non è un grosso difetto visto che la soluzione è spesso nelle immediate vicinanze.

Se le meccaniche di gameplay sono prese da titoli già visti, la veste grafica è, come detto, l'elemento che salta subito all'occhio per la sua particolarità. Da questo punto di vista, l'esperimento di OSome Studio è veramente interessante e piacevole, con un'atmosfera incredibilmente valida che viene valorizzata da un sonoro d'eccezione di cui parleremo approfonditamente a breve.

Il contrasto totale tra bianco e nero in verità maschera anche una veste grafica che si rivelerebbe probabilmente carente, sia nell'aspetto che nelle animazioni. La contrapposizione tra i due colori permette di ricreare scene veramente ispirate che risulterebbero altrimenti ordinarie, ma che in situazione di scarsa luce risulta a volte fastidiosa e disorientante.

Il sistema di movimento non aiuta, visto che nel passaggio tra due inquadrature l'unico modo per proseguire nella direzione scelta è non agire sui comandi, ma anche così si rischia spesso di faticare nell'individuare la propria posizione in relazione all'ambiente a causa della mancanza di punti di riferimento ben chiari.

È da tenere presente che il protagonista inizia a caracollare scompostamente quando viene inseguito da uno spettro, deviando leggermente dalla propria direzione. Insieme alle inquadrature d'effetto, ma spesso poco funzionali, ciò rende probabile il ritorno al checkpoint precedente senza particolari colpe da parte del giocatore.

I salvataggi vanno effettuati sedendosi su poltrone ben precise, vicine a fonti di luce ed evidenziate da un marchio, ma in alcune sezioni la strada verso il punto di salvataggio successivo passa per percorsi obbligati che non è troppo esaltante ripetere in caso di fallimento.

Il punto di forza di White Night non è comunque la sfida. L'incedere nella magione è vissuto come una storia di scoperta di ambientazione, personaggi e periodo storico grazie a giornali e diari, mentre spettri e puzzle sembrano servire più che altro a fornire un diversivo temporaneo.

L'atmosfera è sicuramente di primo livello: nella manciata di ore, circa sei prendendosela con comodo, di più se si resta impantanati in qualche passaggio, la scrittura efficace rende la scoperta molto piacevole. A questo proposito va citato che il parlato è in un ottimo inglese, con sottotitoli in italiano ben tradotti.

Proprio il sonoro è probabilmente la componente più valida di tutto il gioco, una di quelle che vanno assaporate in cuffia per percepire fruscii, sussurri, cigolii, passi e le calde note di più di un pianoforte. La scomoda sensazione di essere spiati menzionata in precedenza è amplificata di molto proprio dal design sonoro, che rende costantemente vibrante la suspense, rendendo l'idea di uno spettro in agguato dietro l'angolo molto più spaventosa dell'urlo improvviso dell'ombra di turno.

Dopo aver decifrato natura e comportamento delle ombre, le ambientazioni diventano meno spaventose ma restano ugualmente affascinanti.

Il risultato del tutto è curioso, e sicuramente più che in grado di farsi notare da chi è affamato di quella fame di novità di cui dicevamo. Proprio come il suo stile grafico, White Night è però preso in un forte contrasto tra atmosfere e meccaniche, in un quadro generale molto sbilanciato a favore delle prime.

Il gameplay in sé è appena funzionale, risultando alla fine una sorta di variante di titoli come Gone Home, in cui l'esplorazione e la scoperta sono al centro di tutto. Il sistema di salvataggi è eccessivamente punitivo e rende alcuni passaggi eccessivamente frustranti e la storia frammentata, specie quando si deve ripercorrere più volte la stessa sezione perché non si è scovato un interruttore in un angolino a due passi da un'ombra celata (e in casi come questo, il bianco sparato provocato dalla luce vi farà apprezzare un po' meno lo stile grafico).

Mettendo nel conto una rigiocabilità praticamente nulla, il risultato è sicuramente elegante ma complessivamente più un buon punto di partenza per eventuali sequel più raffinati dal punto di vista del gameplay che un'esperienza in grado di farsi apprezzare a tutti i livelli.

6 / 10
Avatar di Emiliano Baglioni
Emiliano Baglioni: Emiliano si affaccia al mondo dei videogiochi all’epoca del Vic 20. Vive la sua storia di giocatore pensando che prima o poi crescerà e mollerà il joypad, ma non abbandona mai la sua passione, che riesce in qualche modo misterioso a conciliare con tutto il resto.

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White Night

PS4, Xbox One, PC, Mac

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