Wonder Woman 1984 - recensione
La donna delle meraviglie merita storie migliori.
Nota: questo articolo contiene un riassunto della trama, non di più di quanto mostrato nei trailer. E i commenti e il conseguente giudizio non sono rubricabili come spoiler.
È risaputo che un eccesso di aspettativa espone maggiormente al rischio di delusioni. Ma che si resti delusi quando le aspettative sono bassissime o addirittura nulle, è sconfortante. E dunque siamo qui tristemente a parlare di Wonder Woman 1984, ingiustificato secondo capitolo realizzato solo per raschiare un barile che poteva essere sfruttato molto meglio. E il il risultato è incredibile.
L'inevitabile prologo ci mostra la piccola Diana (attrice davvero piccola, anche di statura), alle prese con una delle solite prove formative imposte dalla severa educazione delle Amazzoni. Dai primi decenni del secolo scorso, dove era ambientato il capitolo precedente, ci spostiamo quindi nel 1984, anno in cui Diana è impiegata come esperta d'arte allo Smithsonian. Dovrà scontarsi con due nuovi avversari: uno è Maxwell Lord, un ometto d'affari a livello di televendita che si trova fortuitamente nella posizione di fare il salto di qualità, diventando l'uomo più potente della Terra.
Grazie a lui tutta l'umanità sarà messa in grado di realizzare qualunque sogno. Non importa quale, non si giudica e non si controlla la compatibilità, basta volerlo. Quindi l'effetto sarà devastante. Nel deflagrare della situazione resta coinvolta, prima da vittima innocente, poi da complice incosciente, l'apparentemente mite ricercatrice Barbara Minerva, complessata collega di Diana. Che nel frattempo incontra nuovamente l'amatissimo, sempre rimpianto, mai dimenticato Steve (come si vede anche nel trailer). Nuovamente love is the answer, molto evangelicamente, ma questa volta potrebbe avere conseguenze negative, se non adeguatamente sublimato. Perché la Lampada di Aladino non esiste e c'è sempre un prezzo da pagare.
La regia è di nuovo affidata a Patty Jenkins, che anche scrive la storia e la sceneggiatura insieme a Geoff Johns (abituale frequentatore di personaggi DC) e Dave Callaham, più esperto di action, a vedere il suo curriculum. E così abbiamo individuato i colpevoli. Il personaggio di Maxwell, affidato a un volonteroso Pedro Pascal, oppresso da una pessima e ingiustificata parrucca, viene virato sul grottesco rendendolo una macchietta per quasi tutta la narrazione, vanificando così il "colpetto" di scena che (a un quarto d'ora dalla fine) dovrebbe farci capire i suoi moventi, rendendoci partecipi della sua sorte e donando spessore al personaggio.
Ma la rivelazione avviene troppo tardi, con lo spettatore ormai abbondantemente annoiato, e non può ribaltare la sorte di niente e nessuno. Il film purtroppo dura l'esagerazione di 151 minuti e rari momenti di (lieve) intensità si raggiungono comunque tutti nella parte conclusiva, perdendo un tempo infinito nella prima ora e mezza con una narrazione prolissa, in cui i pochi fatti rimarchevoli sono diluiti e privi di mordente.
Discutibile anche la scelta di Kristen Wiig per la storica avversaria di WW (nei fumetti), ottima commediante vista in molti film brillanti ma anche in cose di maggior spessore. Qui è impiegata in un ruolo da bruttina recuperabile ma incattivita (e ci sarebbe da scrivere un romanzo o un pensoso saggio sociologico su casting e psicologie femminili), e stupisce la mancanza di reazioni da parte dell'agguerritissimo #metoo. Gal Gadot è sempre bellissima e riesce anche ad essere intensa nella sua interazione con l'amato Steve, donna bellissima, altera e algida, di cui nessuno può immaginare gli interiori rovelli, le sofferenze e i sacrifici.
Molti di essi sono in nome del suo unico grande amore, che è ri-affidato a Chris Pine, che sembra però più emozionato dal suo primo volo su un jet a reazione che dopo la prima (nuova) notte con Diana. Pine viene pure messo al centro di una gag sul cambio di vestiti (tipica di certi film di ben altro genere), che dovrebbe prendere in giro la moda anni '80. E ci si chiede i costumisti in che pianeta vivano.
Chi mai in quegli anni si vestiva davvero in quel modo? Qualche buzzurro dell'Arkansas? Perché anche su questo il film fallisce, ossia nell'ambientazione anni '80, sfruttata soprattutto per l'abbigliamento (solo Gal è vestita bene, perché non è che in quegli anni fosse impossibile) e per un paio di canzoni. Sorvoliamo poi sull'immancabile scena in una sala giochi, dove si nota un errore nella scelta dei giochi che girano nei cabinati, come alcuni spettatori dall'occhio molto veloce hanno notato (Rampage pubblicato nel 1986 e Operation Wolf nell'87).
Poi si pone particolare accento sulle "molestie" che le donne subivano in quegli anni (così sembrano convinti gli sceneggiatori), con occhiate insistite e continue avances verbali, e abbordaggi sgraditi al limite della violenza vera e propria.
Si sarà notato che tutto questo attiene al lato "comedy" della narrazione, che è quello meno riuscito, più forzato e stiracchiato eppure sovrastante. Il problema però è che nemmeno la parte action riesce a ribaltare le sorti del film, con poche scene non molto appassionanti ed effetti standard. All'interno dei titoli di coda c'è anche un veloce cameo di Linda Carter.
Insomma, Wonder Woman 1984 è un pesante e inutile capitolo, che tenta in extremis di infilare un messaggio positivo (ah, se tutti rinunciassimo ai nostri egoismi!), nel vano tentativo di rendere digeribile un insulso pastrocchio. Il film è distribuito su HBO Max e in Disney-Marvel probabilmente qualcuno si starò fregando le mani.