Xbox Game Studios: Ora tocca a voi
Un'analisi del futuro dei videogiochi Microsoft e Xbox.
Sette anni fa, Microsoft ha iniziato una scalata apparentemente impossibile nel tentativo di uscire dal profondo cratere generato dall'impatto sulla Terra di Xbox One. Via Kinect, via Don Mattrick, via l'arroganza di chi ha seduto sul trono delle console da salotto grazie alla spinta di Xbox 360. Phil Spencer ha ereditato un telaio decadente e l'ha trasformato pezzo dopo pezzo nell'odierno ecosistema Xbox, un motore trainato dalla potenza dei cavalli di Series X e dalla valanga di titoli parte del Game Pass.
Praticamente, come nella costruzione del Megazord, ogni pezzo è andato al suo posto: la macchina, il cloud, i servizi, l'ecosistema condiviso e soprattutto gli studi acquisiti nel corso degli ultimi tre anni, si sono uniti sullo sfondo della nona generazione. ZeniMax e Bethesda sono arrivate proprio sul gong, inaugurando quella che, in potenza, potrebbe trasformarsi nella seconda età dell'oro della compagnia. Per completare il quadro manca un solo importantissimo elemento: un parco titoli capace di gridare al mondo intero che la grande Xbox è tornata.
Se n'era mai andata? È molto difficile rispondere a questa domanda. La divisione Xbox ha investito molto per costruire nuove proprietà intellettuali nel corso degli anni; lo ha fatto con Remedy, a cui ha affidato milioni per costruire l'ambizioso progetto Quantum Break; lo ha fatto con le sue software-house di bandiera, che hanno potuto contare su budget quasi illimitati per produrre i nuovi episodi delle serie più amate; lo ha fatto con Rare, che ha potuto trasformarsi in un'isola creativa distante dai dettami del mercato.
È particolarmente complicato individuare l'ingrediente che è mancato a Microsoft durante l'ottava generazione di console. Possibile che si tratti di semplice sfortuna? Un po' come nel calcio, quando una squadra acquista un giovane promettente e questo si rivela un flop, mentre la concorrenza imbrocca un Ronaldinho, un Messi e un Neymar dietro l'altro. Xbox non ha mai pensato di accantonare le grandi produzioni, semplicemente non è riuscita ad accarezzare l'idea di un GOTY, né a far crescere un vivaio di game director pronti a trasformarsi in stelle dell'industry come capitato nei casi di Cory Barlog e Neil Druckmann.
Come accennato, tuttavia, sperimentazioni e investimenti non sono mancati. C'è stato il tentativo di espandersi nel medium attraverso una line-up tentacolare, capace di spaziare fra produzioni contenute come Re:Core e i vasti mari di Sea of Thieves, fra il survivalismo di State of Decay e la freschezza di Sunset Overdrive, fra le combo di Killer Instinct e le tristi sparatorie di Crackdown 3. L'assenza più ingombrante? Quella di un grande videogioco single-player carico di emozioni, una pietra miliare degna di competere per ottenere il massimo riconoscimento della critica e del pubblico.
Oggi gli Xbox Game Studios sono qualcosa di molto diverso rispetto al passato, un gomitolo di 23 software-house pronte a coprire dozzine di generi e ispirazioni diverse, orchestrate da Matt Booty nel tentativo di colmare il vuoto più evidente lasciato dalla casa. Giochi di ruolo, titoli story-driven, sparatutto, sportivi, cRPG, strategici: in cassaforte c'è il talento per fare tutto il necessario e anche qualcosa di più. Cosa dobbiamo aspettarci dal futuro delle prime parti di Microsoft?
La notizia più importante emersa a fine 2020 risiede proprio nell'annuncio di Perfect Dark secondo The Initiative. Questo studio, lo ricordiamo, è una fucina di talenti 'rubati' ad alcune delle realtà più consolidate del medium, e rappresenta la risposta più concreta alla formazione proprietaria di Sony Interactive Entertainment, una delle poche sotto l'ala di Redmond in grado di ambire alla produzione di titoli forti di investimenti da "AAAA".
E The Initiative, dicevamo, ha scelto di riportare al centro del palcoscenico l'universo di Perfect Dark, una creatura le cui radici nell'industria risalgono addirittura al 2000. Il fatto è che in molti speravano di vedere il neonato super-studio impegnarsi nella costruzione di una nuova IP, cosa che dalle parti di Microsoft accade molto di rado, ma purtroppo il parco titoli si allargherà ancora una volta per includere un nome già noto agli appassionati.
Ciò detto, dal canto nostro siamo molto felici dell'annuncio. Perché mai? Beh, perché nel tripudio di action-adventure in terza persona che stanno monopolizzando l'attenzione del pubblico e dei media, quello di puntare forte su un FPS AAA è una scelta affascinante, vicina alla storia della compagnia e per certi versi anche coraggiosa; in un mercato che fa passare sottotraccia persino esperienze come quella offerta da Prey di Arkane Studios, chiunque sarebbe intimorito tentando nuove strade nei meandri della prima persona, ma The Initiative sembra intenzionata a differenziarsi profondamente dalla concorrenza.
Diciamocelo, la preponderanza delle classiche esperienze story driven indissolubilmente legate alla visuale in terza persona è un retaggio delle ultime generazioni, e quasi ci siamo dimenticati della qualità che opere come Bioshock hanno riversato nel tessuto dell'industry. Cyberpunk 2077, con tutte le sue imperfezioni e il suo triste lascito, è la dimostrazione che approcci trasversali a formule rodate come quella dell'open-world hanno tutte le carte in regola per funzionare a meraviglia. Lo spettro, nel caso di Perfect Dark, risiede nell'ipotesi di un lancio episodico, che secondo il nostro parere costituirebbe un autogol clamoroso.
Alla fine da un collettivo di talenti come quello di The Initiative è più che lecito aspettarsi un videogioco candidato al Game of the Year, qualcosa che non abbia paura di contendersi la statuetta con l'ultimo episodio di God of War o The Last of Us. Può darsi che questa non sia la vetta cui la software-house ambisce, ma la prima produzione firmata da Darrell Gallagher, che è l'ex capo di Crystal Dynamics e vanta un passato fra Rockstar e Activision, si trasformerà senza dubbio nel momento perfetto per fare un primo bilancio sugli investimenti first party di Microsoft.
Scorrendo fra i nuovi Game Studios in ordine di importanza, il secondo nome che salta all'occhio è quello di Playground Games. "Ah, come fa i giochi Playground Games": è stato questo il mantra che ha accompagnato tutti gli appassionati della serie Horizon di Forza, appassionati che per svariati anni si sono chiesti cosa sarebbe venuto fuori se la casa avesse scelto di deviare dal binario del racing. Ebbene, il momento è finalmente arrivato, perché la storica saga di Fable è finita nelle mani dello studio inglese.
Considerazione obbligatoria: anche in questo caso siamo di fronte a una IP già nota, anzi, arcinota sulle sponde di Xbox, e dal momento che si tratta della seconda occasione nell'arco di poche righe, viene da chiedersi quale sia la ragione dietro questa sorta di fossilizzazione creativa.
Sappiamo bene che il successo di un progetto moderno è spesso legato al blasone che questo porta sulle spalle, ma quel blasone, prima o poi, bisognerà pur iniziare a crearlo da qualche parte. Certo, Microsoft ha tutte le ragioni di voler recuperare grandi marchi consolidati e inutilizzati da anni, ma le vere novità si sono fatte sempre più rare, e ciò vale ovviamente anche per l'imminente line-up di Sony.
Del Fable di Playground Games si sa poco o niente. La natura del titolo fa sì che si tratti di un universo creativo estremamente duttile, perfetto per adattarsi a qualsiasi contesto ed epoca, ed è dai tempi dell'annuncio di Fable Legends che i fan attendono con ansia una nuova venuta della saga. Se la casa dovesse riuscire a riversare nell'action-RPG lo stesso livello di cura che ha riservato ai suoi mondi aperti automobilistici, probabilmente non ce ne sarebbe per nessuno, ma per il momento si tratta di semplici speculazioni.
Ora, però, è arrivato il momento di discutere il paradosso di casa Xbox. Tempo fa, Microsoft si è assicurata il talento di Obsidian, una software-house che la storia dei videogiochi l'ha costruita in prima persona, mattone dopo mattone. In tanti si sono chiesti quale sarebbe stato il destino dei giganti degli RPG finché, durante la presentazione estiva dedicata agli studi di Xbox, Avowed si è preso il centro dello schermo, mostrandosi come un immenso gioco di ruolo in prima persona probabilmente ambientato nell'universo di Pillars of Eternity.
Osservando le prime immagini del gioco era inevitabile pensare di trovarsi di fronte allo "Skyrim di casa Xbox", un'esperienza volenterosa di colmare il vuoto lasciato da The Elder Scrolls durante l'ottava generazione di console. Poi, inaspettatamente, Microsoft ha annunciato al mondo l'acquisizione di ZeniMax, e con essa di Bethesda Softworks, creando di fatto una tanto improvvisa quanto stramba sovrapposizione. A cosa serve uno Skyrim "wannabe" quando hai a disposizione l'opera originale?
Il destino di Bethesda nelle mani di Microsoft è ancora avvolto da una fitta coltre di nebbia: non si sa a quali IP la compagnia stia attualmente lavorando (dov'è Starfield?), non si sa se queste saranno effettivamente esclusive dell'ecosistema Xbox, non si sa quali siano le condizioni siglate al momento dell'acquisizione.
È molto difficile immaginare un futuro in cui il prossimo capitolo di Fallout o The Elder Scrolls scelga di rinunciare all'enorme fetta di vendite garantita da un lancio multipiattaforma, ma è anche vero che un rapporto di esclusività per titoli di questo calibro potrebbe riscrivere completamente gli equilibri di forza fra le console da salotto.
Il tutto senza contare Arkane Studios, iD Software, Machine Games e Tango Gameworks, le sussidiarie della compagnia del Maryland, ciascuna padrona di gioielli rari come Dishonored, Prey, Doom e Wolfenstein. La convivenza con Obsidian, inoltre, potrebbe rispolverare vecchie partnership, come quella che ha dato i natali a Fallout: New Vegas, un capitolo atipico che per molti appassionati rappresenta ancora una delle punte di diamante della saga.
In ogni caso, il futuro di Microsoft nel mondo dei GDR si prospetta quantomeno roseo. Fra Bethesda Softworks, Obsidian e una InXile Entertainment reduce da Wasteland 3, gli abbonati a Xbox Game Pass sembrano destinati a ricevere tonnellate di esperienze di livello. E l'ottimismo non si limita a questo particolare sottobosco, perché fra tutti i traguardi raggiunti da Phil Spencer e Matt Booty, quello di aver creato un roster variopinto spicca sopra tutti gli altri.
Fra le cartucce in canna, infatti, ci sono anche quelle di Ninja Theory, che ha inaugurato la comunicazione next-gen di Xbox Series X con un sontuoso trailer in-engine dedicato a Senua's Saga: Hellblade 2, titolo che in seguito ai The Game Awards 2019 è sparito completamente dai radar. Sappiamo per certo che lo studio inglese è al lavoro sul sequel della sua piccola gemma story-driven, ma di recente ha fatto capolino anche Project MARA, un'esperienza che emerge come un classico survival horror ricamato in un'ambientazione dalle tinte sci-fi.
Se Ninja Theory è un collettivo di indubbio talento ma che ha ancora molto da dimostrare, ci sono poi una serie di importanti wildcard delle quali è molto difficile tracciare un profilo concreto. Stiamo parlando di Compulsion Games, casa madre di We Happy Few, di Double Fine, che ha in cantiere Psychonauts 2, e di Undead Labs, il cui nome al momento resta legato unicamente alla serie di State of Decay.
A volte è bello avere di fronte un roster di studi dai quali non si sa cosa aspettarsi, perché è proprio nei rari ambienti immuni allo stress mediatico che fioriscono le grandi sorprese. Questo discorso, in effetti, non vale assolutamente per software-house blasonate come Rare, che a seguito di ogni release si trova quasi obbligata a dover discutere con gli appassionati. Se c'è un insegnamento prezioso che si può trarre dal cammino travagliato di Rare sulle sponde di Xbox, è che l'opera creativa non dev'essere condizionata dai numeri delle vendite.
Sea of Thieves è stato il primo esperimento di Xbox Game Pass, un titolo originale in un panorama di produzioni sempre uguali a sé stesse, un progetto che è stato reso disponibile per tutti gli utenti del servizio al ridicolo prezzo di un euro al mese. Alla fine, a prescindere dalle critiche e dalle discussioni, sono stati milioni i pirati ad aver solcato i mari in tempesta. E ciò che conta è che Rare ha deciso di riprovarci, questa volta con Everwild, un'esperienza della quale si sa pochissimo, eppure è chiaro come il sole che, anche in questo caso, non si tratterà del solito videogioco.
Anche se le sfaccettature dei nuovi Xbox Game Studios non si esauriscono certo qui, e bisognerebbe dedicare un articolo intero alle implicazioni del futuro di Minecraft, non potevamo che chiudere quest'analisi con uno sguardo verso i veterani, quelli che hanno fatto la storia della console di Redmond, e che oggi, non senza difficoltà, sono chiamati a ripetersi dopo anni di mezzi successi.
A spiccare è una 343 Industries che, lo ricordiamo, ha ricevuto un finanziamento di oltre 500 milioni di dollari per mettere in scena Halo: Infinite, inizialmente pensato come il grande titolo di lancio per Xbox Series X e S. Le cose, tuttavia, non sono andate come sperato, e con la data di lancio rinviata a fine 2021 lo studio dovrà limare piuttosto rapidamente i numerosi spigoli emersi dalla prima apparizione del progetto. Riuscirà il prodotto finito ad arrestare quella sorta di caduta degli dei di cui la serie del Master Chief si sta rendendo protagonista?
Difficile a dirsi. Da quando Bungie ha trovato l'indipendenza, la serie più amata nella storia di Xbox è entrata in un medioevo creativo dal quale sembra molto difficile trovare una via d'uscita sicura. Halo è stato il re degli FPS, il re degli esport, il re del segmento sci-fi, e nel vestire questi ruoli ha lasciato un'impronta indelebile nella storia dei videogiochi. Immaginare una Xbox senza John-117 è un po' come pensare a una Nintendo priva di Mario, ed è evidente che gli Spartan debbano trovare un futuro da protagonisti nell'universo di Microsoft, ma la serie di bandiera, per il momento, resta ancora un fantasma di ciò che ha rappresentato.
Il discorso è simile nel caso di The Coalition, una software-house dalle indubbie capacità tecniche che si trova ancorata da tempo immemore alla medesima formula creativa. Gears of War, al netto di un quinto episodio piuttosto apprezzato dallo zoccolo duro dei fan, ricorda saghe cinematografiche come quella di Alien, partite col botto e calate inesorabilmente in seguito alla conclusione del concept originale. Quello che servirebbe alla serie dei COG, forse, è lo stesso trattamento che Sony Santa Monica ha riservato a Kratos, una ricostruzione dalle fondamenta di una leggenda altrimenti destinata a spegnersi lentamente.
Ovviamente si tratta di considerazioni prettamente soggettive, dal momento che le grandi fatiche di Microsoft hanno conservato, a decenni di distanza dall'esordio, frazioni d'utenza estremamente affezionate e volenterose di proseguire nel cammino. Nel nostro caso, tuttavia, l'interesse ha virato verso l'ecosistema di studi nel suo insieme, un fitto tessuto creativo che negli anni a venire immetterà sul mercato quella che è senza ombra di dubbio l'offerta più varia nel settore dei videogiochi.
Un mosaico capace di toccare generi dimenticati, di sperimentare in nuove direzioni e ambire a quel massimo riconoscimento della dignità artistica che è mancato nel corso dell'ultima generazione, un'offerta che sarà disponibile per tutti i membri dell'ecosistema Xbox a un prezzo che alcuni giudicano addirittura folle.
Insomma, dopo anni di difficoltà, il futuro di Microsoft torna ad essere fatto di tanti grandi videogiochi fatti in casa. E dal momento oggi che basta poco, quasi niente, per entrare a far parte della famiglia Xbox, da videogiocatori non avremmo potuto chiedere di meglio.