Zelda: Breath of the Wild mostra come Nintendo stia imparando dai giochi PC - editoriale
L'overworld definitivo.
Voglio parlarvi dell'istante in cui ho capito che tipo di gioco fosse The Legend of Zelda: Breath of the Wild. Ho vissuto molti momenti come questo in precedenza, chiunque giochi ha vissuto i suoi, ma questo è il mio.
Nell'area iniziale dell'altopiano ero andato un po' "fuori pista", ignorando il sentiero consigliato per dedicarmi alla caccia ai Bokoblin. Di fronte a me, in una caverna a forma di teschio, goffi mostriciattoli troppo tosti da affrontare se ne stavano rannicchiati vicino a dei barili di polvere da sparo. Ho giocato a molti videogiochi e so come funziona. Dopo aver trovato una roccia dietro cui acquattarmi ho cominciato a fare il tiro al bersaglio. Ci sono volute tre o quattro frecce, poi ho capito che mirando l'orbita del teschio la parabola discendente della dardo lo avrebbe condotto dritto nella bocca e poi su uno dei barili. Ma niente.
Ho sentito un suono tipo thunk in lontananza. Un Bokoblin spaventato aveva cominciato ad esplorare lì intorno. La loro sentinella sembrava allarmata. Nessuna esplosione.
Anche se il gioco non lo aveva comunicato esplicitamente, avevo ricevuto un'informazione: l'impatto non era sufficiente. Avrei dovuto dare fuoco ai barili.
Ho aperto l'inventario e preso in mano della legna, poi l'ho piazzata di fronte alla mia roccia. Quindi sono tornato all'accampamento Bokoblin che avevo ripulito poco prima e ho messo un ramo nel loro fuoco da campo. Dopo essere tornato di corsa, ho dato fuoco alla pila di legno ed estratto il mio arco. Avvicinandomi sempre di più alla fiamma, speravo che Breath of the Wild avrebbe rispettato la mia logica. Così è stato: la punta della freccia ha preso fuoco. Ho mirato l'orbita del teschio, e come Bron a Blackwater, ho scoccato. L'esplosione ha scosso la caverna e il modo in cui i Bokoblin sono morti mi ha fatto capire: Nintendo ha fatto un gioco à "la granata è rotolata giù dalla collina".
"La granata è rotolata giù dalla collina" è stato uno scherzoso modo di dire usato da Idle Thumbs nel suo magnifico podcast per molti anni. Un'abbreviazione per rappresentare tutte quelle situazioni di gioco in cui c'è una simulazione un po' semplicistica (solitamente della fisica, come in Far Cry 2), ma abbastanza convincente da richiedere ore di considerazioni, promettendo un game design innovativo. L'altra parola che potremmo usare sarebbe "simulazione immersiva", ma non siamo più negli anni '90 quindi meglio lasciar perdere.
Qualcuno associa questo tipo di simulazione alla storia di alcuni giochi PC e quel momento in Zelda è stato sufficiente a farmi capire che Nintendo è entrata, dimostrando subito grande maestria, in una scuola di game design in cui non l'avevo mai inclusa. The Legend of Zelda: Breath of the Wild, a questo proposito, è umiliante e rivelatorio. Partendo dal suo sistema di cucina fino alla fisica, il titolo incoraggia la sperimentazione invogliando il giocatore a scoprire i segreti più nascosti. Questo sì che è un capolavoro di simulazione immersiva.
Direi che questa cosa è notevole, soprattutto considerando che si tratta di un gioco open world, su cui si è discusso più di frequente. Il titolo ha torri da scalare, un mondo immenso da esplorare e un sacco di cose da fare, ma ciò che ci comunica con ognuna di queste cose è molto diverso da quello che ci viene da pensare quando sentiamo le parole "open world".
Consideriamo la concorrenza. Assassin's Creed's ha dei punti di osservazione che, una volta raggiunti, attivano delle missioni in una sezione della mappa. Di tutte le caratteristiche degli open world, questa allena i giocatori a spezzettare un vasto mondo di gioco, riducendolo ad una lista di cose da fare. A sua volta, permette agli sviluppatori di creare una sensazione di mondo aperto relativamente alla svelta, senza spendere troppo tempo con diatribe poco pratiche sul game design. La soluzione perfetta per ricchi studi che fanno molti giochi AAA ma hanno poco tempo. La misura del successo di un open world Ubisoft è quanto ci mettono a creare un gioco senza che i giocatori si rendano conto delle debolezze che stanno poco sotto la superficie.
Breath of the Wild è diverso. Ha le torri, certo, ma l'esperienza di trovarle, scalarle e decidere la direzione da seguire è un processo genuino, come tutto quanto nel gioco, che mette l'immaginario del giocatore prima di tutto il resto. I santuari, illuminati di arancione, sono l'esempio più chiaro della "roba da fare". Si impara alla svelta come trovarli e come assegnargli un waypoint, eppure vale la pena soffermarsi sul loro equivalente Ubiworld. Ezio si accuccia sulla cima di un campanile, la telecamera gira, un'aquila grida e il contenuto è visto. In Breath of the Wild, noi guardiamo ed è nostro compito assegnare priorità alle cose che vediamo. Quello potrebbe essere un santuario, quella potrebbe essere una città, quell'altra potrebbe essere una statua misteriosa o qualcosa di ancora più grande. Nintendo è abbastanza sicura della profondità e della varietà del mondo che ha creato e non ha bisogno di rassicurarci sul fatto che ci sia qualcosa da fare ovunque decidiamo di andare. Semplicemente c'è.
Breath of the Wild rappresenta il compimento dei vecchi cliché di Todd Howard: vedi quella montagna? Ci puoi andare. La connessione con la saga di The Elder Scrolls va molto più in profondità di così, più che altro con Morrowind, piuttosto che con Skyrim e Oblivion. Morrowind era interessante dal punto di vista del sistema e della simulazione, cosa che è stata abbandonata dai suoi successori. È stato un gioco in cui si armeggiava con reagenti magici e si creavano bizzarri oggetti e magie personalizzate, qualcosa che si riflette anche nel senso di gioiosa sperimentazione presente in Breath of the Wild. Il momento in cui in Morrowind si trova la pergamena di salto sul corpo di un mago ormai deceduto, è Zelda allo stato puro, così come la comicità che deriva dalla decisione in merito al se usarla o meno.
Breath of the Wild non è come The Elder Scrolls perché è grande o perché ci sono spade e goblin, ma per via del suo atteggiamento verso il giocatore. L'assenza di questa attitudine nella gran parte degli open world moderni è ciò che li allontana da questo standard. Ad ogni modo, questo entusiasmo per i fantasy molto immersivi non ha avuto origine con Morrowind, né ha avuto origine con Daggerfall, il predecessore di Morrowind, o con la serie Elder Scrolls in generale. Qui siamo nel territorio di Dungeons&Dragons e la voglia di ricreare la propria avventura in formato digitale è probabilmente la più grande forza animatrice che ha influito sul game design negli anni '80 e '90.
Questo sforzo ha visto uno dei suoi più grandi successi e il gaming su PC nel complesso ha trovato uno dei suoi capisaldi, in Ultima Underworld. Il rudimentale simulatore di dungeon in prima persona di Paul Neurath era un'avventura fantasy che aspirava ad essere molto più di una serie di icone su griglia. Il gioco cercava di espandere il concetto dietro al "muoviti" e "combatti", incorporando una fisica rudimentale, così come varie applicazioni del fuoco, che si legano direttamente ad uno dei temi chiave di Zelda. Breath of the Wild può essere considerato parte della storia del game design su PC proprio perché è possibile tracciare un collegamento diretto tra quest'ultimo e Ultima Underworld.
Anche se i primi giochi di The Elder Scrolls sono in debito con Ultima Underworld, la sua influenza è molto più estesa. Come gioco in prima persona era interessato ad essere ben più di un labirinto pieno di mostri, ha anche fornito la base per quello che sarebbe successivamente diventato il pensiero dietro ai giochi immersivi. Sia System Shock che Thief devono molto ad Underworld, così come Deus Ex e, più di recente, Bioshock e Dishonored. Far Cry 2 appartiene anche lui al pantheon, sebbene sia il gioco che ci ricorda che in Breath of the Wild la cosa che conta di più è l'attitudine, quell'entusiasmo per la libertà di gioco che unisce tutti i titoli nominati anche se appartengono a generi diversi.
Per tutto ciò che questi giochi hanno in comune con Breath of the Wild, due sono le differenze che spiccano. La prima è che Zelda fondamentalmente funziona, ed è stato sviluppato con un grado di pulizia che non da l'idea che sia sul punto di implodere. Potrebbe sembrare un po' superficiale, ma è un punto di divergenza da Ultima Underworld e l'eredità che ha lasciato. Molti dei giochi per PC più amati di tutti i tempi sono un magnifico sogno inficiato da bug e crash vari. C'è qualcosa di romantico nel loro ricorrente e tragico senso di mai-terminato, ma anche al romanticismo c'è un limite. Nintendo entra in questo campo come un artista straight-edge, quasi offensivo in un primo momento, ma la cui stabilità e coerenza sono necessarie. Il titolo è il White Album del gaming, una serie di John Lennon e George Harrison, che però aveva bisogno di un Paul McCartney.
La seconda grande differenza, e forse la più ovvia, è il tipo di storia che Breath of the Wild racconta e come la racconta. Da System Shock a Far Cry 2 e Skyrim, la simulazione è stata tradizionalmente impiegata al servizio di una narrativa seria e dettagliata. Anche se questi giochi sono spesso piattaforme adatte ad una scrittura forte, ciò ha sempre creato una sorta di disconnessione in un modo o nell'altro. La libertà concessa al giocatore da Dishonored gli consente di recitare in una favola riguardante l'abuso di potere: ma significa anche che è un gioco in cui a volte si mangiano un sacco di anguille, e altre si prova a vedere se è possibile rovesciare un tiranno tirandogli contro un cane. A tale riguardo, i suoi punti di forza possono creare delle debolezze.
Per contrasto Breath of the Wild è una favola, ed è felice di esserlo. In esso troviamo un mondo enorme ed evocativo, senso dell'umorismo e una storia leggera e avvincente. Nintendo lascia da parte le velleità da narrativa seriosa tipica di questo genere di titoli, ma lo fa con saggezza. I toni leggeri si adattano perfettamente a Zelda, in cui i momenti migliori ruotano sempre intorno a qualcosa che scaturisce da qualcos'altro. In un certo senso gli sviluppatori hanno cercato di scrivere una storia di Neal Stephenson usando il vocabolario di Tom & Jerry. Naturalmente, viene da pensare che Nintendo alla fine sia arrivata e abbia scritto un cartone animato, invece non è così.
Breath of the Wild non risolve tutti i problemi di narrativa del genere a cui appartiene: vale ancora la pena approfondire una narrazione difficile per giungere ad un risultato, come in titoli quali Firewatch e Gone Home. Ma quello che in realtà fa, ed è ciò che trovo più incoraggiante, è mettere in evidenza tutto quello che c'è di meraviglioso in un gioco in cui "la granata rotola giù dalla collina", o in cui una freccia infuocata fatta a mano può infondere nel giocatore un fenomenale senso di realizzazione, incoraggiandolo ulteriormente a continuare a giocare e sperimentare.
Entrando in questo campo del game design Nintendo ha fatto una dichiarazione che avrà una risonanza a livello di valori, e ha fatto anche in modo che questi valori vengano trasmessi non solo alla nuova generazione di giocatori, ma anche a quella degli sviluppatori. Sembra ovvio, col senno di poi, ma un simulatore di immersività adatto anche alle nuove leve è la cosa migliore che potesse capitare all'industria nel 2017. Breath of the Wild si è inserito in questa ambiziosa tipologia di giochi: sarà un titolo da tenere in considerazione mentre lo guardiamo fare la storia negli anni a venire.