Zelda e Horizon hanno cambiato gli open world - editoriale
Ma come ci sono riusciti?
Come si crea un gioco open-world in grado di rimanere nella storia?
Un tempo la risposta a questa domanda era semplice, bastava dare costantemente al giocatore cose da fare, sfide da affrontare. "Il giocatore non dovrà mai annoiarsi" è il primo comandamento di chi confeziona giochi open-world, sandbox, cloni di GTA o come preferite chiamarli. Il primo a sdoganare questo concetto di videogame è stato David Braben con il suo Elite, ben 13 anni prima che il mondo conoscesse Grand Theft Auto. Gli open-world ora sono un genere a parte e un grande business su cui in molti si stanno gettando. Un affare talmente grosso da aver travalicato i suoi stessi confini, tant'è che ormai il termine "open-world" viene usato fin troppo spesso, un po' come la definizione di "action-adventure".
Inizialmente il pubblico sembrava non averne mai abbastanza, ma in tempi più recenti sembra che il trend positivo sia rallentato. Dopo decine di Assassin's Creed, Saints Row, Fallout, Skyrim e No Man's Skies, dopo milioni di missioni portate a termine, segreti scoperti, risorse consumate e torri scalate, il fenomeno mostra le prime crepe. Per molti giocatori acquistare un titolo open-world viene visto come iniziare un secondo lavoro, un impegno da centinaia di ore. Quando anni fa cercavamo il realismo estremo nei videogiochi, forse non era esattamente questo ciò che avevamo in mente.
Quando Horizon Zero Dawn venne mostrato per la prima volta durante l'E3 del 2015, non sollevò particolari grida di giubilo. Nonostante la sua affascinante ambientazione, in molti lo catalogarono come un Far Cry con tribù primitive e dinosauri meccanici... qualcosa che, ironicamente, Ubisoft aveva già messo in cantiere. Molti giornalisti lo bollarono come "l'ennesimo open-world di cui non si sentiva la mancanza".
Totalmente indifferente alle mode è sempre stata invece la serie The Legend of Zelda. Pur essendo un esempio di saga dal gameplay non propriamente lineare, è sempre riuscita a rinnovarsi e reinventarsi rimanendo però fedele a sé stessa. A prescindere dall'hardware su cui girava, ogni capitolo di Zelda aveva i suoi capisaldi e da questi raramente Nintendo si è allontanata.
La compagnia nipponica è sempre andata dritta per la sua strada, incurante di quello che accadeva intorno a lei, dei giochi che uscivano e delle discussioni da forum. Improvvisamente però, Nintendo decide di rompere la tradizione con The Legend of Zelda: Breath of the Wild, un capitolo che pur rimanendo ispirato ai giochi precedenti, guarda alla concorrenza e ammicca a titoli come Skyrim o Assassin's Creed; due giochi che hanno avuto l'indubbio merito di plasmare e innalzare verso nuove vette i desideri e le aspettative degli appassionati. Breath of the Wild trae ispirazione da quei giochi, ma al tempo stesso alza ulteriormente (e non di poco) l'asticella.
L'ultimo Zelda prende in prestito la ricetta di base degli open-world e alcuni dei suoi elementi più popolari. Ci fa persino scalare delle torri per rivelare porzioni più ampie della mappa, una trovata di design che la stessa Ubisoft (dopo averla praticamente inventata) ha ormai quasi deciso di abbandonare.
Ma ovviamente un titolo della serie Zelda non può permettersi di "copiare" qualcosa, deve metterci del suo. Deve innovare. Per prima cosa le suddette torri sono un elemento del gioco tutt'altro che ingombrante (solo 14, in Assassin's Creed 2 erano ben 66). Sono individuabili anche a miglia di distanza e non fanno pensare a qualcosa di irraggiungibile. Sono piccole e più accessibili, non si passa un'ora solo per arrivare in cima. Anche altri aspetti dell'ultimo Zelda sono stati pensati a "misura d'uomo", compresi i dungeon che pur essendo interessanti hanno dimensioni ridotte e raramente contengono più di una manciata di enigmi o nemici da affrontare.
Poco ma spesso. Sembra essere questo il mantra del gameplay di Breath of the Wild e forse è proprio in questa formula che risiede il suo successo. Può essere giocato per otto ore filate ma anche in piccoli bocconi da pochi minuti. Merito di questo va anche allo Switch e alla sua natura ibrida, per la prima volta un gioco open-world di queste dimensioni può essere provato in qualsiasi momento e in qualsiasi occasione. Su un enorme schermo casalingo o sui 6 pollici abbondanti dello schermo della console.
Horizon Zero Dawn ha invece un approccio diverso al mondo degli open-world. Utilizza un vecchio trucco di cui proprio la saga di Zelda è maestra: aprirsi pian piano, offrendo contenuti sempre più numerosi e sofisticati.
Horizon, netto contrasto con Breath of the Wild, non è stato creato per partite brevi. È un gioco da lungo termine, il cui lungo prologo mostra la crescita della protagonista dalla nascita alla maturità fisica e mentale. Durante le prime ore non succede molto. Non si incontrano molte creature nuove e anche l'inventario rimane sempre lo stesso... ma subito dopo l'avventura decolla e ci mostra la vera ampiezza e potenza del mondo di gioco.
Un approccio davvero eccellente, con un ritmo pressoché perfetto. Horizon non ha fretta di mostrare al giocatore le sue meraviglie ma lascia che sia proprio lui a scoprirle e a gustarle nel modo che preferisce. Le missioni secondarie sono divise in maniera perfetta e invogliano l'esplorazione. Strizza l'occhio ad Assassin's Creed con delle macchine simili a giraffe, i Collilunghi, da scalare per rivelare nuovi dettagli della mappa. Capire come salire in cima riporta alla mente Shadow of the Colossus e rappresenta un elemento di gameplay perfettamente bilanciato e mai ingombrante... visto che ce ne sono solo sette in tutto il gioco.
Il fatto che Horizon Zero Dawn e Breath of the Wild siano usciti a così breve distanza fa pensare ad una congiunzione astrale molto rara. È come se i due team di sviluppo, posizionati ai lati opposti del nostro pianeta, avessero lavorato con lo stesso obiettivo in mente: risolvere i problemi dei giochi open-world, facendoli evolvere. La cosa incredibile è che entrambi ci sono riusciti anche se in modo diverso. Nintendo e Guerrilla hanno tirato fuori due prodotti bilanciati in maniera sublime e ricchi di contenuti che non stancano mai.
I due giochi inoltre hanno anche parecchi punto in comune, offrendo due mondi che stanno tentando di ricostruirsi dopo una terribile apocalisse, due protagonisti forti e determinati che vengono aiutati nelle loro missioni da dispositivi tecnologici che assomigliano molto a quelli che tutti noi usiamo tutti i giorni. Infine, il loro successo dipende da un mix di pianificazione e improvvisazione piuttosto che sulle loro abilità con le armi.
La differenza più significativa tra il titolo Guerrilla e quello Nintendo risiede invece nel modo in cui i rispettivi protagonisti vengono trattati dagli abitanti del mondo che li circonda. Mentre Link viene visto come un eroe da chiunque lo incontri, Aloy deve guadagnarsi ogni grammo del rispetto che man mano gli viene concesso per i suoi servigi. Lei è un'emarginata, una ragazza che vive al di fuori della società e nessuno si sente in dovere di ringraziarla a prescindere dagli sforzi che lei farà per aiutare chiunque. Sono le circostanze a rendere Aloy un'eroina, non il destino.
Potreste essere portati a pensare ad Horizon come ad un titolo dalla vena cinica, là dove invece Zelda possiede un impatto più ottimistico, ma non è esattamente così. Zelda possiede ancora un vestito da favola ed è ambientato in un mondo in un certo senso ancora ingenuo, puro, vecchio stile. Un mondo in cui ognuno ha un ruolo ben distinto, in cui anche i mostri sanno di essere lì per essere prima o poi eliminati dall'eroe durante la sua missione per salvare la principessa. Allo stesso tempo però il mondo di Hyrule ha un destino bizzarro, nel quale si susseguono fasi di speranza e devastazione. L'eroe Link è destinato al successo ma al tempo stesso a combattere per sempre.
Horizon in questo senso tratteggia un panorama decisamente più pessimistico, più duro. Mostra le persone per come sono realmente, dei gran bastardi nella maggior parte dei casi. Il mondo in cui è ambientato è stato percorso da una devastazione senza precedenti, che ha lasciato i pochi sopravvissuti con poche speranze di riportare la civiltà al livello a cui era prima. Nessuno si fida di nessuno e tutti hanno il solo obiettivo di guardare al proprio tornaconto. Se Breath of the Wild può essere paragonato ad un film dello Studio Ghibli, Horizon Zero Dawn può assomigliare ad una pellicola di Gareth Edwards (Godzilla, Rogue One: A Star Wars Story), in cui il mondo sull'orlo del baratro riesce a trovare un barlume di speranza. Ci mostra che è possibile sopravvivere anche alle situazioni più disperate ed estreme.
Ogni videogioco è in un certo senso il prodotto di quelli che lo hanno preceduto e questo vale anche per Horizon e Zelda. Entrambi questi titoli però hanno portato qualcosa di speciale, sono riusciti a correggere i difetti dei giochi del passato. Nintendo aveva un glorioso passato alle spalle con la serie Zelda, mentre Guerrilla ha dovuto dare fondo a tutto il suo talento per emergere dal discreto ma non eccellente livello raggiunto con la serie Killzone. Sono arrivati da direzioni diverse ma hanno puntato verso lo stesso orizzonte e sono riusciti a fare centro.
Nessuno avrebbe mai potuto prevedere che a questo punto dell'anno i migliori titoli usciti sarebbero stati l'ultimo esponente di una serie trentennale e un outsider creato da una compagnia specializzata in FPS. Un testa a testa che proseguirà fino alla fine dell'anno e che, a meno di clamorose sorprese, rimarrà la sfida più intensa di questo 2017.
Ora speriamo che anche i GDR riescano a tirare fuori qualcosa di realmente nuovo.