Art of Murder 3: le Carte del Destino
Bluff d'autore?
La vita dei serial killer, si sa, non è esattamente rose e fiori: c’è infatti sempre il detective di turno che passa il proprio tempo libero a cercare di mettere in gattabuia queste povere anime prave, desiderose solo di veder compiere i propri piani per diminuire la popolazione mondiale. Quando però è l'impavido eroe a venire braccato da una menta malata, allora la posta in gioco si alza, lanciando le premesse per una storia in potenza davvero accattivante.
Se non vado errato, la vostra arguta mente da detective avrà oramai compreso che quello di cui vi sto parlando altro non è che l'incipit del terzo capitolo avente come protagonista la conturbante Nicole Bonnet, agente FBI protagonista della serie Art of Murder di City Interactive. Com’era dunque logico aspettarsi, vista la breve distanza temporale che lo separa dal capitolo precedente, Le Carte del Destino non mette però sul tavolo nessuna vera innovazione ma, riproponendo una formula oramai collaudata, prova a far breccia nel cuore degli appassionati basando molto del proprio appeal su una trama sulla carta in grado di solleticare le menti ludiche.
Ad essere sinceri, l'obiettivo ricercato viene peraltro colto in maniera tutto sommato tranquilla, grazie ad un intreccio narrativo in grado di accompagnarvi brillantemente per un tempo variabile dalle dieci alle quindici ore, un totale sopra la media a cui ultimamente il genere sembrava averci abituato. Il problema però viene da tutto quello che sta attorno alle vicende di questo strano serial killer che, lasciando una carta in ogni luogo dove vengono ritrovate le sue vittime, sfida la bella Nicole a non diventare parte della sua macabra collezione.
A dispetto infatti di quanto ci si potrebbe attendere, AoM3 pecca in maniera abbastanza clamorosa in quelli che nel gergo sportivo potremmo definire i fondamentali, fattaccio che di contro nell'episodio precedente non si percepiva così distintamente. È proprio quest'ultimo particolare che rende quindi così amaro il boccone, considerato anche e soprattutto che le potenzialità per un ottimo titolo, perlomeno nella struttura generale, c'erano tutte.
Riallacciandomi ai mentori del genere per rendere chiaro il concetto, cito con piacere il buon Ron Gilbert che in tempi non sospetti descrisse con la sua proverbiale arguzia alcune regole che una buona avventura grafica dovrebbe seguire per risultare gradita al suo pubblico: fermo restando che una lettura di tale documento farebbe bene a diversi game designer, credo proprio che in questo caso una ripassata alle linee generali sia quanto mai richiesta.
Se infatti è possibile sorvolare su una qualità media dei dialoghi che non va molto lontano dalle discussioni dei nonni sul tempo e sulle stagioni, è infatti difficile riuscire a farsi andare giù che, giusto per fare un esempio, alcuni particolari degli scenari risultino selezionabili unicamente dopo aver parlato con questo o quel personaggio.
E non basta: se l’oggetto A ha un suo senso a essere utilizzato con l’oggetto B, dovrete forzatamente selezionare prima il primo e poi il secondo, pena una risposta negativa da parte delle vostra bella agente. Se considerate che sono rimasto bloccato per un periodo decisamente lungo perché dimentico di questa simpatica impostazione, potete ben capire perché qualcuno si ostini ad affermare che i giochi possano provocare violenza.
Se però fate parte della categoria dei giocatori definibile come i “duri ma puri” e riuscirete a chiudere un occhio qua e là, quello che vi rimarrà in mano è alla resa dei conti un gioco onesto, dedicato in maniera particolare a tutti gli amanti delle atmosfere alla CSI e affini.