Black Mirror 2
Avventura “vecchia” fa buon brodo...
La letteratura classica propose per diverso tempo il mantra delle unità aristoteliche, dove tempo, luogo e azione dovevano convergere in un concetto di singolarità; tralasciando falsi storici, applicazioni e veridicità della questione, credo che possa risultare interessante fare un (ardito) paragone di queste con le tre unità che devono essere struttura e fondamento di ogni avventura grafica che si rispetti: enigmi, dialoghi e narrazione.
Quando infatti questi elementi si bilanciano alla perfezione, allora in maniera più o meno consapevole si ha la piena sensazione di trovarsi davanti a un gioco in grado di superare le barriere temporali della settimana di hype per andare ad abbracciare l'eterno e la gloria.
Di contro, basta che uno di questi elementi inizi a scricchiolare sotto le spinte del troppo ardire o della mancanza di idee, per trovarsi tristemente ad arrancare sulle soglie della sufficienza risicata, tempio dei se e dei ma.
Black Mirror 2 si pone a metà del guado di queste due possibilità, andando a pescare a piene mani dalla classicità di un genere oramai ridotto a nicchia, ma perdendosi nella costruzione di un ritmo che possa coinvolgere in maniera pressante il giocatore: pertanto non un gioco da ricordare ai posteri, ma nemmeno un fallimento epico.
Piuttosto, soprattutto se si è appassionati di enigmi, misteri e avventura, un titolo in grado di accompagnarvi per diverse ore, senza mai appesantire eccessivamente le vostre meningi ma incentivando a percorrere di buon grado tutti i sei capitoli che fanno da sfondo alle vicende. Se tutto questo sia sufficiente, dipenderà solo da voi: personalmente darei una possibilità a questa produzione teutonica, soprattutto in virtù del suo passato.
Chi giocò il primo capitolo, diventato ai suoi tempi un piccolo fenomeno mediatico, ricorderà infatti un’avventura dallo stampo classico, deficitaria forse nel comparto grafico ma solida nella costruzione del gameplay e coinvolgente al punto giusto. Con Black Mirror 2 DTP recupera ampiamente nell’impatto visivo, perdendo per strada qualche colpo nell’impianto narrativo, a causa principalmente di alcuni dialoghi a volte davvero stucchevoli e di una sorta di mano virtuale in grado di non rendere mai un enigma davvero tale. Syberia docet, insomma…
Le vicende vi vedranno nei panni di Darren, uno studente rifugiatosi nell’amena cittadina di Biddeford per passare l’estate e portare a casa qualche soldo; se all’inizio vi ritroverete così immersi nella quotidianità cittadina, fra burberi fotografi e dottori tutto fare, sarà con l’incontro con la bella Angeline che il climax comincerà a salire, portandovi sulle soglie di un orrore puro che si andrà ad allacciare agli avvenimenti di un decennio passato, gli stessi al centro dell’episodio precedente.
Come un buon romanzo, i colpi di scena si sprecheranno, portando finalmente il livello narrativo su contesti, riferimenti e semantica meno ovattate dal buonismo che spesso imperversa nel genere: aspettatevi quindi discussioni sull’Iraq, sordidi passati e critiche più o meno velate a una società che vive sul difficile equilibrio delle sue contraddizioni. I personaggi stessi, pur nella loro rappresentazione stereotipata, sono tutti elementi di un affresco che saprà accompagnarvi ben oltre il termine di questa (lunga) avventura.
A livello di meccaniche di gioco, rispetto ai canoni classici del punta e clicca vengono introdotte inoltre alcune novità, focalizzate soprattutto a non far perdere la bussola al giovane avventuriero in erba.