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Come Viktor Antonov è passato dal costruire città al creare pianeti - intervista

Da City 17 di Half-Life alla città infinita.

Viktor Antonov non ha mai costruito un mondo come questo prima d'ora.

I giochi per cui lo conoscete sono delimitati e ampiamente lineari. Ogni più piccolo dettaglio è stato vede l'intervento di una mano umana nella City 17 di Half-Life 2 o nella Dunwall di Dishonored, suggestivi luoghi virtuali che Antonov ha aiutato a colorare con particolari storie sociali e scolpire con tecniche visive che silenziosamente guidano il giocatore al prossimo checkpoint. Questo è vero anche per altri giochi in cui è stato coinvolto nel corso degli anni, titoli come Wolfenstein: The New Order, Prey o Doom, in cui Antonov ha ricoperto il ruolo di visual design director.

Ma Project C, l'attuale nome in codice del suo nuovo gioco, è molto diverso. "È uno dei progetti più ambiziosi su cui abbia lavorato e, devo ammetterlo, uno discretamente difficile per me", spiega.

Questo perché Project C è ambientato in un mondo interamente aperto che opera sulla scala di un pianeta. "Il trabocchetto per me è, ok, come porto la mia abilità dal costruire città, mondi e pezzi di civiltà al costruire un pianeta? Questo è il problema interessante che devo risolvere, passare dall'architettura a un ambiente naturale.

Antonov mi sta parlando dallo studio parigino dello sviluppatore Darewise. È seduto accanto a una larga finestra circolare attraverso la quale gemono le sirene della polizia e dietro di lui c'è un muro di scaffali Kallax riempiti di oggetti legati a Watch Dogs, Assassin's Creed e Ghost Recon, serie su cui i fondatori dello studio Benjamin Charbit e Vincent Marty hanno lavorato quando erano dirigenti di Ubisoft.

Antonov ama Parigi. È la prima città in cui lui e suo padre vissero quando fuggirono dalla Bulgaria comunista sebbene dopo alcuni mesi si spostarono in Svizzera e poi a Los Angeles per studiare design nel settore automobilistico. Non fu fino ai primi anni 2000 che ebbe l'occasione di tornare; a quel punto stava lavorando su Half-Life 2 da diversi anni e pensò che lo sviluppo fosse quasi concluso. Tuttavia non era così e finì per essere costretto a viaggiare tra Parigi e lo studio di Valve di Seattle fino alla pubblicazione.

Il decennio successivo lo spinse ancora lontano dalla città, a lavorare per Arkane Studios a Lione e poi attraverso diversi studi di Zenimax, quindi la sua felice unione con Darewise una manciata di anni fa gli ha dato l'occasione di mettere radici ancora una volta anche se Project C non gli sta permettendo di immaginare e costruire le stratificate storie di città con elementi sci-fi a cui era abituato.

Project C è un affascinante e ambizioso MMO costruito su SpatialOS, la tecnologia di networking che permette la creazione di mondi sontuosamente persistenti. Le diversamente pericolose flora e fauna di questo pianeta saranno costantemente simulate sui server di SpatialOS, che ci siano giocatori ad assistere o meno. La promessa è che questo aggiungerà un livello extra di ricchezza all'esplorazione, alla sopravvivenza, al combattimento e alle meccaniche di costruzione.

Ma mentre si tratta di un tipo di gioco che Antonov non ha mai realizzato prima, ha scoperto che a conti fatti non è poi così alieno. "Ho sempre fatto paralleli tra natura e architettura perché vedo una città come un pezzo di una crescita organica", mi spiega. Antonov guarda alle boulevard di Parigi come a fiumi e vede logica nelle rocce sparse e nelle nuvole in movimento: la natura è un sistema tanto quanto un ambiente urbano. "È decisamente ovvio quando si esamina attentamente la questione. Vedi microorganismi che hanno forme cristalline e geometriche e che hanno schemi ripetitivi dotati di funzioni".

In maniera davvero opportuna la storia del pianeta ci mette di fronte a un mondo trasformato dalla bioingegneria. Le città abbandonate dai precedenti proprietari sono formate da materie organiche come gli alberi e la terra è attraversata da schemi sia di campi coltivati che di crescita naturale e selvaggia. Antonov e i concept artist si sono perciò concentrati sui baobab che in Africa vengono utilizzati come habitat e sugli alti edifici yemeniti "che crescono dalla sabbia e ricordano gli habitat delle termiti. Sto portando avanti un mix di storia e di come le prime città furono costruite uniti al modo in cui cresce la natura".

Un processo che sfrutta per trovare i linguaggi per la forma delle cose che troverete su questo pianeta è quello di prendere immagini di microorganismi e cambiarne la scala rendendoli giganteschi o anche quello di ridurre le foto satellitari di terreni agricoli, cave e miniere di Russia e Sud America, isolando gli schemi ricorrenti e trasportandoli in nuovi contesti.

Ma per quanto tutto questo possa far sembrare questo mondo astratto e freddo, esso ha una sfumatura terrestre. Il setting propone un pianeta in cui degli alieni erano i precedenti inquilini e ora è arrivato il turno dell'umanità che potrà prenderne possesso per qualche migliaio di anni ed estrarre ciò che possono da esso.

Per Antonov è sempre stato importante realizzare luoghi che avessero delle solide fondamenta nella cultura e negli aspetti politici del mondo reale e nonostante le forti basi sci-fi di Project C, sta trovando questo aspetto nel fatto che i giocatori sono pionieri, i primi colonizzatori del pianeta.

"Se il gioco facesse parte di un genere sarebbe quello delle storie di frontiera", afferma Antonov. "È la grandiosa avventura di come io sia su questo pericoloso e bellissimo pianeta che mi mette in una situazione in cui devo conquistarlo, padroneggiarlo o morire. Questo ci porta molto vicino alle storie alla Jack London, a Klondike e alla corsa all'oro". E si muove anche verso le storie dei conquistador nel Sud America, storie di sfruttamento e competizione violenta.

Per Antonov questi temi accrescono il potere delle scelte che il gioco fornirà ai giocatori. "Come estraggo l'oro? Sarò un truffatore, un assassino o un uomo d'affari?" Dopo tutto in quanto open world, Project C fornisce ai giocatori tantissime cose diverse da fare, dal farming ai raid, dalla costruzione dei clan all'esplorazione.

È questo aspetto che davvero contrasta con le opere più lineari per cui Antonov è conosciuto, riscrivendo alcune delle regole del world design. "Sto apprendendo che quando i biomi hanno una identità e una personalità davvero molto solide, potrebbero non essere troppo accessibili perché troppo terrificanti o sinistri", afferma. "Sto cercando di trovare il giusto bilanciamento in modo che quando i giocatori si troveranno in questo mondo non si sentiranno all'inferno, non vorranno fuggire ma rimanere e conquistarlo come una terra promessa. È necessario ci sia una bellezza costante".

I biomi di Project C sono invece definiti da ciò che dicono ai giocatori per quanto riguarda le azioni possibili al loro interno. "La sottigliezza non è uno strumento molto utile", afferma. "Un bioma desertico si concentra sul fornire spazi aperti per i combattimenti su veicoli e l'esplorazione, mentre una città realizzata partendo da una foresta di alberi alieni offre la possibilità di spostarsi con dei rampini e scontri più serrati. Inoltre quasi qualsiasi oggetto è interattivo perché si tratta di vegetazione che cresce e può essere raccolta.

Ma il primo bioma che i giocatori visitano deve ispirare stupore e curiosità. Questo è ciò su cui Antonov sa di avere maggior controllo, l'aspetto più vicino ai suoi precedenti lavori, perché sa da dove arriveranno i giocatori ed è l'elemento che deve funzionare per stabilire il tema e il tono che desidera. "Successivamente il giocatore prosegue arrivando a scegliere il proprio ruolo e il proprio percorso".

Attualmente Project C si trova nel fase di pre-produzione in cui il team costruisce i prototipi e gli strumenti che creeranno il mondo che Antonov e il suo team hanno immaginato. "Quel salto della fede tra pensiero astratto e software, qui è dove ci troviamo ora".

Parte del processo consiste nel sviluppare gli strumenti per la generazione procedurale che comprendono l'insieme di regole per i pattern della vegetazione, dei fiumi, delle formazioni rocciose, il tutto prendendo asset realizzati a mano e disponendoli in maniera naturale. È la prima volta che Antonov ha utilizzato la generazione procedurale ma gradisce il controllo che ha su di essa. "Avendo stabilito la forma di questi linguaggi, gli strumenti diventano dei maestosi pennelli. Puoi costruire e lanciare algoritmi e utilizzare i pennelli giusti in modo libero e creare qualcosa su cui hai un input in quanto artista ma lo hai su una scala enorme".

Antonov sembra eccitato dalle dimensioni del progetto e dalle abilità che questi strumenti garantiscono ma non significa che abbia voltato le spalle ai mondi che ha realizzato precedentemente. Infatti amerebbe ritornare a una città come City 17. "Sono molto interessato dal continuare a parlare di storia parallela e dal farlo attraverso i videogiochi e la science fiction, l'Europa, il futuro, il passato e la storia".

Mi domando come si senta sapendo che City 17 è dormiente e la sua storia interrotta dal fatto che Valve non abbia mai completato la serie di Half-Life ma per Antonov è semplicemente parte di una modalità di design e immaginazione che vuole continuare a esplorare. "Non è necessario che sia Half-Life 3. Il modo in cui mi sento per quanto riguarda costruire specificatamente ambienti urbani, città sotto regimi totalitari, ho il mio percorso e prima o poi realizzerò un altro gioco e un'altra città", assicura.

Per ora, tuttavia, costruire sulla scala di un pianeta è sufficiente.