CrimeCraft
Un nuovo matrimonio tra FPS e MMO...
Molto spesso le idee interessanti sulla carta si rivelano dei fallimenti una volta realizzate. È questo il caso di CrimeCraft, il cui tentativo di unire le dinamiche di un FPS a quelle di un MMO ha portato risultati davvero deludenti. Ci troviamo di fronte a qualcosa di nuovo che, pur non risultando pessimo sotto ogni punto di vista, commette diversi errori che ne affossano inevitabilmente il voto finale.
La parte MMO risulta estremamente limitata: iniziando a giocare la povertà del titolo viene subito sbattuta in faccia al giocatore, che nella creazione del proprio avatar virtuale può scegliere unicamente fra tre modelli di volto e un numero altrettanto limitato di acconciature. Fatto questo si viene subito gettati nelle strade spoglie e deserte di Sunrise City, che secondo i programmatori dovrebbe essere una metropoli frenetica.
In realtà ciò che ci si trova di fronte è un mondo povero dominato dalle bande, dove i poliziotti sono tutti alti due metri e non fanno altro che stiracchiarsi di tanto in tanto, e dove al di là dei venditori e di chi dispensa quest, chiunque è caratterizzato dallo stesso modello poligonale.
Inizialmente tutto appare simile a ciò che viene proposto da qualsiasi altro MMO. La prima persona con cui si ha a che fare è uno di quei poliziotti affetti da gigantismo, sovrastato dal classico punto esclamativo che indica, per chi non avesse mai giocato a World of Warcraft, che ha una quest da offrire.
Dopo aver incontrato un piccolo gruppo di NPC, si possono finalmente mettere le mani sulle pistole per iniziare a sparare al prossimo fino a togliergli la vita, per la gioia del giocatore impaziente di entrare nel vivo dell'azione.
Dopo tutto CrimeCraft promette di combinare “gli aspetti migliori degli sparatutto e dei MMORPG”, e al primo approccio la voglia di scoprire come il gioco se la cavi in tal senso è sicuramente molta.
Ci si guarda intorno e si nota subito l'assenza di avversari. Ok, bisogna entrare in un dungeon per trovarne qualcuno. In fin dei conti si tratta di una quest per i niubbi, quindi il discorso ha senso. Si raggiunge il luogo richiesto e si rimane subito sbalorditi dal balzo impressionante del motore grafico. Il fastidioso effetto di pattinamento della camminata nella lobby lascia il posto a movimenti più pesanti e verosimili. Basta cliccare per sparare, e dopo anni di scontri passati impartendo serie di comandi e tirando dadi è sicuramente un approccio interessante.
Usciti dal dungeon la cosa più logica da fare è andare alla ricerca di altre opportunità di combattimento. Sfortunatamente tutte le quest funzionano come la prima. A questo punto, allora, una volta provato il PvE si passa al PvP, componente che rappresenta l'attrazione principale del gioco.
Il PvP conta diverse modalità: Shootout (il team deatmatch), Riot (deatchmatch in solitaria), Snatch 'n' Grab (capture the flag) e Turf War ( l'assalto ai punti di controllo). Naturalmente si fa un giro di prova con ognuna di queste, cercando di portare a casa qualche risultato positivo.
A dire il vero qualcosa di piacevole c'è. Le modalità di squadra sono esattamente come ci si aspetterebbe da uno sparatutto come Quake III e l'azione è sorprendentemente fluida e immediata, soprattutto considerando che durante la nostra prova abbiamo giocato unicamente contro utenti americani senza particolari problemi di lag.