Dietro il videogioco: La storia di Bethesda Game Studios - editoriale
Da The Elder Scrolls Arena a Fallout 76, le conquiste e i passi falsi dei signori dell'RPG.
C'è un edificio, lungo la soleggiata Eisenhower Memorial Highway tra le campagne del Maryland, che assolve la stessa funzione da più di trent'anni. Nel 1990, fra i tanti uffici, la palazzina ospitava la sede di una piccola società produttrice di videogiochi, una software house con 20 dipendenti che prosperava ai margini dell'industry. In una stanza si metteva mano alla programmazione, nell'altra si delineava il design dei prodotti, e nei giorni precedenti alla release i corridoi erano invasi dalle copie dell'opera finita, pronte per essere inscatolate dalle stesse mani che realizzavano le stringhe di codice.
Bethesda Softworks era stata fondata nella vicina località di Bethesda da Christopher Weaver nel 1986, ed era nota al sottobosco dei software devs per essere stata una tra le prime case a programmare videogiochi sportivi basati sulla fisica. "Gridiron!", pubblicato nell'87 per Atari ST, divenne una pietra miliare del genere, attirando l'attenzione di una Electronic Arts volenterosa di sfruttare le doti dello sviluppatore emergente in vista dell'esordio di John Madden Football.
Purtroppo, le cose non andarono come previsto: la società di Weaver si trovò costretta a fare causa ad Electronic Arts, perché il publisher, anziché rilasciare versioni console di Gridiron!, si era limitato ad appropriarsi di stralci di codice per migliorare il suo John Madden Football. Dopo che il caso fu risolto al di fuori della corte, Bethesda Softworks abbandonò la grande città per trasferirsi in quella che sarebbe divenuta la sede storica, nel verdeggiante distretto di Rockville.
Nei primi anni 90' c'era un ragazzo che ogni giorno passava di fronte agli uffici della società lungo il tragitto per andare a scuola, chiedendosi se sarebbe mai riuscito a fare parte di quel team che tanto aveva ammirato giocando titoli come Wayne Gretzky Hockey. Per ben due volte bussò alla porta degli studi chiedendo se ci fossero posti disponibili, ma fu costretto a girare i tacchi e andarsene: non avrebbero assunto nessuno che non avesse portato a termine gli studi.
Quel giovane si chiamava Todd Howard, ed è inutile dire che, una volta diplomatosi, riuscì finalmente a ritagliarsi uno spazio negli uffici di Bethesda. Il team, reduce dalla release di un paio di spin off di Terminator e qualche titolo sportivo, si stava occupando di qualcosa di decisamente più ambizioso: Ted Peterson, Julian Lefay e Vijay Lacksman erano al lavoro su un'opera ispirata a Wizardry 7, un RPG all'occidentale che, perso il suo iniziale concept di arena fighter, iniziava ad assumere proporzioni gargantuesche, completamente fuori scala rispetto alle produzioni sue contemporanee.
Todd Howard: "The Elder Scrolls: Arena aveva uno scopo che superava di gran lunga le potenzialità tecniche dell'epoca, ma riusciva ad essere piuttosto elegante nel suo intento. Agli occhi di chi conosce i nostri titoli di oggi può sembrare una produzione semplicistica, ma a quel tempo trasmetteva un feeling pazzesco: in quel mondo potevi fare quello che volevi, andare dove volevi. Se ti imbattevi in qualcosa di particolare durante l'esplorazione, avevi la sensazione che fosse lì solo per te, di essere stato l'unico a scoprirlo".
Il primo compito di Todd sarebbe stato proprio quello di ultimare il porting CD ROM di The Elder Scrolls: Arena, titolo che avrebbe dato i natali alla storica serie di bandiera di Bethesda Softworks. Nel 1994, il prodotto finito fu distribuito in solamente 3000 copie, un numero tanto esiguo da risultare inferiore rispetto ai risultati raggiunti dai semplici add-on prodotti dalla casa, e i tre artisti responsabili del progetto erano convinti di aver appena condannato la compagnia all'oblio.
Tuttavia, numerose testate di settore riconobbero un design che aveva le carte in regola per rivoluzionare il genere CRPG. Il passaparola fece il resto del lavoro, e la community degli appassionati si fiondò in massa nel mondo di Tamriel, giustificando immediatamente la realizzazione di un sequel. Nel frattempo, il giovane Howard fu dirottato verso la produzione di Terminator: Future Shock, un FPS sviluppato interamente in tre dimensioni e ambientato tra le strade in rovina di un mondo post-apocalittico (ricorda qualcosa?); chiusa la parentesi Schwarzenegger, tutti i programmatori si gettarono sul gigantesco seguito di Arena.
Matt Carofano: "In Arena, il nostro scopo era quello di costruire sulle basi del genere RPG, come ad esempio la trama. Daggerfall invece puntava tutto su due elementi che sarebbero divenuti centrali nell'economia della serie: il personaggio e il mondo di gioco. Per la prima volta si saliva di livello con qualsiasi azione invece che con i punti esperienza, c'erano le fazioni, le lingue, i bonus e i malus..."
Definiti una volta e per sempre la profondità del protagonista ed il sistema di sviluppo ricamato attorno alle azioni, The Elder Scrolls II: Daggerfall debuttò il 20 settembre del 1996, festeggiando l'esorbitante numero di 120.000 copie distribuite. Il titolo fu acclamato dalla critica, arrivando ad ottenere addirittura più di un riconoscimento per il Game of the Year, mentre PC Gamer e Computer Gaming World gridavano al capolavoro, indicandolo come il CRPG più rivoluzionario dai tempi di Ultima IV.
Come frequentemente accade alle software house che raggiungono improvvisamente un successo inaspettato, anche Bethesda conobbe il punto più basso della sua storia proprio a seguito dell'ingresso nel mercato di massa: le due opere che seguirono i fasti di Daggerfall, infatti, non riuscirono assolutamente a replicare i risultati del predecessore, e finirono per portare la compagnia sull'orlo del collasso.
An Elder Scrolls Legend: Battlespire era, in sé e per sé, un survival horror: lo spin off oramai dimenticato portava il giocatore nell'accademia magica di Battlespire, mettendolo alla prova lungo sette livelli che seguivano una formula decisamente più lineare rispetto agli standard di Bethesda. I veri problemi, tuttavia, erano altrove: l'opera sfruttava lo stesso motore di Daggerfall, invecchiato precocemente durante l'anno che separava le due produzioni. Come se non bastasse, Battlespire era martoriato dai bug, pesanti al punto da inficiare irrimediabilmente l'esperienza di gioco.
The Elder Scrolls Adventures: Redguard è, ad oggi, il titolo meno conosciuto della leggendaria saga di Bethesda. Si trattava di un action-adventure nel quale lo studio aveva deciso di sacrificare gran parte dell'anima RPG per esplorare invece l'embrione del genere action in tre dimensioni. Regduard non era una produzione debole, ma aveva mancato completamente una finestra tecnologica, rimanendo prigioniero di un limbo fuori dal tempo; nonostante le evidenti debolezze, si trovò spesso in lizza per il titolo di migliore avventura rilasciata nel 1998, titolo che perse a più riprese contro Grim Fandango di Tim Schafer.
Todd Howard: "Redguard era figlio del nostro amore per esperienze action come Prince of Persia e Tomb Raider. Volevamo raggiungere un livello di dettaglio che fosse al livello di Ultima, un mondo in cui spezzare il pane, spostare le bottiglie e così via. Per la prima volta stavamo dando un'identità alla 'lore', che fino a quel momento seguiva un'ispirazione 'Tolkieniana' molto generica. Il problema è che Redguard mancò completamente la finestra tecnologica, avrebbe sicuramente dovuto essere un titolo per PS2, e alla fine andò molto, molto male. La compagnia raggiunse il minimo storico, se non sbaglio rimanemmo solo in sette".
L'insuccesso commerciale portò Bethesda Softworks sull'orlo della bancarotta, e i dipendenti rimasti non superavano la decina: l'unica soluzione possibile era tentare una ristrutturazione completa. Così, fu fondata ZeniMax, unica entità amministrativa al di sopra di Bethesda Softworks, sezione dedicata al publishing, e Bethesda Game Studios, neonato dipartimento destinato allo sviluppo software. La nuova formula avrebbe dovuto essere una soluzione temporanea, ma l'intramontabile successo raggiunto dal terzo episodio nella serie di The Elder Scrolls cambiò per sempre il corso della storia. Todd Howard: "Dopo la crisi degli ultimi giochi, ci siamo seduti e abbiamo detto: 'OK, è il momento di fare il gioco che sentiamo di dover realizzare'. La vedevamo come l'ultima opportunità: se Morrowind avesse fallito, voleva dire che non era destino. Dovevamo creare un titolo in cui credevamo, qualcosa che, secondo noi, sarebbe stato amato profondamente dalla nostra community".
The Elder Scrolls III: Morrowind era figlio della filosofia 'uno straniero in un mondo strano': I pochi concept artist lavoravano giorno e notte per immergere il giocatore in una cultura sconosciuta e al tempo stesso familiare. Matt Carofano ha dichiarato che alla base del design c'era una domanda: come sarebbe apparso Star Wars se fosse stato ambientato in un ecosistema fantasy? Era necessario gettare solide basi culturali per rendere l'ambientazione convincente, tra funghi giganti e radici contorte, in un continuo gioco di proporzioni che ricordava da vicino l'Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll.
Quando iniziò lo sviluppo di Morrowind, il team di Bethesda era ridotto all'osso; nel corso dei lavori, tuttavia, Microsoft andò a bussare alle porte della società di Rockville: stavano realizzando la prima Xbox, un hardware molto simile agli standard PC, e avrebbero voluto portare sulla piattaforma un RPG all'occidentale. All'interno dello studio si scatenò un grande dibattito: sarebbero riusciti a realizzare un porting convincente? Era possibile tradurre i complicati menù in modo efficace? Ma soprattutto, c'era spazio per un CRPG nell'ecosistema console?
Ashley Chang: "Quando pensavi agli RPG, in quegli anni, pensavi a Final Fantasy, che vendeva milioni di copie su console. I CRPG all'occidentale non erano considerati 'fichi'. Il nostro sarebbe stato un open-world in prima persona in cui potevi andare dove volevi senza essere minimamente tenuto per mano. Alla fine, ancora oggi mi capita di parlare con dei fan convinti che Morrowind sia il miglior gioco che abbiano mai giocato, e non mancano di sottolineare come da quel momento i Game Studios siano andati in caduta libera."
Quando Morrowind fu pubblicato, nel 2002, il successo andò oltre ogni aspettativa: non solo raggiunse tutti gli obiettivi finanziari superando di gran lunga le necessità economiche di Bethesda, ma si rivelò un juggernaut soprattutto sui sistemi Xbox, piazzandosi direttamente alle spalle di Halo come titolo più venduto sulla piattaforma Microsoft. Nonostante i risultati dei primi anni '90, fu Morrowind a trasformare Bethesda nel gigante che ancora oggi conosciamo e, con la release del terzo episodio, la società aveva acquisito una nuova, importantissima consapevolezza: l'audience che desiderava esperienze simili su console stava assumendo proporzioni immense.
I meriti di Morrowind non si esauriscono all'exploit commerciale delle 4 milioni di copie vendute entro la fine del 2005: era la fondazione di un procedimento creativo che mai più avrebbe abbandonato i confini di Rockville: Bethesda parte sempre dalla mappa, dopodiché aggiorna il motore di gioco per implementare le nuove funzioni e infine si dedica alla fase di scrittura, che passa attraverso decine di migliaia di linee di dialogo. Una volta gettate le fondamenta della produzione, vengono creati degli 'strike-teams' che operano solamente per risolvere i problemi più impattanti, mentre qualche mese prima della release giunge il momento più temuto dagli sviluppatori: il meticoloso procedimento di taglia e cuci.
Emil Pagliarulo: "Se Morrowind rappresentava la trilogia letteraria del Signore degli Anelli, Oblivion per noi avrebbe dovuto essere la versione cinematografica. Più accessibile, ma al tempo stesso più viscerale, colorato e accattivante".
Forti dell'incredibile successo, gli sviluppatori erano più che mai convinti di dover spingere sull'acceleratore, mettendo in cantiere un nuovo progetto che sarebbe durato quattro anni. Oblivion rappresentava una grandissima sfida per il team: l'obiettivo era quello di superare i limiti all'immersione imposti da Morrowind, sacrificando solamente lo stretto indispensabile per non deludere i fan di vecchia data, adattando al tempo stesso l'esperienza alle esigenze del mercato di massa. Come se non bastasse, Oblivion fu praticamente sviluppato alla cieca, perché avrebbe debuttato su hardware, Xbox 360 e PS3, di cui non si conoscevano ancora le specifiche tecniche.
Matt Carofano: "Gli sviluppatori dovettero 'terraformare' manualmente ogni metro della mappa. L'intero procedimento durò almeno due anni, il team degli enviromentalists crebbe a dismisura. Morrowind era un'area desertica, e la nebbia limitava fortemente il campo visivo; in Oblivion potevi vedere le montagne in lontananza, in fondo alle valli, e fu ciò che diede inizio al motto: se puoi vederlo, puoi raggiungerlo".
Le dimensioni del progetto crescevano a dismisura: si era resa necessaria una fase di attenta selezione dei contenuti, perché, forte delle sue oltre 70.000 linee di dialogo, la versione alpha avrebbe senza dubbio sforato lo spazio del supporto CD ROM. Emil Pagliarulo, ad esempio, tenta da secoli di inserire un'arena simile a quella che domina la città imperiale in ogni insediamento della serie The Elder Scrolls, feature che anno dopo anno finisce nel tritacarne del passaggio alla fase gold.
Oblivion raggiunse finalmente le catene retail a marzo del 2006, mancando di quattro mesi la finestra di lancio di Xbox 360. L'attesa prolungata, tuttavia, non fece altro che aumentare la fame dei videogiocatori, e l'opera si rivelò un successo senza precedenti, cavalcando l'onda fantasy inaugurata dal Signore degli Anelli di Peter Jackson e superando di gran lunga la percezione dell'RPG open-world dell'epoca. Con 10 milioni di copie vendute e una risposta a dir poco impressionante da parte della critica, Oblivion ridefinì completamente il concetto di RPG all'occidentale, raggiungendo i risultati più convincenti proprio nell'ecosistema da salotto: quello di Morrowind non era stato assolutamente un exploit.
Anche se il risultato pagò alla grande l'investimento di Bethesda, il team era consapevole che fosse troppo rischioso concentrare tutti gli sforzi in una sola direzione. Qualche anno prima, i ragazzi dello studio avevano inaugurato una grossa lavagna che torreggiava sugli uffici: conteneva una lista di tutte le possibili dimensioni da esplorare. In vetta spiccava l'ambientazione post-apocalittica, seguita da quella sci-fi e da molti altri twist che, saggiamente, Todd Howard ha scelto di tenere sotto silenzio. Addirittura, era stato già disegnato il logo di Apocalypse Road, opera che non vide mai la luce del sole.
Todd Howard: "Dopo qualche tempo, in cima alla lista avevo scritto Fallout. La dirigenza mi chiese: "vuoi Fallout?" e io risposi "Certo, ma non è possibile, è una IP di Interplay, dobbiamo fare qualcosa di diverso". Sarebbe stato perfetto per noi, si sposava alla grande con il nostro genere di gioco, se capite cosa intendo. Un anno più tardi, sono andato alla mia scrivania, me lo ricordo come se fosse ieri, e ho trovato un post-it firmato da Todd Vaughn. Diceva: "abbiamo il tuo Fallout". Quando cominciamo? Pensai".
Tutti, in Bethesda, erano fan sfegatati dell'opera di Tim Cane e Jason Anderson, al punto dall'essere spaventati dalla profondità dell'universo Vault-Tec. Eppure, compresero presto che non c'erano confini migliori nei quali muoversi: nel mondo di Fallout, tutto era possibile. Come con ogni produzione, il processo iniziò con la scelta del setting: Washington era a un tiro di schioppo dalla sede nel Maryland, a poco più di 25 chilometri, e così i ragazzi decisero di causare un'apocalisse nucleare proprio dall'altra parte della strada.
Matt Carofano: "Eravamo da poco reduci dagli attentati dell'11 settembre, e io andai a Washington, cominciando a scattare foto di tutti i punti di maggior interesse turistico. Dovevamo prendere le misure per il rendering della capitale, ma la sicurezza non era d'accordo: in effetti era una situazione sospetta, non vollero sentire ragioni, e soprattutto non potevo dirgli: 'senti, sto scattando foto del Campidoglio perché devo farlo saltare in aria nel mio videogioco", che era proprio ciò che stavo per fare".
La principale scelta di design fu quella di abbandonare il sistema di fazioni, limitandole esclusivamente allo svolgimento della main quest. Da un lato, questa opzione avrebbe permesso di introdurre l'interezza dell'universo narrativo alla maggior parte dei giocatori, dall'altro avrebbe ridotto drasticamente le fatiche legate all'opera creativa: le gilde di The Elder Scrolls, infatti, sono tradizionalmente uno tra gli apparati più dispendiosi per la software house. In questo caso, tutti gli sforzi avrebbero dovuto concentrarsi sull'inedito sistema di combattimento basato sul gunplay, settore col quale Bethesda non si misurava dai tempi di Terminator: Future Shock.
Dietro le quinte si discuteva sulla validità dello S.P.A.V., che aveva il compito di celebrare il combattimento a turni tipico della serie originale, sopperendo al tempo stesso alle mancanze nel coding delle armi da fuoco. Fu messo in piedi un vero e proprio strike-team per risolvere l'incognita del sistema di combattimento, ed era senza dubbio la più grande sfida mai affrontata dalla compagnia: gli strascichi della diatriba sono arrivati fino a Fallout 4, titolo che per primo ha visto una rivoluzione completa delle meccaniche di fuoco avvenuta per mezzo di un considerevole ampliamento del team.
Emil Pagliarulo: "Con Fallout abbiamo vinto il GOTY e il premio per la migliore scrittura alla GDC, in un momento in cui il multiplayer era il pilastro portante della generazione. Credo che il segreto dei nostri giochi stia nelle radici fortemente vicine al PC Gaming: l'esperienza deve essere costruita attorno alla profondità. Non abbiamo i valori produttivi, che so, di Metal Gear Solid, ma abbiamo mantenuto qualcosa che va oltre la grafica e i sistemi, una specie di magia. Fallout 3 e le nostre altre opere hanno avuto successo su console perché erano uniche in questo senso".
Finalmente, Fallout 3 vide luce nel 2008, anno in cui fu accolto come uno dei titoli più ambiziosi e innovativi ad esordire sulla settima generazione di console. Secondo Electronic Entertainment Design, le vendite globali si attestano oggi attorno ai 15 milioni di copie, mentre più di una testata internazionale decise, all'epoca, di premiare l'opera con un 10, per una media Metacritic che si aggira attorno al 90.
La compagnia era pronta per muoversi verso il prossimo grande obiettivo: una release definitiva per il brand di The Elder Scrolls, figlia dell'esperienza maturata nel ventennio precedente. Nel frattempo, a livello corporate, fu presa la decisione di sviluppare un'istanza spin off di Fallout, che fu affidata alle sapienti mani di Obsidian Entertainment. I ragazzi di Bethesda Game Studios lavoravano a pieno regime alla nuova opera fantasy, ed erano consapevoli delle potenzialità di Obsidian, pertanto si tennero a debita distanza dal procedimento produttivo.
Ashley Chang: "Eravamo impegnati su The Elder Scrolls, quindi non avevamo il tempo materiale per lavorare su Fallout: New Vegas insieme ad Obsidian. Gli abbiamo fornito giusto gli asset e qualche linea guida generale, mentre loro hanno messo sul piatto una storia molto interessante. È stato divertente vedere un altro team che offriva la sua personale visione di Fallout, una bella esperienza. Ovviamente, hanno fatto un ottimo lavoro".
Furono Todd Howard e Matt Carofano a gettare le basi di ciò che di lì a breve sarebbe divenuto Skyrim, uno dei titoli di maggior successo nella storia del medium del videogioco. Il focus del team era quello di tornare a fare le cose in grande, abbandonando la compattezza di Fallout 3 e costruendo sulle basi introdotte da Oblivion. Ma, per lo meno inizialmente, alcuni veterani di Bethesda Game Studios non erano d'accordo con la visione di Matt e Todd.
Matt Carofano: "Quando disegnai la mappa di Skyrim, le cose iniziarono a prendere forma velocemente. Io e Todd volevamo puntare sui Nord, perché avrebbero permesso di deviare dal fantasy generico incontrato in Oblivion. I ragazzi mi dicevano: "non può funzionare, ci sarà neve ovunque? Che noia..." e io: "ma no! Guardate: ci saranno diversi tipi di tundra, foreste di pini, il Rift, e non immaginate nemmeno quanti tipi di neve esistano!".
Skyrim sarebbe stato diverso da tutte le altre produzioni Bethesda: il team era ormai insieme da più di 15 anni, e i designer dell'opera erano gli stessi che avevano lavorato sui sistemi di Daggerfall e Morrowind; l'anzianità dell'organico dietro il titolo, ad oggi, non ha alcun comparativo nell'industria. Il principale strike-team era quello destinato alla gestione dei draghi, che creavano grandi problemi di draw-distance, dal momento che avrebbero dovuto essere sempre visibili, oltre che di quest design, in quanto dotati di un'intelligenza artificiale radiante che ne complicava la gestione del comportamento.
C'è poco da dire su Skyrim: non solo ha debuttato su qualsiasi piattaforma esistente, ma ha conquistato lo scettro di opera più 'moddata' nella storia dell'industry, titolo che Matt Carofano ha definito come la più grande onorificenza per uno sviluppatore di videogiochi. La release di The Elder Scrolls V: Skyrim, l'11 novembre del 2011, superò agilmente quelle che erano le più rosee aspettative del team nel periodo antecedente al lancio. Nessuno pensava che la frase "una volta ero un avventuriero come te, ma poi mi sono buscato una freccia nel ginocchio", scritta da Emil Pagliarulo, sarebbe divenuta tanto virale, così come nessuno era consapevole delle potenzialità dimostrate dal prodotto, che raggiunse l'astronomica cifra di 30 milioni di copie vendute.
Nel 2012, poi, si concluse una disputa legale che la società aveva intrapreso tre anni prima nei confronti di Interplay riguardo la proprietà dei diritti di Fallout. In effetti, Interplay distribuiva i capitoli della serie originale su piattaforme come GOG.com, oltre ad aver pubblicato una 'trilogy' che, a detta di ZeniMax, avrebbe potuto cannibalizzare i risultati di Fallout 3.
Questa notizia, all'epoca passata sotto silenzio, ha assunto oggi un'importanza fondamentale: uno dei motivi alla base della contesa erano i diritti per la realizzazione di un MMO ambientato nel mondo di Fallout, diritti che, in seguito ad un accordo raggiunto al di fuori dei tribunali, sarebbero passati esclusivamente in capo a Bethesda Softworks. Insomma, senza queste vicissitudini, probabilmente Fallout 76 non avrebbe mai visto la luce del sole.
Non appena Skyrim entrò in fase gold, il team stava già riflettendo sull'ambientazione della successiva istanza di Fallout, e l'indecisione era forte al punto da spingere la dirigenza a telefonare ad Obsidian nel tentativo di far rimuovere da New Vegas i riferimenti al destino di San Francisco. Per quanto quella della Grande Mela fosse un'idea che da tempo solleticava gli sviluppatori, alla fine si optò per Boston, città che diede i natali proprio allo scrittore Emil Pagliarulo. Fu proprio in questo periodo che la testata Kotaku decise di pubblicare l'ormai celebre leak del setting, un'operazione che avrebbe pesantemente influito sui rapporti della compagnia con la stampa di settore.
Todd Howard: "Quando arrivi sul sesto progetto, cosa che per noi era Fallout 4, hai migliaia di feature, quest e sistemi che vengono discussi ogni giorno. Sapete, da fuori c'è la percezione che siamo uno studio gigantesco, ma nella nostra divisione siamo circa 100 persone. Da Skyrim a Fallout 4 abbiamo aperto solamente otto posizioni, quindi si tratta di un piccolo studio, specialmente se paragonato alle dimensioni dei nostri prodotti. Il segreto sta nel team, nella conoscenza dei processi e dei colleghi".
In generale, il lavoro svolto su Fallout 4 andò decisamente più liscio rispetto alle opere precedenti, e il titolo era giocabile ben prima della data di uscita: i devs ebbero il tempo di limare tutte le meccaniche, soprattutto quel comparto gunplay che aveva mancato di brillare all'ombra di Washington DC. Durante il processo di sviluppo si tenevano numerose 'game jam' nelle quali i membri del team presentavano le feature su cui avevano lavorato. Fu proprio grazie a queste ricorrenze che furono integrati l'intero sistema di crafting e di costruzione, la modellazione dei felini e, probabilmente, l'embrione del multigiocatore che avrebbe debuttato in Fallout 76.
Fu proprio da una costola di Fallout 4, infatti, che iniziò a prendere forma la prima, grande rivoluzione di casa Bethesda: un ingresso nell'universo multigiocatore che avrebbe incassato la peggior 'reception' nella storia della software house. In realtà, il sentiero imboccato dai Game Studios è comprensibile: nell'epoca della rivoluzione dei 'games as services', è piuttosto difficile non tentare una sortita nel genere, specialmente se la community chiede da anni a gran voce un qualsiasi tipo di supporto multiplayer, di gran lunga la componente più ricercata nel sottobosco del modding.
Todd Howard: "Forse è vero che siamo un po' preoccupati per Fallout 76, ed è uno dei motivi per cui abbiamo annunciato Starfield e The Elder Scrolls: VI. Del resto, si tratta di una cosa completamente nuova sia per noi che per gli utenti. È stato il nostro modo di dire che amiamo i grandi giochi in single player, e che continueremo a farli sempre. Siamo arrivati a Fallout 76 perché il multiplayer è da secoli in cima alla lista delle feature più richieste dalla community; alla fine l'idea è cresciuta al punto da diventare un gioco, ma non è il segnale di un cambio di rotta riguardo la nostra filosofia, non si tratta di un test: sarà un prodotto a sé stante."
Purtroppo, Fallout 76 non riuscì assolutamente a centrare l'obiettivo: non solo fu pesantemente criticato dalla stampa di settore, ma portò al primo vero backlash degli utenti nei confronti di Bethesda, mettendo al centro del mirino anche quell'arretratezza del comparto tecnico che era rimasta per anni sottaciuta dagli appassionati. Può darsi che i ragazzi dello studio avessero fiutato l'imminente insuccesso, dal momento che, in occasione della conferenza E3 2018, portarono sul palcoscenico i teaser trailer di The Elder Scrolls VI e Starfield, un'eventualità che non si era mai verificata nella storia del publisher, quasi a voler tranquillizzare la folla preoccupata dalla deriva online.
Certo, se guardiamo agli esordi della software house, furono proprio i grandi insuccessi di Redguard e Battlespire a spingere verso la produzione di Morrowind, da molti considerato uno dei migliori RPG di tutti i tempi. Possibile che, anche questa volta, dallo scivolone di Fallout 76 possa nascere un'altra pietra miliare dello studio? Il più grande punto di forza del team di Todd Howard sta proprio nell'esperienza: i designer che hanno lavorato agli ultimi titoli sono gli stessi che nei primi anni 90' scolpirono dal marmo grezzo la rivoluzione del genere CRPG.
Todd Howard: "Sapete, i giochi come The Witcher 3 o i prodotti di Naughty Dog non vengono fuori dal nulla. Loro hanno lavorato per tantissimi anni, come noi del resto. Skyrim è stato il quinto episodio di The Elder Scrolls, e ha alle spalle anche Fallout 3. Tutti i videogiochi di successo, i prodotti consistenti, sono figli dell'esperienza di studi che inseguono da anni quei risultati, e lo fanno perché amano i propri prodotti. Molti di noi sono qui da oltre 20 anni e hanno passato più tempo, è una cosa dura da dire, con queste serie di videogiochi piuttosto che con le proprie famiglie."