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Il design di Assassin's Creed II

Ubisoft ci racconta il travagliato sviluppo del gioco.

Dall’analisi dei playtest emerse che i giocatori ritenuti casual non riuscivano a padroneggiare a dovere l’esplorazione, mentre quelli più hardcore si trovavano a loro agio con il sistema e traevano grande divertimento dalle missioni.

“Si decise così di non modificare il layout. Perché? Beh, perché i giocatori più esperti non sembravano avere problemi, perciò tecnicamente tutto funzionava bene”, conclude Plourde.

“Secondariamente, la prima città che i giocatori avrebbero visto nel gioco, ovvero Firenze, aveva meno edifici. Perciò, una volta che i giocatori avrebbero raggiunto Venezia, l’ultima città del gioco, si sarebbero già acclimatati con il sistema di movimento. Questa è stata la supposizione che abbiamo fatto... che i giocatori occasionali che avrebbero raggiunto Venezia sarebbero ormai divenuti quelli che noi chiameremmo hardcore gamer”.

I dati dei playtest hanno evidenziato il modo in cui i giocatori si relazionavano con i differenti ambienti di gioco.

La fluidità era un elemento chiave del sistema di esplorazione. Edifici più alti comportavano scalate più lunghe, e le risposte in sede di playtest non erano quelle attese dal team. Nel primo capitolo i giocatori si arrampicavano, poi tornavano in posizione neutrale e poi si arrampicavano ancora. In ACII la posa neutrale è stata rimossa, in modo da rendere ancor più rapida la scalata tra un edificio e l’altro.

“Il personaggio avrebbe raggiunto i tetti in maniera due volte più rapida rispetto al primo Assassin’s Creed”, dichiara Plourde.

“Quindi, se si dispone di un edificio di quattro piani, si ha la stessa velocità che si avrebbe a raggiungere un tetto in AC1. Abbiamo anche apportato un cambiamento agli ambienti in modo da agevolare il free-running sui tetti. In questo modo i giocatori avrebbero percorso liberamente le location e il designer li avrebbe guidati sui tetti e verso la felicità!”.

Le attitudini acrobatiche di Ezio sono state aumentate in modo da rendere più rapide le scalate, dimezzando i tempi di esecuzione rispetto al primo capitolo.

Un’altra sfida difficile emersa nel corso dei playtest fu quella della folla e il suo utilizzo per mimetizzare il personaggio. Concettualmente valida, tale feature veniva ignorata dai giocatori. Il sistema funzionava ma per qualche motivo i tester non la capivano e pertanto non veniva sfruttata a dovere.

Eppure, ricorda Plourde, la cosa era estremamente semplice. Bastava seguire la folla e premere il tasto B per accodarsi automaticamente e nascondersi ai nemici. La gente non lo capì, perciò bisognava trovare una soluzione.

Il rimedio più ovvio fu perciò quello di rendere il tutto automatico, attivabile autonomamente a seconda della distanza dalla folla. Gli sviluppatori non erano felici di dover riscrivere una componente così importante del sistema. Tale soluzione si rivelò però incredibilmente semplice ed efficace.

Il fatto che tutto avvenisse in automatico fece capire ai giocatori l’importanza di mimetizzarsi tra la folla, e il team ottenne feedback molto positivi sul sistema di mimetizzazione. Tra l’altro l’implementazione di questa idea richiese giusto due ore e non il faticoso processo di riscrittura temuto dagli sviluppatori. La difficoltà era stata abbassata con un conseguente innalzamento del divertimento.

Un'altra questione emersa a seguito dei playtest fu la scarsa varietà nel sistema di combattimento, ma stavolta le cose non andarono proprio benissimo.

Dai test risultava che i giocatori non riuscivano a impiegare tutto il parco di mosse a disposizione di Ezio. La differenza di performance tra un giocatore e uno sviluppatore che conosceva bene il sistema era notevole. Tutto dipende da come percepisci il sistema di combattimento.

Plourde ammette in questo caso di non essere riuscito pienamente nel proprio intento: “Quando stai effettuando i playtest, puoi analizzare i dati ma non sempre riesci a trovare una soluzione”. Anche dalle recensioni emerse infatti la scarsa varietà in termini di lotta con gli avversari. In caso di sequel (ambientato a Roma, sembra suggerire Plourde) ci sarà modo di risolvere anche questo punto.

Ebbene, adesso sapete come un team di 300 persone sia riuscito ad implementare 230 feature senza avere il tempo di effettuare le normali revisioni di sviluppo. Cosa che probabilmente potrà ripetersi nell’eventualità di un sequel, progetto ormai dato per scontato.

Certamente si è trattato di uno sviluppo travagliato, ma la grande competenza del team e il know-how dei ragazzi di Ubisoft ha comunque portato a ottimi risultati.

“Prova ad andare da un programmatore che ha lavorato per due mesi su una determinata feature, tagliala fuori dal progetto, e digli di lavorare a una nuova feature, e vedrai come reagisce.” Sono cose come queste, spiega Plourde, a decidere spesso il fallimento di grandi progetti. Ecco perché i designer hanno bisogno di concentrarsi sui punti di forza del gameplay fornendo al tempo stesso vaste documentazioni su ogni singolo aspetto, così da avere a portata di mano ogni strumento possibile per eliminare tutti i problemi in sede di sviluppo.